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ALUNNI STRANIERI IN QUOTA

Il ministero dell’Istruzione ha stabilito che il numero di alunni stranieri per classe non dovrà superare il tetto del 30 per cento. Vanno comunque esclusi dal computo i ragazzi che non hanno cittadinanza italiana, ma sono nati in Italia. Un provvedimento anche condivisibile, ma che segue la solita logica dell’annuncio perché la sua applicazione sembra piuttosto complicata. Non sarebbe meglio allora accrescere il numero di insegnanti nelle scuole in difficoltà invece di spendere risorse per trasportare avanti e indietro gli studenti?

Con una circolare inviata l’8 gennaio ai presidi, il ministero dell’Istruzione ha stabilito che il numero di alunni “stranieri” per classe non dovrà superare il tetto del 30 per cento. Il ministro Gelmini ha poi precisato che dal computo vanno esclusi gli alunni nati in Italia, ma privi di cittadinanza italiana, circa il 35 per cento degli “stranieri”. Il fine apparente è quello di evitare che le difficoltà (linguistiche, di apprendimento?) degli stranieri si ripercuotano negativamente sull’apprendimento degli italiani, da un lato, e contemporaneamente facilitare l’integrazione dei ragazzi non italiani.

ANNUNCIO DIFFICILE DA RISPETTARE

Rispetto a una precedente proposta della Lega, le classi separate per gli “stranieri”, questa iniziativa sembra largamente preferibile. Rimane l’impressione che, come per il “processo breve”, ci si limiti a enunciare un obiettivo (fiat scuola!), senza specificare come, e con quali mezzi, attuarlo. In particolare: con quali criteri saranno scelti gli studenti da trasferire? Come verranno finanziati i costi di trasporto? Come si risolveranno i problemi di eccessi o carenze di insegnanti che seguiranno? 
I dati del ministero (http://www.pubblica.istruzione.it/mpi/pubblicazioni/index.shtml) mostrano che gli alunni “stranieri”, in crescita costante nell’ultimo decennio, rappresentano circa il 6,4 per cento della popolazione studentesca, si concentrano soprattutto nelle scuole primarie, nel Nord-Est, e raggiungono un picco in Emilia Romagna, con l’11,8 per cento. Esiste poi una forte eterogeneità della presenza di alunni stranieri tra le province italiane, con punte massime nella provincia di Mantova e nei comuni di Prato e Milano (vedi tabella 1).
È utile fare un esempio dei problemi di applicazione che si potrebbero verificare laddove convivono scuole con bassa e alta presenza di stranieri. Consideriamo un comune dove sono presenti due scuole, A e Z (o due comuni limitrofi, ciascuno con una scuola): nella prima, A, le classi, composte da venti alunni, hanno una bassa percentuale di stranieri (in viola nella figura 1): uno su venti, il 5 per cento. Nella seconda, Z, invece gli stranieri sono in maggioranza: tredici su venti, il 65 per cento.

TUTTI SI MUOVONO

Se è vero, come sembra trasparire dalla filosofia che ispira il provvedimento del ministro, che l’apprendimento degli alunni migliora, a parità di rapporto insegnanti/alunni, tanto più omogenee sono le classi, la soluzione ottimale consisterebbe nel ripartire gli stranieri (quattordici in tutto) e gli italiani (ventisei) equamente, come nella figura 2, creando in entrambe le scuole delle classi con tredici italiani e sette stranieri, che rappresenterebbero il 35 per cento, vicino al tetto Gelmini.
È questo l’obiettivo del provvedimento? Si noti che questa soluzione richiederebbe di trasferire sei stranieri (per classe) dalla scuola Z alla scuola A e sei italiani dalla scuola A alla scuola Z.
Ecco dunque alcuni problemi che si porrebbero: 1) costi di trasporto. Ogni mattina una ampia frazione di studenti (il 30 per cento nell’esempio) andrebbe trasferita, avanti e indietro: quanto costa e chi paga? 2) Parità di diritti. Come verrebbero scelti gli italiani e gli stranieri da “riallocare”, senza violarne la parità di diritti? 3) Abbandono scuola pubblica. Accetteranno (i genitori de)gli italiani che frequentavano A di essere trasferiti nella scuola Z? Quanti, non opteranno piuttosto per una scuola privata? 

