Dopo tre programmi di salvataggio e centinaia di miliardi di euro in aiuti e prestiti, la Grecia è di nuovo in difficoltà, tanto che si ritorna a parlare di rischio Grexit. Il problema è l’economia ancora poco competitiva, non la spesa per interessi. Riforme strutturali e interventi umanitari.
Un’economia ferma
Dopo circa 250 miliardi di euro spalmati su tre programmi di salvataggio, si parla di nuovo di Grecia, di ristrutturazione del suo debito e di Grexit, come se nulla di positivo fosse successo negli ultimi anni. Dal 2000 a oggi, il Pil pro-capite greco è sceso di circa il 25 per cento: il minimo nel 2013, ma da allora l’economia non è più praticamente cresciuta. Di chi la colpa? Secondo Vassillis Papadopoulos, un cameriere greco intervistato dal Guardian, è dei creditori internazionali che “ogni giorno distruggono [la Grecia] un po’ di più”? Vassillis non è il solo ad affermare questa tesi. Ma ha ragione? L’ultimo piano di aiuti, approvato dal governo greco solo la scorsa estate, in cambio dell’aiuto finanziario da parte di Fondo monetario internazionale e dei membri dell’Eurozona, richiedeva riforme tese ad aumentare il gettito fiscale, stabilizzare il bilancio e rendere l’economia più competitiva. In particolare, una delle condizioni ora al centro delle critiche stabiliva l’impegno a un surplus primario, ovvero al netto della spesa per interessi sul debito, pari al 3,5 per cento, per un periodo di tempo sostanzialmente indefinito, a partire dal 2018. L’Fmi spinge ora perché i membri dell’Eurozona, principali creditori della Grecia, ristrutturino il debito attraverso un mix di riduzione del suo valore nominale, allungamento delle scadenze e riduzione dei tassi di interesse: tutte misure che comporterebbero un nuovo default, parziale, di Atene. Secondo l’Fmi, non è pensabile che il paese possa riprendere a crescere, mantenendo allo stesso tempo gli impegni presi in termini di avanzo primario, mentre un target pari al 1,5 per cento sarebbe più credibile.
Non basta la ristrutturazione del debito
Difficile che la sola riduzione dell’obiettivo di avanzo primario risollevi le sorti della Grecia. Stesso discorso vale per la ristrutturazione del debito che avrebbe un grande rilievo mediatico e aiuterebbe politicamente la maggioranza di Syriza, ma non cambierebbe di molto le cose. Infatti, sebbene il debito greco abbia oramai raggiunto il poco invidiabile livello del 180 per cento del Pil, la spesa per interessi è relativamente modesta (circa 4 per cento del Pil) perché i creditori – membri dell’Eurozona e Fmi – applicano tassi estremamente vantaggiosi. Se la Grecia non cresce, dunque, non è certo per l’alto debito o per gli interessi proibitivi sul debito. Se azzerassimo oggi con un tratto di penna tutta la spesa per interessi, la Grecia non sarebbe comunque in grado di coprire la sua spesa pubblica. Dal 2000 in poi non è mai riuscita a registrare un surplus di bilancio e, anche al netto della spesa per interessi, le entrate fiscali non pareggiano le spese. I governi che si sono alternati negli ultimi anni hanno approvato importanti riforme che hanno modernizzato e reso più competitivo il paese, con costi molto severi per tanti cittadini greci che hanno visto ridursi il proprio reddito disponibile. Ma la Grecia resta ancora un paese troppo poco competitivo. Ad esempio, la spesa per le pensioni vale ancora il 15 per cento del Pil, circa il doppio della media Ocse; per ogni pensionato, vi sono meno di due cittadini greci che lavorano (circa 1,7); più della metà delle famiglie non è tenuta a pagare tasse; molti settori dell’economia sono ancora chiusi alla concorrenza; il piano di privatizzazioni è sostanzialmente bloccato. Se nel 2014 il paese aveva raggiunto, faticosamente, il pareggio del surplus primario e ricominciato a crescere, la situazione, dopo il fatidico referendum dell’estate scorsa, con la quasi uscita dall’euro e la sostanziale distruzione del sistema finanziario, è nuovamente peggiorata. Cosa fare? I greci devono continuare lungo la strada, lunga e difficile, della riforme. Riprendere a crescere è l’unica vera speranza. Nella fase di transizione, i paesi dell’Eurozona dovrebbero intervenire per sostenere i cittadini greci in difficoltà, come si fa per i paesi colpiti da una catastrofe, inviando farmaci, attrezzature mediche e anche derrate alimentari. Ma sbaglia Vassillis a negare l’evidenza: i responsabili della situazione drammatica della Grecia non sono i creditori internazionali, ma i tanti governi che si sono alternati negli ultimi anni, gli interessi corporativi e, quindi, alla fine, gli stessi cittadini greci.
