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Se non cambia, sarà ancora “un’Europa delle banche”

Se si vuole che l’Unione bancaria diventi un pilastro della costruzione europea, bisogna trarre una lezione dai salvataggi delle banche italiane. La normativa comunitaria appare insieme complessa e lacunosa e non è attenta alla tutela del risparmio.

Risoluzione o liquidazione

Aldilà delle polemiche che hanno accompagnato i salvataggi delle banche italiane, i governi europei dovrebbero trarre dalla vicenda alcuni insegnamenti, se vogliamo che l’Unione bancaria diventi un importante pilastro della costruzione europea. Vediamo i principali.

Se da un punto di vista giuridico la distinzione tra risoluzione e liquidazione appare piuttosto chiara, giacché la prima dovrebbe perseguire la continuità delle funzioni essenziali dell’azienda, da un punto di vista sostanziale la differenza fra i due istituti si è dimostrata assai labile. È difficile, infatti, negare che il processo di liquidazione coatta messo in atto dal governo italiano per le due banche venete non abbia perseguito l’obiettivo di assicurare la continuità dei rapporti con la clientela.

Il problema è che la regolamentazione europea ha avocato a sé il processo di risanamento e risoluzione degli enti creditizi (direttiva 2014/59/UE) mentre è rimasto appannaggio dei singoli stati nazionali l’istituto liquidatorio. L’asimmetria crea evidenti problemi di omogeneità di trattamento e opportunità di arbitraggio regolamentare. Ecco perché è importate che nei prossimi anni si proceda a disegnare un processo di liquidazione a livello europeo o almeno un maggior coordinamento fra i due istituti.

Solvenza o insolvenza

Da tempo la letteratura economica ha sottolineato la difficoltà di distinguere gli stati di insolvenza da quelli di temporanea difficoltà o assenza di liquidità. Eppure anche questa distinzione sta alla base della direttiva sulla risoluzione delle crisi bancarie. Tuttavia, il caso delle banche venete ha ancora una volta mostrato come la distinzione appaia fragile, mutevole e rischiosa. Nel giro di pochi giorni l’intervento di garanzia offerto dallo stato italiano alle emissioni di obbligazione delle banche, che avrebbe dovuto aiutarle a superare una crisi di liquidità sancita dagli organi comunitari, si è trasformato in un onere quasi certo per le casse dello stato. Questo elemento ha indebolito la posizione del Tesoro italiano nei confronti delle condizioni richieste da Banca Intesa.

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Rilevanza sistemica o locale

La direttiva comunitaria distingue in maniera puntigliosa gli interventi di risoluzione possibili in base al fatto che il dissesto abbia o meno rilevanza sistemica. La distinzione è apparsa tuttavia fragile e mutevole nel tempo. Anche se le banche venete operano in un’area relativamente limitata, posseggono una quota di mercato di poco meno del 2 per cento ciascuna e hanno scarse interconnessioni con il resto del sistema bancario, vi sono pochi dubbi che un loro fallimento avrebbe messo in difficoltà l’intero sistema bancario italiano. Che, ad esempio, avrebbe dovuto garantire, attraverso il fondo interbancario, i depositi sotto i 100mila euro, con un costo, secondo calcoli attendibili, di oltre12 miliardi di euro. Un po’ troppo per molte banche a corto di capitale e redditività.

L’assicurazione europea dei depositi

Si è più volte osservato che l’Unione bancaria è una creatura incompleta poiché, accanto al Meccanismo di vigilanza unico e al Meccanismo di risoluzione unico, è indispensabile creare un sistema comune di garanzie sui depositi. La crisi delle banche venete ci ha fatto toccare con mano questa deficienza. Infatti, le banche italiane erano allarmate dalla prospettiva di affrontare da sole l’onere di garantire i depositanti veneti. Certamente questa debolezza ha concorso a far propendere il governo italiano per una soluzione domestica, che le mettesse al riparo. Non a caso, il giorno dopo l’annuncio della soluzione liquidatoria le quotazioni di tutte le banche italiane (e non solo quelle di Intesa Sanpaolo) hanno avuto una forte impennata.

Numero di istituzioni europee e nazionali coinvolte

A titolo di esempio sul numero di istituzioni coinvolte ricordiamo che, nell’ultima fase delle trattative, la Banca centrale europea ha repentinamente decretato lo stato di dissesto o rischio di dissesto degli istituti veneti; il Single Resolution Board ha stabilito che l’intervento di risoluzione non era nell’interesse pubblico, giacché il fallimento delle due banche non avrebbe avuto impatti sulla stabilità finanziaria, spianando la strada alla soluzione nazionale della liquidazione; la Commissione europea ha valutato l’intervento pubblico proposto dalle autorità italiane non distorsivo nei riguardi della concorrenza. A queste vanno aggiunte le decisioni delle autorità nazionali competenti (come Banca d’Italia, Consob, Tesoro e parlamento).