SI TRASFERISCONO SOLO GLI STRANIERI

Una soluzione alternativa, forse implicita nella filosofia del provvedimento, è che la “riallocazione” debba riguardare solo gli stranieri, ammesso che questa scelta non violi la parità di diritti. Nel nostro esempio, al fine di ottenere una composizione pressoché uniforme tra le scuole, bisognerebbe riallocare nove stranieri dalla scuola Z alla scuola A (vedi figura 3). In questo caso, si risparmierebbe sui costi di trasporto degli alunni. Ma si porrebbe, accanto ai precedenti, un nuovo problema: il trasferimento degli insegnanti. Infatti, nella scuola Z rimarrebbero solo undici alunni per classe, mentre in A gli alunni sarebbero ventinove. Dunque, si renderebbe necessario trasferire anche gli insegnanti per non penalizzare l’apprendimento nella scuola A e favorire Z. Come poi applicare il tetto del ministro nei comuni, come Prato o Mantova, con fortissima concentrazione di alunni stranieri?
Per concludere, se risulta condivisibile l’obiettivo del provvedimento, la sua applicazione sembra piuttosto complicata. È lecito allora porsi una domanda: invece di spendere risorse per trasportare studenti su e giù, non sarebbe preferibile usarle per accrescere il numero di insegnanti nelle scuole in difficoltà?

Fonte: Ministero Pubblica istruzione Alunni con cittadinanza non italiana scuole statali e non statali, anno scolastico 2007/2008.

 

Figura 1: Classe A e Classe Z

Figura 2: Classi identiche in A e Z

Figura 3: Riallocazione dei soli stranieri

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18 commenti

  1. Furetto

    Finalmente un’analisi sensata e accurata su questa proposta. E non risposte preconcette, sia positive che negative. L’intento secondo me è condivisibile, però come fate notare voi non sempre è applicabile. Ci dovrebbero comunque essere delle linee guida per evitare classi ghetto all’interno di una stessa scuola oppure di scuole ghetto all’interno di un comprensorio scolastico. E poi aumentare le risorse con approcci mirati all’integrazione laddove ce n’è bisogno è in ogni caso la strada migliore. Soprattutto in caso come Prato o Milano, dove la strada del tetto del 30% non è percorribile. Siete proprio grandi firme! 😉 Furetto.

  2. ambrogio rinaldi

    Alla domanda con cui si conclude l’articolo risponderei: no, non mi pare preferibile. Infatti, come tutti sanno anche dalla propria esperienza personale, l’integrazione (anche linguistica) ha luogo molto di più tramite lo sviluppo dei rapporti tra pari età, piuttosto che attraverso l’insegnamento da parte di "superiori" più anziani (quali i maestri). Quindi l’idea di tendere ad avere nelle classi una percentuale di stranieri significativa, ma non preponderante, mi pare davvero giusta. Anche in termini di costi, è probabile che il provvedimento possa essere gestito in modo equilibrato, con costi complessivi senz’altro minori da quelli che deriverebbero dall’impiego di personale aggiuntivo, suggerito nell’articolo. Per favore, cerchiamo di valorizzare quello che c’è di buono in alcuni provvedimenti del Governo, senza essere sempre necessariamente critici, e magari cerchiamo di incoraggiarne un’applicazione rapida, efficace, e a costi ridotti.

  3. Roberto Simone

    La domanda con cui si chiude l’articolo, dal punto di vista del ministro, immagino che abbia poco senso. Per aumentare il numero di insegnanti, infatti, a pagare è sicuramente la scuola. Imponendo il tetto invece, a pagare saranno con tutta probabilità le famiglie (quasi certamente quelle degli immigrati, perché, non dimentichiamoci che "padroni a casa nostra!") che dovranno accompagnare i figli nelle scuole indicate (e se non lo fanno… bhe… peggio per loro!) e, se necessario, gli insegnanti costretti a spostarsi.

  4. Raffaele Ladu

    Manasse ha mostrato che il provvedimento è inattuabile; ma non ha osservato che gestire una quota significa individuare le persone che ne fanno parte, ovvero obbligare le autorità scolastiche a censire gli stranieri, e questo solo fatto fa loro danno perché trasforma un caso della vita nel fondamento della loro carriera scolastica futura, e li candida a diventare capri espiatori. Se in una classe non si impara, se ne darà la colpa agli alunni stranieri, senza preoccuparsi di valutare le effettive capacità e disponibilità ad apprendere di ognuno di loro, che non sono logicamente dipendenti dalla cittadinanza o dal luogo di nascita.

