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SORTEGGIO NON FA RIMA CON MERITO

Le nuove norme per i concorsi per professore associato e ordinario prevedono che i commissari esterni siano sorteggiati e non più eletti dai colleghi. Cambia qualcosa per i candidati? Gli interni continuano a godere di un consistente vantaggio sugli esterni. Ma, almeno per Economia, se la qualità dei commissari è al di sopra della media, si presta maggiore attenzione al merito. Le candidate sono in linea generale discriminate, a meno che non ci siano donne in commissione. L’introduzione di quote di genere nella composizione delle commissioni potrebbe rivelarsi utile.

Le norme che disciplinano i concorsi universitari per professore associato e ordinario hanno subito nel 2008 un cambiamento significativo. A seguito del decreto legge n. 180 del novembre 2008 si è passati a un nuovo sistema di formazione delle commissioni giudicatrici: mentre in precedenza i quattro commissari esterni (da affiancare al membro interno nominato dalla facoltà che ha bandito il concorso) venivano eletti dai docenti afferenti allo stesso settore disciplinare, ora i commissari esterni devono essere selezionati tramite un’estrazione casuale.

UN ESAME SUI CONCORSI

Molti dei concorsi universitari per professore ordinario e associato banditi nel 2008 sono ormai conclusi. Che risultati ha prodotto il nuovo sistema? Purtroppo non esiste una banca dati che fornisca informazioni dettagliate su tutte le valutazioni comparative. Poiché raccogliere dati su ogni concorso richiederebbe un’imponente mole di lavoro, allo scopo di tentare una prima valutazione del nuovo meccanismo concorsuale, abbiamo deciso di concentrarci solo su due aree disciplinari: Economia (cinquanta concorsi conclusi) e Chimica (settantotto concorsi conclusi). (1)
Dai verbali di ogni concorso abbiamo raccolto informazioni sulla composizione di ciascuna commissione (640 commissari) e sulle caratteristiche dei circa mille candidati. Per ottenere dati sulla produttività scientifica dei commissari e dei candidati abbiamo utilizzato il software “Publish or Perish” (un programma che analizza le citazioni accademiche basato su Google Scholar) che ci ha permesso di conoscere il numero di pubblicazioni, il numero delle citazioni, gli indici h e g. Questi indicatori sono stati utilizzati per costruire un indice complessivo di produttività. (2)
Utilizzando tali dati, abbiamo stimato la probabilità di risultare vincitore a un dato concorso in relazione alle caratteristiche del candidato e della commissione giudicatrice.
L’analisi è simile allo studio di Roberto Perotti – che ha riguardato i concorsi “locali” con elezione della commissione – e a quella di Daniele Checchi – che ha studiato il concorso nazionale (sistema vigente prima del 1999). (3) Tuttavia, grazie all’estrazione casuale dei membri delle commissioni giudicatrici introdotte nel decreto del 2008, è adesso possibile stabilire delle relazioni di causa ed effetto tra le caratteristiche delle commissioni e gli esiti dei concorsi. Al contrario, nei concorsi svolti prima del cambiamento della procedura, il legame di causalità poteva andare dalle caratteristiche dei candidati a quella della commissione, poiché i commissari erano eletti frequentemente in seguito ad accordi preventivi tra i docenti afferenti al settore scientifico-disciplinare. (4)

INTERNI SEMPRE FAVORITI

Abbiamo innanzitutto cercato di capire se essere già in ruolo nell’università che ha bandito il concorso continua a garantire un vantaggio, come già appurato negli studi precedenti. Dalla nostra analisi emerge che il candidato appartenente all’università che bandisce il concorso gode di un poderoso vantaggio: un interno con caratteristiche medie beneficia di un incremento di 29 punti percentuali nella probabilità di vincere il concorso. Infatti, mentre candidati di qualità media hanno poche chance di vincere se sono esterni (6 per cento), riescono a vincere con una probabilità del 35 per cento se sono candidati interni. (5) Il vantaggio dei candidati interni diventa ancora più consistente se hanno un buon curriculum, cioè se si collocano al 90° percentile della produttività: la probabilità di vincere passa dal 10 per cento se esterno, al 45 per cento se interno. Nella figura 1, che mette in relazione la produttività relativa di un candidato con la sua probabilità di vincere, si nota il sostanziale vantaggio di cui godono i candidati interni. Rispetto a questa anomalia non si riscontra, quindi, nessun sostanziale miglioramento rispetto al passato.

