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COMPETITIVITÀ TEDESCA, UN GIOCO DA BAMBINI. PRODIGIO

Il post-crisi è caratterizzato da uno spostamento dei centri del potere economico verso le grandi economie emergenti e da una disperata ricerca di produttività e competitività nelle grandi economie occidentali. C’è riuscita la Germania, che pure è stata pesantemente colpita dalla crisi globale. Come? Partendo dal riconoscimento delle difficoltà e con un’azione di politica economica ispirata a una visione chiara e realistica del futuro. Per creare le condizioni istituzionali e strutturali per lo sviluppo delle attività economiche di domani.

L’ultimo comunicato Istat sul commercio con l’estero del 15 dicembre scorso conferma la ripresa delle esportazioni e delle importazioni italiane in sincronia con tendenze globali: ripresa dell’interscambio per tutti, ma soprattutto per i grandi paesi emergenti. È solo l’ennesimo tassello del nuovo mosaico dell’economia mondiale post-crisi, caratterizzato da uno spostamento prospettico dei centri del potere economico verso le grandi economie emergenti e una disperata ricerca di produttività e competitività nelle grandi economie occidentali.   

COME SI RICONQUISTA LA COMPETITIVITÀ

"L’Italia deve diventare produttiva e competitiva come la Germania", diceva il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi lo scorso ottobre. "Dire che dobbiamo fare come la Germania è superficiale, è roba da bambini" rispondeva a stretto giro di posta il ministro Tremonti. Sicuramente fare come la Germania non è un gioco da bambini, o meglio non è un gioco per tutti i bambini.
La ragione non risiede più soltanto nel proverbiale amore teutonico per la programmazione di lungo periodo (e per il suo rispetto) né per l’altrettanto proverbiale allergia italica a entrambi. Particolarmente istruttivo, in termini comparativi, è il recente documento programmatico su “Europe and External Economic Policy” pubblicato dal ministero federale dell’Economia e della Tecnologia nel marzo 2010.
Il documento si apre con una lucida analisi della situazione in quel momento. A causa della crescente competizione internazionale, dei rapidi progressi tecnologici e dell’incertezza del quadro economico globale, si riconosceva con preoccupazione che, nonostante i successi degli ultimi anni, il mantenimento della competitività dell’industria tedesca fronteggia sfide continue. Nel 2009, infatti, la domanda era crollata in quasi tutti i mercati chiave, ma la Germania, con il suo forte orientamento all’esportazione, ne aveva sofferto in modo particolarmente acuto. Mentre il commercio mondiale era caduto del 12,5 per cento, il calo più marcato dalla seconda guerra mondiale, le esportazioni tedesche si erano contratte in modo ancor più pronunciato: del 17,9 per cento.
Preoccupazione e riconoscimento delle difficoltà correnti rappresentava però un motivo in più per agire rapidamente senza aspettare congiunture più favorevoli. Come la crisi globale aveva colpito maggiormente le imprese tedesche, così la ripresa incipiente, per quanto stentata, avrebbe offerto all’economia tedesca la possibilità di emergere in una posizione ancora più forte di prima. L’azione di politica economica doveva, tuttavia, essere ispirata a una visione chiara e realistica del futuro. In questo modo, si sarebbe resa capace di creare le condizioni istituzionali e strutturali per l’ulteriore sviluppo in Germania delle attività economiche del futuro: dall’industria sanitaria a quella della sicurezza, dall’industria aerospaziale a quelle della difesa e dell’energia, dall’industria farmaceutica a quelle della biotecnologia e della salvaguardia ambientale. Un obiettivo così ambizioso si sarebbe potuto raggiungere soltanto attraendo i migliori cervelli del mondo, offrendo un riconoscimento aperto e non burocratico ai diplomi, alle specializzazioni e alle qualifiche ottenute all’estero. Questo però non sarebbe bastato senza trasformare la Germania in una location di prim’ordine per fare affari e sviluppare l’imprenditorialità, magari attraverso la promozione di iniziative comuni tra imprese tedesche e imprese estere sia sul fronte della produzione che dell’investimento.