  5. Franco M.

    La proposta del ministro Gelmini, anche se decisamente più condivisibile rispetto ad idee di "classi ghetto", ha più l’aria di essere una mossa di propaganda, tanto per rassicurare la parte dell’elettorato più impaurita dai fenomeni migratori. Credo infatti che, se escludiamo dal computo gli studenti "stranieri" ma nati in Italia, le classi in cui potenzialmente si debba applicare tale limite siano un’esigua minoranza (non disponendo di dati, ragiono per intuizione e basandomi su quello che vedo in giro). Piuttosto, mi sembra che lo spartiacque rappresentato dalla nascita in Italia sia discutibile. Se lo scopo è "avere classi in cui almeno il 70% degli alunni conosce bene l’italiano" lo status di "studente italiano-italianizzato" dovrebbe essere raggiunto mediante un esame di lingua e non con la semplice nascita. Ci possono essere bambini stranieri che vanno in prima elementare e che, pur essendo nati in Italia, hanno parlato solo la lingua dei propri genitori ed hanno frequentato solo connazionali e ci possono essere bambini nati all’estero ma sono venuti a vivere in Italia piccolissimi, hanno sempre frequentato bambini italiani e sanno la lingua.

  6. aldo

    Non vedo l’ora di vedere tutti quegli stranieri invadere le scuole chic frequentate dai figli della buona borghesia, quelli che si riempiono la bocca con la parola "integrazione, ma poi la fanno pagare ai ceti popolari. Se hanno bisogno li guido io i pulmini.

  7. antonio cianci

    Il provvedimento è astratto ed inutile e dimostra una scarsa conoscenza dei meccanismi scolastici da parte di certi soloni eterni esperti del Miur. Nessuno deve spostare nessuno. Basta lasciare la libertà a chi vuole frequentare una scuola di iscriversi dove vuole e dove c’è evidentemente posto, lasciando ai dirigenti scolastici la sapienza di mescolarli con buonsenso. Assicurando a chi ne avesse bisogno un sostegno per la lingua italiana. Per la scuola primaria non ci sarebbe bisogno di alcun aiuto, poichè i bambini da 4-8 anni apprendono velocemente la lingua e si integrano alla perfezione giocando e dialogando con i coetanei. Quel che conta è fare seriamente e non con la consueta superficialità nostrana!

  8. iansolo

    Non ho be capito se il provvedimento interessa solo il primo anno (quello d’iscrizione alle prime classi) o anche quelli successivi. Cosa accade se, per esempio, in una prima classe composta da 3 alunni non italiani e da sette italiani vengono bocciati uno o piu’ alunni italiani? Gli stranieri vengono invitati a "presentarsi" altrove?

  9. mauro vecchietti

    La nota Gelmini è inapplicabile. ci sono troppi casi in cui si può sospendere la soglia del 30% (art.3). inoltre si assiste ad un continuo scarica barile di competenze e responsabilità..guardate alla fine..come e con quali soldi si dovranno costituire queste task-force? e poi si parla di competenze linguistiche in ingresso..bene! Ma come si calcolano se non sono uniformate in Italia. ognuno ha le sue perchè mancano linee nazionali. ultima cosa: la legge 440/97. In questa legge (in cui il finanziamento annuo non è mai scontato) se mai dovessero esserci due lire, logica vuole che siano già impegnate per altro. E’ così basso il finanziamento per le politiche dell’immigrazione che budget di piccoli comuni sono spesi totalmente per l’utilizzo di uno scuolabus.

  10. carmen

    Ma quando lo capiremo noi italiani che questo governo qulasiasi questione affronti fa solo demagogia, sapendo di farla, e mente, sapendo di mentire, perché l’unico obiettivo è quello di ottenere il consenso necessario per stare al potere per proteggere qualcuno dai suoi guai giudiziari. Insegno nella scuola dell’infanzia nel nord Italia: i bambini stranieri nel 99,99% sono nati in Italia. Ergo tetto del 30% inutile, e questo il MIUR e il suo MInistro lo sanno bene. Pura demagogia. Solo demagogia. Nient’altro. Perché nient’altro è rimasto ormai nelle menti, nei cuori e nelle coscienze degli italiani. Inebetiti da un mondo inesistente. Pardon… esistente in TV. Buona visione a tutti.

  11. guido goldoni

    Principio astrattamente condivisibile, becera applicazione centralista, realizzabilità nulla, ma consenso assicurato tra gli avventori del bar all’angolo. Snellire le classi assumendo nuovi insegnanti sarebbe una spesa per lo stato, mentre pagare i trasporti verrà scaricato sui comuni a parità di budget. Che poi siano gli immigrati a doversi spostare e non gli italiani è evidentemente una discriminazione che ormai non notiamo nemmeno più.

  12. mario

    Il problema dell’inserimento è un altro. E’ quello dell’aiuto insegnante che si ritrova in classe uno, due, tre alunni che non parlano italiano ed è sola con gli altri alunni italiani. A questo il ministro non ha pensato.