Figura 1. Differenza tra candidati interni e esterni nella probabilità di vincere

Un ruolo rilevante è svolto anche dalla presenza in commissione di qualche membro (a parte il commissario interno) che proviene dalla stessa università del candidato. I candidati che in commissione si trovano un docente della propria università aumentano di 7 punti percentuali la propria probabilità di vincere.
Che spazio resta per il merito? Un candidato che si colloca al 90° percentile in termini di produttività scientifica ha una maggiore probabilità di vincere rispetto a un candidato medio di soli 5 punti percentuali. (6) Ma mentre per l’area di Chimica l’impatto della produttività del candidato sulle sue chance di risultare idoneo non dipende dalla qualità della commissione, per Economia emerge che l’impatto della produttività è nettamente più forte quando la qualità della commissione giudicatrice è al di sopra della media: l’aumento è di 12 punti percentuali. Al contrario, l’incremento è di soli 4 punti percentuali quando a giudicare è una commissione con produttività scientifica al di sotto della media.

IL RUOLO DELLE DONNE

Abbiamo infine voluto esaminare l’eventuale esistenza di discriminazione di genere. Le donne rappresentano il 40 per cento dei candidati e il 31 per cento dei vincitori. Dalla nostra analisi emerge che le commissioni (trascurando il commissario interno) composte esclusivamente da uomini discriminano a sfavore delle donne: infatti, in queste commissioni, a parità di tutte le altre caratteristiche, le donne hanno una probabilità di vincere inferiore di circa 6,3 punti percentuali rispetto a quella di un candidato maschio. Come si può notare dalla figura 2, lo svantaggio viene colmato dalla presenza di almeno una donna in commissione. Una commissione composta sia da uomini che da donne sembra garantire risultati pressoché indipendenti dal genere dei canditati. (7)

Figura 2. Differenze di genere e composizione della commissione

I nostri risultati mostrano che la strada da fare per raggiungere un sistema effettivamente meritocratico nell’accademia italiana è ancora lunga. In particolare, le donne soffrono di una sostanziale discriminazione nelle due aree esaminate, nonostante entrambi i settori siano caratterizzati da un organico con una consistente presenza femminile. (8) Dato che la presenza di donne tra i componenti della commissione giudicatrice permette di colmare il gap tra candidati maschi e femmine, l’introduzione di quote di genere nella composizione delle commissioni potrebbe aiutare a superare il cosiddetto “soffitto di cristallo”.

(1) Nei settori disciplinari SECS-P01, P02, P03, P05, P06 per Economia e da CHIM-01 a CHIM-12 per Chimica.
(2) Per Economia abbiamo anche usato il numero di pubblicazioni presenti nel database Econlit e abbiamo tenuto conto dell’Impact Factor delle riviste ottenendo risultati molto simili a quelli che mostreremo.
(3) Rispettivamente: Perotti, Roberto, “The Italian University System: Rules vs. Incentives”, 2002, www.igier.unibocconi.it/perotti. Checchi, Daniele: “Tenure. An Appraisal of a National Selection Process for Associate Professorship”, Giornale degli economisti e Annali di economia, 58(2), settembre 1999, pp. 137-81.
(4) Si veda Perotti per una discussione più approfondita.
(5) Il vantaggio dei candidati interni è più forte per Chimica (32 punti percentuali) che per Economia (24 punti percentuali).
(6) Sia i candidati che i commissari dell’area disciplinare di Chimica presentano una produttività scientifica più alta rispetto ad Economia. Ad esempio, i candidati di Chimica presentano un h-index medio di 11.38, mentre per Economia tale indice è di 5.6. I commissari (esterni) presentano in media un h-index di 15.11 per Chimica e di 7.13 per Economia.
(7) Per quanto riguarda i risultati sulla discriminazione di genere non si riscontrano differenze tra tipo di concorso (associato o ordinario) o tra aree disciplinari.
(8) In Economia il 28 per cento dei professori è donna (42 per cento dei ricercatori, 26 per cento degli associati e 16 per cento degli ordinari). In Chimica il 42 per cento dei professori è donna (57 per cento dei ricercatori, 40 per cento degli associati e 18 per cento degli ordinari).

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10 commenti

  1. Alessandro Figà Talamanca

    Immagino che i concorsi prevedessero (quasi tutti) due idoneità, che è un modo indiretto per favorire il candidato locale. Forse sarebbe stato più interessante studiare i concorsi a ricercatore, che prevedono un solo vincitore. Gli effetti di una commissione sorteggiata, anziché eletta e formata da commissari di diverso rango accademico, sarebbero stati in questo caso più evidenti. Gli effetti sarebbero stati ancora maggiori se il passaggio da una commissione eletta ad una commissione sorteggiata fosse avvenuto prima della chiusura dei termini per le domande. In ogni caso i concorsi a ricercatore costituiscono il vero momento del reclutamento, dato che quasi tutti i vincitori dei concorsi a professore provengono dai ruoli di ricercatore (o professore associato per i concorsi di prima fascia). Purtroppo la "riforma Gelmini" fa un passo indietro sul problema del reclutamento, che viene affidato a commissioni totalmente interne alla sede che bandisce il concorso (a ricercatore di tipo b) che sarà il concorso più importante, che costituisce il vero reclutamento).

  2. Giulia Zacchia

    Trovo l’articolo molto interessante, in particolare l’accento sulle donne. Tuttavia mi lascia un pò perplessa il fatto che in termini di discriminazione di genere non si riscontrano differenze tra tipo di concorso (associato o ordinario); mi aspettavo un risultato più in linea con il lavoro di Zinovyeva e Bagues (2010) che fanno un esercizio simile sui concorsi universitari in Spagna tra il 2002 ed il 2006 . Nel caso spagnolo, cito gli autori, la "composizione di genere delle commissioni ha un forte effetto sulle possibilità di successo dei candidati al ruolo di professore ordinario. In termini quantitativi, in una commissione di sette membri, un componente addizionale di sesso femminile aumenta del 14% le probabilità di successo delle candidate. Quando invece la commissione deve promuovere al livello inferiore di professore associato, non abbiamo osservato nessuna interazione significativa tra il genere dei valutatori e quello dei candidati". Sembrerebbe quindi che in Italia la situazione sia peggiore: anche per gli inquadramenti più bassi esiste una discriminazione di genere forte. Nelle Università Italiane non solo il soffitto ma anche il pavimento è di cristallo per noi donne?

  3. Amedeo

    Grazie per l’articolo, molto apprezzato. Propongo alcune riflessioni: non ho alcun problema ad accettare che un interno bravo (top 90 perc) prevalga sugli esterni. Il problema è che gli esterni bravi dovrebbero prevalere sugli interni meno bravi. La difficoltà che immagino nel trattare i dati è legata al fatto che ciascuno ha molteplici possibilità di presentarsi ai concorsi – per motivi di pressione a livello di accademia. In Italia non esistono ‘esterni’ specie nelle progressioni di carriera da RU a PA o da PA a PO. Quanti esterni ‘veri’ ci sono nel campione? Cioè quanti esterni al sistema universitario italiano?

  4. svelto vito

    Le considerazioni che seguono vogliono far capire il "rationale" di tanti comportamenti; non li vogliono certamente giustificare! I concorsi per PA e PO sono intesi, nella maggior parte dei casi, come promozioni interne, e non come legati alla necessità di acquisire una nuova competenza esterna. In certi casi un esterno non è neanche ben inseribile in un gruppo di ricerca preesistente. Inoltre, ed è l’aspetto più rilevante, promuovere un interno costa molto meno all’Università che assumere uno esterno. Tutto questo certamente svantaggia il candidato di valore esterno, anche se nei settori scientifico-disciplinari seri si sostiene che il vantaggio per il candidato locale non deve farlo preferire all’esterno molto, ma molto più bravo. Il concorso futuro di idoneità nazionale non cambierà, sensibilmente, la situazione, dato che il numero degli idonei sarà molto elevato rispetto alla possibilità di chiamata nelle Università; il concorso vero, selettivo, sarà quello a valle, che sarà totalmente locale. Sarebbe necessario un risorgimento morale in tanti docenti universitari per rinunciare alla cooptazione del proprio allievo e cambiare il declino degli ultimi decenni!

  5. AM

    Guardandoci attorno possiamo costatare che anche cambiando i criteri di nomina delle commissioni la scelta in base al merito non è affatto assicurata. A parte il fatto che il merito non è misurabile col bilancino nè in Italia nè all’estero e che anche nei temi affrontati dagli studi ci sono predilezioni da parte dei commissari. Ritengo inoltre giusto che il candidato interno sia leggermente favorito perchè è il candidato che ottiene un upgrading senza caricare il bilancio con uno stipendio aggiuntivo. Non sempre poi la commissione favorisce a parità di titoli il candidato interno. Talvolta avviene esattamente il contrario e potrei citare dei casi precisi. Il commissario straniero infine non è il toccasana. In epoca di globalizzazione vi sono rapporti di collaborazione fra scuole italiane e straniere che possono creare favoritismi specie se l’università italiana che sponsorizza un candidato è in grado di affidare ben remunerati incarichi di insegnamento o ricerca.