LA CREATIVITÀ AL POTERE

Mentre alcune idee non sono proprio originalissime, il documento contiene anche due chicche per chi pensa che i tedeschi sono solo noiosi tecnocrati incapaci di addentrarsi con successo in territori creativi tradizionalmente più consoni all’Italia. La prima: il ministero federale dell’Economia e della Tecnologia si impegna a promuovere la mobilitazione dell’industria tedesca in vista dei principali eventi sportivi. Per esempio, la tecnologia della sicurezza sarebbe stato uno dei principali argomenti nell’agenda del ministro durante la sua visita dello scorso aprile in Brasile, paese in cui si svolgeranno i campionati mondiali di calcio nel 2014. La seconda: il ministero federale dell’Economia e della Tecnologia si impegna a favorire le esportazioni di prodotti e servizi culturali e creativi, promuovendo la visibilità e la conoscenza nel mondo di ciò che le industrie culturali e creative tedesche hanno da offrire. A questo scopo, gli strumenti già esistenti per il sostegno del commercio e degli investimenti internazionali in altri settori saranno utilizzati specificamente a vantaggio di tali industrie, in cooperazione con il Centro di eccellenza per le industrie culturali e creative del governo federale.
Dal documento sono passati ormai otto mesi. La Germania è continua a essere il Wunderkind della vecchia Europa e fare come la Germania è sempre più un gioco da bambini prodigio.

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EVOLUZIONE DELLO SPREAD ITALIA-SPAGNA

  1. Tarcisio Bonotto

    Sono interessanti gli aspetti della ripresa tedesca. Dovremmo però pensare a quali siano i motivi per cui la ripresa in Italia non riesce a decollare. Che vi siano, nell’approccio tedesco, anche fattori culturali lo si capisce, vi è più coesione sociale e sistemicità. Quindi la domanda è come creare sistema in Italia? Si osserva molta frammentazione nella struttura sociale ed economica. Una mano non sa che fa l’altra. Si danno un sacco di soldi ai ‘vertici’ perchè siano loro a tirarci fuori dalla crisi. Si pensa che i soli soldi portino a delle soluzioni. No. Quando però si consigliano delle soluzioni, è zsempre difficile accettarle. Dicevamo che un paese che dipende dalle esportazioni è a rischio… Ed è successo, quaindi quale ricetta? Troviamola. Questo è compito degli economisti, dei ricercatori etc…

  2. Lukas Plattner

    Attualmente le esportazioni dall’Italia alla Germania, nostro principale partner commerciale, come sono posizionate? Beneficiamo in qualche del miracolo tedesco?

  3. umberto carneglia

    Recentemente la Germania è diventata un caso da studiare per le sue performances. Così non era fino a qualche anno fa. Sarebbe molto interessante individuare tutti i principali fattori di questa svolta (di cui attenti osservatori come M. Draghi si sono accorti mentve altvi si guavdano la punta del naso). L’articolo molto interessante di G.Ottaviano, evidenzia alcuni di questi fattori. Altri fattori di successo di cui si ha notizia riguardano il rigore dei conti pubblici – basso debito/Pil – la politica del lavoro, che riesce a contemperare liberalizzazione del mercato del lavoro, salari contenuti, partecipazione dei lavoratori nelle imprese e fiscalità del lavoro appropriata. Sarebbe interessante allargare ed approfondire l’analisi degli altri fattori del recente successo tedesco; in particolare la politica del lavoro potrebbe offrire interessanti spunti di riflessione sia in generale sia per quanto riguarda l’Italia, dilaniata dalle polemiche sul caso Fiat.

  4. bob

    La crescita della Germania è legata prima di tutto ad un punto: ha un forte Governo Centrale! Tale condizioni ha permesso di effettuare scelte decise e lungimiranti. Una su tutte, la trasformazione della Germania dell’Est, da un problema ad una opportunità ( e non da poco). La scelta intelligente e lungimirante di puntare tutto il sistema industriale in produzioni di qualità elevata( basta vedere il settore auto , da noi ancora si fa l’ Alfa 164). In Italia stiamo facendo esattamente il contrario. Le cose sono due: o siamo i più furbi e lungimiranti del mondo o rimaniamo un "popolo" di camerieri e maggiordomi!! Circa la vocazione esportatrice dell’Italia basta farsi un giro per l’Europa (come faccio io per lavoro) e capire che come al solito è una enorme bufala! Le ricchezze delle Nazioni si misurano con i mercati interni non con le favole di chi spedisce 4 cartoni di vino a Francoforte. Contiamo quante macchine tedesche vediamo in mezzora in un semaforo di Roma e vediamo quante macchine italiane contiamo a Berlino. Oppure andiamo a vedere quanto spazio occupiamo con i nostri prodotti nei supermercati tedeschi!

  5. emiliana carifi

    Spero che a Mirafiori non sia scontata la vittoria del sì. Gli operai dovrebbero ricominciare a pensare che l’unione fa la forza: cosa pensano che farebbe la Fiat se vincessero i no? Io credo che farebbe marcia indietro. Se gli operai accettassero verrebbero lasciati per strada. C’è una grande differenza con gli operai tedeschi, che lavorano meno e guadagnano di più, che hanno idee e novità, che vendono molto più della Fiat. È chiaramente un problema di classe dirigente, che è allo sbando ed è capace solo di spremere la classe operaia e lo stato.

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