  13. Adriano Stabile

    Per quanto riguarda l’obiettivo che si prefiggeva, di non penalizzare nessuna classe con un eccessivo numero di "lingua madre non Italiana", forse esiste un alternativa. E’ vero che studenti non di madre lingua, rendono più lento e difficile lo svolgimento del programma scolastico,ma è anche vero che non sono solo gli studenti stranieri a "rallentare" le lezioni, ma anche quelli italiani poco volenterosi, o poco capaci, o con bisogno di qualche sostegno. Sarebbe eccessivamente discriminante pensare a una scuola " su livelli ", a partire dalle scuole superiori, che dedichi più materie e programmi più vasti e più approfonditi agli studenti maggiormenti capaci, e programmi semplificati ma con maggior sostegno e aiuto per gli studenti che abbiano bisogno di recuperare?Penso a una istruzione più su misura dello studente, che garantisca comunque una veloce maturità senza frustrazioni agli studenti che non sanno raggiungere il livello dei compagni,ma che sono comunque capaci di imparare l’essenziale per affrontare l’università e il lavoro;e garantisca ai migliori studenti di non essere rallentati da quelli meno bravi. Penso a cambiamenti di livelli, senza costringere a cambiare l’indirizzo.

  14. Marco Dore

    Mi pare che l’articolo pecchi di partigiana superficialità. E’ difficile aver voglia di trovare qualcosa di buono nelle proposte di un ministro che pare avere il mandato di demolire la scuola pubblica italiana, ma ogni analisi dev’essere completa. 2 i punti rilevanti di cui non trovo traccia: – distribuzione "intra-istituto" degli studenti stranieri – mobilità volontaria degli studenti italiani Ho esperienza personale di realtà in cui la distribuzione degli studenti stranieri tra le classi della stessa scuola è fortemente disomogenea: dal 30% a zero, con la motivazione di ottimizzare l’uso di risorse specializzate. Tipicamente sono scuole relativamente poco interessate dal fenomeno, per cui il tetto del 30% potrebbe essere alto. Si tratta comunque di una scelta socialmente non positiva, che può essere ridotta ridistribuendo i flussi d’iscrizione. Chi sa e può, fa di tutto per iscrivere i figli dove vuole, non nella scuola di zona. La mobilità di studenti italiani che vogliono evitare le scuole ad alta concentrazione di non italiani sarebbe ridotta dal provvedimento del 30%. Infine il 30% è localmente modulabile. Provvedimento migliorabile ma che sancisce un principio positivo.

  15. Andrea

    Non mi sembra un articolo di critica alla mossa del governo, come sostiene qualcuno qui sotto, quanto un invito a riflettere alla sua applicazione. E’ davvero possibile e facile applicarlo?

  16. sandro_aa

    E’ abbastanza verosimile che i genitori italiani si rifiuterebbero di lasciar spostare i propri figli quindi si dovrebbe ipotizzare di spostare i soli alunni stranieri. Ma … non mi risulta che in Italia ci siano scuole con abbondanza di aule disponibili (sarà ovvio ma ricordo che bidelli, insegnati, alunni si possono spostare ma le aule no) … quindi la proposta del Ministro è lodevolissima ma sostanzialmente irrealizzabile.

  17. Innocenzo Malagola

    Come dice il giornalista, è un provvedimento "anche condivisibile". Direi piuttosto che è un provvedimento necessario e urgente, meglio tardi che mai, per frenare e rimediare lo slittamento verso la creazione di classi ghettizzate. Occorre fornire idee atte ad aiutare i vari istituti a metterla in pratica, con la dovuta elasticità. Mi sembra allucinante il suggerimento di aumentare gli insegnanti, dopo anni e anni di inserimento brutale, senza concorsi veri, che ha pianificato verso il basso l’insegnamento, moltiplicando quasi all’infinito il numero di istituti, università (in ogni piccola località) e professori (amici degli amici) a favore solamente del centro di potere sindacale . Il costo del nostro sistema di insegnamento è rappresentato per oltre il 95% dagli stipendi! Speriamo che la Gelmini, con l’aiuto di tutti, riesca a cambiare questa mentalità e a introdurre un pò di meritocrazia, riorganizzando questo povero sistema scolastico così inefficiente. Le risorse si risparmiano con una migliore efficienza, che non pare essere molto difficile nel caso italiano, se non vi sono ostacoli di centri di potere politici o similari.

  18. Carmine Paolo De Salvo

    Il mio è un breve commento che non entra nel merito dell’articolo del Prof. Manasse, ma allarga semplicemente la prospettiva. Ho frequentato la scuola in un piccolo paese della Basilicata e mi spiace dire che, seppure non sia mai stato interessato direttamente dal fenomeno, ho visto andare in cattedra più di un insegnante, italianissimo, con grosse difficoltà nell’uso dell’italiano. Speculando un pò, non credo fossero casi troppo isolati. Il ministro, tra le altre cose, potrebbe pensare anche a questo, se ci tiene davvero alla qualità dell’insegnamento.

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