Lavoce.info

Ma la formazione continua paga

Se la formazione professionale per lavoratori disoccupati è poco efficace, le cose vanno meglio con la formazione continua degli occupati. Chi vi partecipa ottiene retribuzioni notevolmente più elevate, in particolare nelle piccole e medie imprese. Perché l’incentivo a finanziare corsi inutili e fittizi è minore e soprattutto perché è un tipo di formazione che avviene spesso in azienda. I sussidi pubblici sono gestiti dalle Regioni. Così nel periodo 1994-2005 la spesa per abitante varia dai 22,6 euro della Regione Calabria ai 286,7 euro del Trentino Alto Adige.

 

In un articolo apparso su La Repubblica del 20 agosto 2010, Davide Carlucci e Antonio Fraschilla dipingono un quadro sconfortante sull’’efficacia delle risorse pubbliche spese per la formazione professionale dei disoccupati. Niente di nuovo per gli economisti, i cui studi mostrano che investire nella formazione professionale dei lavoratori disoccupati ha scarso impatto, soprattutto tra i giovani in condizioni economiche svantaggiate, non solo in Italia, ma anche in Europa e negli Stati Uniti. (1)

FORMAZIONE E AUMENTI DI SALARIO

In Italia e in altri paesi europei, le risorse pubbliche dedicate alla formazione non si rivolgono soltanto ai disoccupati, ma sono destinate anche a imprese e lavoratori occupati. In questi casi, si parla di formazione continua. In un recente lavoro, mostriamo come la spesa pubblica in formazione continua nel nostro paese abbia un impatto modesto sulla formazione effettuata. (2) Tuttavia, poiché chi è indotto a fare più formazione a causa dei sussidi pubblici ottiene retribuzioni notevolmente più elevate, soprattutto nelle piccole e medie imprese, mostriamo anche che spendere un euro pro-capite in più per finanziare la formazione continua aumenta i benefici attesi di più di un euro. (3)
Nel nostro paese, i sussidi pubblici alla formazione continua sono gestiti dalle Regioni, che utilizzano risorse stanziate dal Fondo sociale europeo e dalle leggi nazionali 236/93 e 53/00, e dalle parti sociali, tramite i fondi di formazione inter-professionali. Durante il periodo 1994-2005, le risorse complessive destinate dalle Regioni per la formazione professionale dei lavoratori sono state pari a 3,37 miliardi di euro a prezzi costanti, di cui 2,7 miliardi finanziati dal Fondo sociale europeo. (4) Alcune Regioni hanno speso più di altre: la spesa per abitante nel periodo considerato varia dai 22,6 euro della Regione Calabria ai 286,7 euro del Trentino Alto Adige. (5)
Per valutare i benefici generati da questi sussidi servirebbero dati sulla produttività del lavoro. Poiché questi dati non sono tipicamente disponibili, utilizziamo le informazioni statistiche sulle retribuzioni, che nel medio periodo tendono a variare con la produttività del lavoro. I benefici stimati sono il risultato di due effetti: l’’incremento della formazione in seguito ai sussidi e l’’incremento delle retribuzioni per chi ha modificato la propria formazione a seguito dei sussidi.
Stimiamo che un euro pro-capite in più messo a bando dalle Regioni per la concessione di sussidi alla formazione continua aumenti dello 0,26 per cento la percentuale di lavoratori nel settore privato che fanno un corso addizionale di formazione. L’’effetto è modesto e può essere dovuto alle seguenti ragioni: 1) parte delle risorse stanziate non viene erogata dalle Regioni, per difficoltà di spesa o per scarsità di domanda; 2) alcune risorse pubbliche finanziano episodi formativi che si sarebbero svolti anche in loro assenza di risorse pubbliche; 3) la presenza di sussidi induce i fornitori del servizio ad aumentare i prezzi.
L’’incremento delle retribuzioni per chi ha modificato la propria formazione è invece rilevante: stimiamo che un corso di formazione in più aumenti le retribuzioni nel primo anno dopo l’’investimento del 18,6 per cento, in linea con la letteratura esistente. (6) L’incremento rimane positivo ma diminuisce nel tempo, perché il nuovo capitale umano si deprezza.
Supponiamo che una Regione ipotetica con una popolazione nella fascia di età 15-64 pari a 1,94 milioni nel 2005 – (cioè la media regionale italiana) aumenti le risorse assegnate ai sussidi alla formazione continua di un euro pro-capite. I costi addizionali sono pari a 1,94 milioni. Nell’’ipotesi che i lavoratori indotti a fare formazione dai sussidi abbiano retribuzioni più basse della media, pari ad esempio al 75 per cento della retribuzione media osservata nel 2005, stimiamo che i benefici addizionali per la Regione ipotetica un anno dopo l’’aumento delle risorse assegnate ai sussidi ammontino a 2,29 milioni. Questo valore si ottiene come segue: siccome gli occupati nel settore privato e con età tra 20 e 55 anni nella regione ipotetica sono 423.500 nel 2005, solo 1.116 individui (0,26 * 423500) sono indotti dal sussidio a fare più formazione. Per ciascuno di questi individui la retribuzione annua netta aumenta di 2.055 euro nel primo anno dopo l’’introduzione del sussidio (11050*0.186). Nel complesso, i benefici aumentano di 2,29 milioni (2055*1116). In un solo anno, quindi, i benefici addizionali sono sufficienti a coprire i costi addizionali della politica di sostegno alla formazione continua.
Tra le ragioni per cui gli incentivi alla formazione continua sembrano aver maggiore possibilità di successo degli incentivi alla formazione dei disoccupati citiamo: 1) i primi sono tipicamente a cofinanziamento. Poiché una parte dei costi della formazione ricade comunque sui lavoratori o sulle imprese, l’’incentivo a finanziare corsi inutili e fittizi è certamente minore di quanto avvenga nel caso dei disoccupati; 2) la formazione continua avviene spesso in azienda, ed è noto che questo tipo di formazione ha maggiori probabilità di successo di altre tipologie di formazione.