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Claudio Bellavita
basta andare in un supermercato, pieno di ottimi e convenienti prodotti spagnoli, e quasi nulla dalla Grecia, e quel poco non conveniente
Marco Spampinato
Incomprensibile una valutazione che come elemento di evidence riporta la percentuale di pensioni sul pil e di pensionati su lavoratori. Il paese è in recessione, ha una disoccupazione totale al 25% e giovanile intorno al 50%, comincia a dare segni di calo demografico come bizzarra conseguenza della miseria. Senza contare i lavoratori scoraggiati fuori dalle forze di lavoro, i giovani che studiano all’estero e cercano di emigrare, Se un programma unisse un obiettivo di maggiore eguaglianza con una decisa spinta ad investimenti pubblici parleremmo di un altro mondo. Ciò che sappiamo è che la Grecia privatizzata persino gli aeroporti, In cambio di che cosa? Non una riga scritta da un economista italiano analizza la realtà sotto questo punto di vista. Arriva poi l’esperienza di un signore che entra al supermercato in Italia e trova solo lo yogurt greco, eccelente ma.. costoso. Non trova l’olio e altri prodotti che fanno concorrenza, a New York ad esempio, a quelli italiani e spagnoli, e costa meno. Questo significa chiaramente che i greci sono un popolo di cialtroni e i tedeschi, che hanno meno debito, più soldi e industrie, sono migliori lavoratori. Giusto? L’ignoranza pensa e vota sempre nello stesso modo.
Mario Rossi
Caro Borri è proprio questo il tema! lo stesso problema che c’è in Italia! l’economia non cresce semplicemente perchè in Grecia non c’è più una economia. Per prendere i voti, che oramai è l’unico mestiere della politica, si distrugge l’economia reale a vantaggio di corporazioni e gruppi di potere che portano voti è vero ma non portano fatturato e occupazione. Come fa la Grecia a crescere se oramai non sa più produrre niente. Cosa può vendere la Grecia se non produce nulla, solo assistenza e i fantomatici servizi tanto cari anche ai nostri politicanti?L’economia Greca non ripartirà mai più e un bel giorno i greci si sveglieranno come cittadini di una colonia di qualche gruppo multinazionale.
Henri Schmit
Il giudizio dell’autore è duro e impegnativo. Sono convinto che abbia ragione. E se valesse mutatis mutandis anche per l’Italia? Forse non sbaglia solo il cameriere Vassili.
Massimo Gandini
ottimo articolo che in poche righe demolisce tutti i luoghi comuni che ci vengono propinati sulla situazione greca
alessandro
3 programmi di salvataggio…scritti dai medici…medicine e ricette scritte da specialisti….e la colpa e del malato? Ma possibile che Voi prof. Bocconiani avete queste teorie basate su due dati senza correlazioni e… Voilà ecco la soluzione!
Pier Doloni Franzusi
Il problema e’ che la soluzione non puo’ essere forzata su uno stato sovrano.
Commissione, ECB e FMI possono provare a imporre dei punti, ma la realizzazione rimane in mano al governo greco ed e’ difficilissima da applicare in un paese bloccato da interessi corporativi e spiegare a elettori estremamente sensibili alle sirene populiste (ricorda qualcosa?).
Qui si tratta di ricostruire uno stato fallito, temo vada ben oltre le prerogative della troika.
Alessandro
Giusto…. Lei ha scritto perfettamente…. FALLITO…. Un fallimento vissuto bene può porre le basi per ripartire meglio di prima. Quindi azzeramento del debito, uscita dall’euro…a quel punto le riforme saranno imposte dal mercato con buona pace di tutti…. Inutile indebitarsi per gli strozzini. Certo dare la colpa esclusivamente al debitore e’ semplicemente vile.