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Tutela delle banche o dei risparmiatori

In base al principio del burden sharing, gli azionisti e gli obbligazionisti junior delle banche venete hanno visto azzerarsi i propri investimenti, mentre sono stati salvati gli obbligazionisti senior, anche se investitori istituzionali, che magari hanno comprato i titoli pochi giorni fa al 75 per cento e oggi possono rivenderli al 105 per cento, realizzando un enorme guadagno grazie all’intervento pubblico. Il governo italiano ha poi deciso di risarcire parzialmente i piccoli risparmiatori che hanno acquistato obbligazioni subordinate prima del giugno 2014 (data di pubblicazione in Gazzetta ufficiale della direttiva) nel caso in cui siano in grado di dimostrare il carattere fraudolento della compravendita. Si tratta però di un intervento nazionale, a stento tollerato dalle autorità comunitarie. Più in generale, le normative europee tendono a proteggere le finanze pubbliche da eccessivi costi di ristrutturazione e a salvaguardare la stabilità finanziaria, ma lasciano agli stati nazionali il difficile compito di tutelare i risparmiatori, in un contesto di mutuo riconoscimento. Non stupiamoci poi se i cittadini fatichino ad amare una “Europa delle banche”.

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In cerca di un nuovo equilibrio tra stato e mercato

  1. gerardo coppola

    il costo dell’intervento del fondo sarebbe stato di 10 miliardi ma non e’ un costo il fondo si surroga ai depositanti fino ai 100000 euro ed entra nella liquidazione dell’attivo nella LCA del Tub. Invocate l’assicurazione dei depositi europei quando quella domestica abbiamo deciso di non applicarla alle due venete. Lunedi’ Fubini su corsera ha illustrato l’enorme aleatorieta’ della liquidazione inventata per le due popolari. Questo mi pare l’unico dato certo.

  2. Henri Schmit

    Interessante e convincente. Un’osservazione sul problema delle obbligazioni senior vendute alla clientela retail della banca emittente, in periodo sospetto, in conflitto d’interesse e forse senza la dovuta informativa sul rischio effettivo: a prescindere dall’onere della prova (che con certi indizi può essere rovesciato), presumo che il punto contestato dall’UE sia il debitore pubblico del risarcimento; a priori spetterebbe ai colpevoli pagare i danni; all’interno della banca divisa fra acquirente e bad bank non ci sono però per definizione (burden sharing) più disponibilità; perché nessuno ha pensato di chiamare in causa gli organi vigilanza, che sono solo indipendenti (Banca d’Italia ha un patrimonio privato separato dall’erario), ma non irresponsabili? Si dovrebbe dimostrare il nesso fra presunta colpa di non aver vigilato adeguatamente e danno subito.

  3. Savino

    Bisogna cominciare a pensare a forme alternative agli istituti per erogare credito.
    La fiducia nelle banche è persa, con la cattiva distribuzione del credito, in favore degli amici, con i titoli tossici e con l’infedeltà tra quanto comunicato ai clienti dagli sportelli e quanto realizzato.
    Considerato che la ricchezza c’è (sotto il materasso), si possono ipotizzare formule negoziali bilaterali o trileterali per prestare questa ricchezza soprattutto ai giovani che vogliono intraprendere nuove attività o comprare casa.

  4. Marcomassimo

    Non sono solo le banche, è tutta la finanza che è sregolata e tutti sanno che se non è lo Stato che regola bene la Finanza poi è la Finanza che regola lo Stato acquisendo potere ed influenza sostanziale; è quello che è successo negli ultimi vewnt’anni come vediamo tutti; la vera soluzione per le banche in difficoltà è solo una : “NAZIONALIZZARE”; si rileva una banca, la si risana e dopo qualche tempo la si rivende sul mercato; se la cosa è fatta bene gli azionisti ci perdono poco, i correntisti nulla e lo Stato magari ci guadagna pure sulla rivendita finale.

  5. Savino

    Cominciamo a caricare sulle spalle del Serenissimo Stato veneto indipendente le malefatte dei manger veneti d.o.c. di Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza.

  6. Ciaone

    I problemi delle banche venete sono stati il credito a pioggia per gli amici e, in seguito, il disegno criminale di gonfiare il capitale forzando i debitori a esporsi ulteriormente comprando azioni con altro denaro prestato senza garanzie. Tutta roba italiana. L’Europa non c’entra niente e fa benissimo a lasciarci nella palta finche’ continuiamo a provare a fare i furbi. Dopo aver letto questa velina di regime, saluto lavoce.info e mi disiscrivo.

    • Henri Schmit

      Critica in parte condivisibile, ma eccessiva perché mis-management, mis-lending e mis-selling nelle banche italiane oltre ai controlli nazionali inadeguati non escludono la possibilità di incongruenze europee.

  7. Michele

    La liquidazione coatta amministrativa delle due banche venete è stato un escamotage per non applicare la BRRD, che a tutti i costi non si voleva applicare con motivazioni unicamente politiche di gestione del consenso. Questo mette una pietra tombale sull’idea dell’Unione bancaria. Chi si fiderà più di un paese che prima approva la BRRD, immediatamente dopo ne chiede modifiche sostanziali e al momento di applicarla fa di tutto per trovare scappatoie alla sua applicazione?

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