Leggi anche:  Anche il lavoro autonomo festeggia il primo maggio

(1)Si veda Martin J. and Grubb D, (2001), “What works and for whom: a review of OECD countries’ experiences with active labour market policies”, IFAU Working Paper, n. 14.
(2) Si veda Brunello, Comi e Sonedda, (2010), “Training Subsidies and the Wage Returns to Continuing Vocational Training. Evidence from Italian Regions”, IZA Discussion Paper 4861.
(3) Questo non vuol dire però che spendere quell’’euro in più in formazione sia il modo più efficiente di utilizzare le risorse pubbliche.
(4) Escludiamo in questo conteggio i fondi inter-professionali, che sono decollati a fine 2004.
(5) La spesa programmata per abitante si ottiene dividendo le risorse messe a bando per la popolazione attiva.
(6)Poiché un corso nei nostri dati dura in media quattro settimane, il rendimento per settimana è del 4,4 per cento, in linea con i risultati presentati nella rassegna di Leuven E and Oosterbeek H, 2008, “An alternative approach to estimate the wage returns to private-sector training”, Journal of Applied Econometrics, vol. 23(4), pages 423-434.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  L'alternanza scuola-lavoro? A volte porta all'università

Precedente

I dati sul federalismo? Solo per pochi intimi

Successivo

Le fondazioni bancarie: una risposta a mucchetti

  1. Piero

    Spesso gli aumenti di retribuzione sono dati agli amici (logica familistica/clan che tutti conosciamo ampiamente in Italia) e gli stessi amici usufruiscono anche dei Fringe Benefit di cui la Formazione fa spesso parte. Indi credo che spesso si confonda la causa (gli amici li trattiamo meglio) con l’effetto (gli amici guadagnano di più perchè sono meglio formati). Comunque sempre meno-peggio di quella per i disoccupati. In quel caso a guadagnarci sono i formatori. Che sapiamo tutti essere legati alla politica regionale e ai sindacati. In questo caso paga i formatori.

  2. francesco

    Concordo con quanto detto circa la formazione continua. Riguardo la formazione per disoccupati, si nota la presenza di corsi su figure professionali "improbabili", quanto su figure che sarebbero necessarie; ce nè di fatta male, ma anche ci sono tanti corsi ben fatti. Sui corsi ben fatti l’allievo è in grado di svolgere ruoli e mansioni, come ben dimostra negli stage presso le aziende; e quì la formazione esaurisce il suo ruolo. Bisognerebbe approfondire l’indagine, invece, sui motivi che spingono gli imprenditori a non procedere con le assunzioni "vere", anche quando le aziende vanno bene.

  3. Marcello Battini

    Anche senza scomodare ricerche scientifiche è inevitabile che la formazione continua possa dare, da subito, un aiuto all’incremento dellla produttività individuale e quindi delle retribuzioni. Non sono invece del tutto daccordo sulla improduttività della formazione a favore dei disoccupati, ma con questo accorgimento: occorre impegnare i disoccupati, corrispondendo loro un assegno dio disoccupazione, in lavori socialmente utili, preceduti da corsi di formazione attinenti al lavoro di pubblica utilità che saranno chiamati a svolgere.

  4. Maria Cristina Migliore

    Mi unisco a Piero nel sollevare la questione della relazione causale tra investimenti in formazione e retribuzioni. So che in letteratura vi è una posizione teorica, oggi dominante, che sostiene che vi sia una relazione causale e positiva tra queste due variabili. Chi applica modelli statistici tende ad applicare questa teoria senza discutere quali meccanismi leghino queste due variabili. Esempi di meccanismi: a) le retribuzioni aumentano perchè chi ha fatto formazione ha più competenze e migliorato le proprie pratiche lavorative, b) vi era già stato un accordo per cui il passaggio di livello retributivo era condizionato alla frequenza di un corso di formazione. Solo se si verifica il primo tipo di meccanismo, vale la pena investire nella formazione continua formale. Nel secondo caso invece si ha solo sperpero di denaro pubblico. Chiarisco: non sono contraria all’apprendimento nei posti di lavoro. Sono critica nei confronti all’enfasi che si dà in letteratura e nei discorsi degli opinion leaders alla formazione formale, trascurando di interrogarsi su che cosa sia l’apprendimento e come questo avvenga nei posti di lavoro.