  6. Federico Pani

    L’articolo a mio giudizio fa emergere un male che caratterizza il nostro paese e che è difficile da estirpare: il clientelismo, la corruzione, il nepotismo sono nel nostro dna. Avevo guardato con favore alla L180, che sicuramente ha migliorato il sistema precedente, ma sapevo che non avrebbe rivoluzionato nulla. Purtroppo si tratta di un problema morale, sul quale le leggi possono intervenire relativamente. Quello che chiedo agli autori o ai commentatori è: ma i concorsi esistono ancora? Perché la riforma Gelmini, all’art.18 (in particolare, si veda la lettera e del primo comma), sembrerebbe introdurre la chiamata diretta (senza concorso, dunque) di professori che abbiano conseguito la fantomatica "abilitazione nazionale". Se così fosse, si tratterebbe per me di un bel passo indietro, della rinuncia a combattere ogni forma di clientelismo. In questo modo, possiamo esserne certi, solo interni diverranno PA e PO!

  7. Maurizio Carpita

    Lo studio è interessante, ma come molti altri soffre di un’evidente carenza: non si considera che, date le caratteristiche delle università italiane, nella valutazione degli esiti dei concorsi (soprattutto quelli di I e II fascia) le commissioni tengono giustamente conto (in modo più o meno esplicito e con pesi più o meno uguali) non solo delle "competenze scientifiche" ma anche delle "competenze didattiche" e delle "competenze organizzative" dei candidati. In altri termini, rispetto alle esigenze dell’Ateneo che ha bandito il concorso, un ottimo studioso che scrive sulle migliori riviste internazionali può non essere per vari motivi un buon insegnante e può non avere adeguate capacità organizzative. Se si considerano anche le competenze didattiche e organizzative si può almeno in parte spiegare perché i candidati interni, da tempo già integrati nell’Ateneo che ha bandito il concorso, dispongano di un evidente vantaggio competitivo rispetto agli altri candidati. Riguardo al problema di genere, il confronto dovrebbe essere fatto al netto dell’effetto "candidato interno" (mi pare non sia così).

  8. Jacques Clement Frere

    Condivido totalmente l’uso di statistiche cliometriche fatto dagli autori per lo scopo di analisi statistiche e di valutazioni di riforme. Penso, però, che sia necessario essere molto prudenti se da qui si passasse a usarle per valutare gli individui che partecipano a concorsi, in particolare se queste statistiche fossero basate su Google Scholar, come fatto in alcuni paesi tra cui la Francia (almeno in economia). L’interessante caso di Ike Antkare (cf. http://www.pacte.cnrs.fr/IMG/pdf_IkeAntkareISSI.pdf ) mostra come Google Scholar e’ totalmente inaffidabile. Ike Antkare è un falso scienziato, creato da un software, che risulta tuttavia aver accumulato in un anno di "lavori scientifici" uno dei piu’ alti h-index di Google Scholar. Peccato che i lavori scientifici siano semplicemente ottenuti da un accostamento di frasi dall’apparenza scientifica ma senza alcun fondamento. Mi sembra un buon esempio che sottolinea che la scientometria può essere solo un criterio di valutazione tra gli altri e non "Il Criterio" come proposto spesso da vari ricercatori (non gli autori in questione). Per evitare eccessi, sarebbe importante che un po’ di spazio al merito rimanga.

  9. AM

    Per mia esperienza personale Google Scholar funziona certamente meglio di altri segnalatori di citazioni come REPEC, che opera anche con notevole ritardo e SSRN, e SSRN. Ho trovato su Google citazioni estere di miei lavori che per me erano una novità. Di contro citazioni di mie opere su pubblicazioni italiane e straniere non sono segnalate da Google. Riassumendo, Google dovrebbe essere utile anche per le valutazioni nei concorsi di discipline economiche e economico-aziendali ricordando che non è completamente affidabile. Comunque meglio di niente se si vuole innovare il metodo tradizionale di valutazione.

  10. Luca Solari

    Se ho capito bene, gli autori utilizzano la produttività scientifica dei candidati. Tuttavia, nel concorso la valutazione riguarda i titoli effettivamente presentati che sono spesso contingentati e valutati in modo relativo e non assoluto.

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