  5. Claudia Villante

    Se la formazione continua sembra avere un impatto positivo (sebbene occorrerebbe verificare con un metodo controfattuale, l’impatto netto dell’intervento formativo), non è affatto dimostrato scientificamente l’inefficacia della formazione professionale rivolta ai disoccupati, nel senso che non esistono indagini specificamente rivolte a questa tipologia di target. O meglio, essendo i disoccupati una tipologia estremamente eterogenea (di breve di lunga durata, inoccupati, in cig etc.) esistono indagini di placement mirate che dimostrano la maggiore efficacia sulla fascia più "forte" sul mercato del lavoro (con titoli di studio alti e più giovani). Si sta portando avanti, da qualche tempo a questa parte, una profonda revisione delle politiche formative in ottica maggiormente integrata con altre politiche attive sul mercato del lavoro. Il ragionamento dunque andrebbe spostato non sull’efficacia in sé di interventi isolati e appartenenti ad una logica ormai vecchia centrata sull’erogazione dell’unità corsuale, ma sulla possibilità e capacità delle amministrazioni locali (Regioni e Province) di utilizzare il FSE in un’ottica maggiormente legata ai bisogni delle imprese e dei territori.

  6. giulio

    L’errore maggiore è affidarli a enti privati. Tali enti, o meglio le persone che li dirigono, essendo state designate a quel compito dalla corruzione politica, badano unicamente al proprio arricchimento (e a quello dei loro protettori), dimenticando la principale ragion d’essere di tali corsi, ovvero l’erogazione di nozioni e competenze potenzialmente utili per rientrare nel mondo del lavoro. Altro errore è lo svolgimento della parte pratica, obbligatoria per tali corsi, in azienda. Se l’azienda fin dall’inizio della parte pratica presso sé medesima non prevede di successivamente assumere il corsista praticante, ben si guarda dal distogliere proprie energie interne per istruire una persona che di lì a poche settimane si allontanerà per sempre e non tornerà mai più. Per il corsista frequentemente la parte pratica si risolve nello stare a casa a dormire e nel farsi firmare le presenze dal responsabile aziendale del corsista medesimo, oppure nell’essere in azienda ma unicamente adibito a fare fotocopie. Altro punto dolente è la qualità di coloro che insegnano in tali corsi, scadente e dalle ripercussioni involontariamente comiche.

  7. Roberto Sacchelli

    Il valore del gruppo sulla singola individualità. Per rispondere alla crescente turbolenza, competitività e globalizzazione dei mercati, già da un po’ di anni le imprese tentano di perseguire condizioni che appaiono tra loro contraddittorie, come: più specializzazione ma anche più integrazione, più autonomia ma anche più partecipazione al gioco di squadra, più innovazione e creatività ma anche più rapidità ed efficienza. La formazione continua nelle imprese è da un po’ di tempo sempre meno fatto episodico (anche per scelta delle programmazioni regionali) e più o meno consapevolmente vuol dire creare squadra, gruppo, unione d’intenti, quasi l’opposto, per assurdo, della formazione per i disoccupati, in cui prevale l’individualità. La formazione in azienda, il corso, anche se a volte sfugge, è sempre più un progetto culturale, uno dei pochi momenti della nostra vita quotidiana che apre spazi di trasmissione vera e propria di abilità, di capacità, sia intergenerazionale che intragenerazionale. La realizzazione di momenti formativi è tra le principali sicurezze che l’azienda può offrire al lavoratore per il suo futuro e questo ne aumenta la visione e una sana ambizione.

  8. Roberto

    Per quanto riguarda gli occupati sottoposti a formazione: nel Bel Paese la FC non viene monitorata. Non è possibile sapere quali effetti ha prodotto perché non esiste una "definizione condivisa" su cosa si intende per "risultato" ovvero, non esiste un sistema di certificazione dell’apprendimento nazionale (ma neppure regionale, aziendale, ecc.) Quindi, dopo aver formato un dipendente, nessuno, che non sia il datore di lavoro o un soggetto delegato dal medesimo, lo esamina e lo promuove (con conseguenze pratiche su salario/posizione professionale per il sogetto) oppure no. A volte (raramente) un accordo sindacale "sostiene" percorsi di professionalizzazione interna ad un’azienda che impiegano (anche) attività formative. Ma il risultato, in termini di chi stabilisce se c’è stato apprendimento e chi ne godrà i benefici in termini professionali, non cambia. Peccato che la competenza istituzionale per la Formazione Professionale, sia stata assegnata alle Regioni e alle Province (delirio ideologico e peda-dogico da consociativismo iresponsabile), che Isfol e facoltà universitarie varie "campino" sulla possibilità di poter governare il sistema.. un giorno.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén