Oggi per un medesimo settore coesistono molti contratti collettivi. Per garantire i diritti minimi dei lavoratori è perciò indispensabile selezionare quelli comparativamente più rappresentativi. Per farlo, serve la collaborazione tra le istituzioni.
Contratti e rappresentatività
Dal “VI Report periodico dei contratti collettivi nazionali di lavoro vigenti depositati nell’Archivio Cnel” (settembre 2017) risultano in vigore in Italia 868 Ccnl. Dal 2010 al 2017 il numero di quelli depositati nell’Archivio del Cnel ha subito un incremento del 74 per cento.
La proliferazione non risparmia nessun settore, ma le variazioni percentuali maggiori tra il 2015 e il 2017 hanno riguardato soprattutto la meccanica (+34,8 per cento), l’agricoltura (+32,4 per cento), il commercio (+28,3), le aziende di servizi (+23,5).
Molti nei nuovi contratti collettivi non sono stipulati da sindacati aderenti a Cgil, Cisl e Uil, né da associazioni rappresentative legate alle grandi confederazioni datoriali.
In attesa che la questione della misurazione della rappresentatività sindacale e datoriale trovi finalmente una soluzione a livello sindacale o legislativo, diventa ineludibile distinguere e mettere ordine in quella che, senza esagerazioni, può definirsi una vera a propria giungla contrattuale.
Mettere ordine vuol dire conoscere l’evoluzione dei trattamenti economici e normativi dei lavoratori. Mettere ordine serve anche a individuare con certezza i contratti collettivi stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi che, in base alle disposizioni di legge, costituiscono il parametro di riferimento per garantire diritti minimi di rilievo costituzionale dei lavoratori: come quello alla retribuzione proporzionata e sufficiente (art. 36 Costituzione) e a livelli di contribuzione minima necessari all’ottenimento di trattamenti previdenziali adeguati (art. 38 Costituzione).
Oggi che coesistono molti contratti collettivi per il medesimo settore e gli stessi contorni dei settori sfumano, diventa importante la misurazione oggettiva e certa del peso relativo dei soggetti stipulanti, in base al quale poter selezionare quelli comparativamente più rappresentativi.
Attualmente l’individuazione dei Ccnl comparativamente più rappresentativi è effettuata dall’Inps per il controllo del rispetto del versamento dei contributi minimi e tiene conto del numero di addetti e della relativa massa salariale concretamente coperta dai Ccnl. L’Inps, in questo modo, integra la valutazione della rappresentatività dei soggetti stipulanti con il dato dell’effettiva applicazione del Ccnl da parte delle imprese del settore.
In mancanza di altri mezzi oggettivi di misurazione della rappresentatività delle parti stipulanti, si approssima quindi il dato della rappresentatività con la misurazione della copertura contrattuale nel settore di riferimento. Una soluzione pratica, questa, che se oggi restituisce un quadro attendibile dei contratti comparativamente più rappresentativi, nel lungo periodo potrebbe rilevarsi insufficiente o fallace.
Il ruolo dell’Archivio
Nell’attesa che si metta finalmente a regime un sistema di misurazione della rappresentatività effettiva, però, è quanto mai necessario che le istituzioni – Cnel, Inps e ministero del Lavoro – cooperino per mettere ordine e permettere di individuare con certezza i contratti collettivi che costituiscono il parametro di riferimento per la tutela di diritti di rilievo costituzionale dei lavoratori, primo fra tutti quello a una retribuzione proporzionata e sufficiente.
Ciò implica innanzitutto che tutti i testi dei Ccnl vigenti vengano attinti univocamente dall’Archivio Cnel (che costituisce per legge il repertorio ufficiale dei testi contrattuali) e che l’alimentazione dell’Archivio sia corretta e costante. In secondo luogo, occorre che le istituzioni adottino criteri condivisi di classificazione dei contratti collettivi.
In tale ottica, il Cnel e l’Inps si stanno attivando per mettere in comunicazione e allineare i codici di archiviazione dei contratti nelle rispettive banche dati, correlandoli altresì ai codici Istat di classificazione delle attività economiche. Tale correlazione, oltre a consentire a sua volta il collegamento con informazioni presenti in altre banche dati anche a livello europeo, permette un’analisi attendibile e completa dell’applicazione dei Ccnl per quanto riguarda la diffusione per settore economico, il grado di copertura in termini di occupati, il monte retributivo associato a ciascun contratto collettivo.
L’allineamento dei criteri di classificazione costituisce soltanto una parte di un lavoro più complesso di riorganizzazione complessiva dell’Archivio dei Ccnl che è già stato avviato dal Cnel allo scopo di rendere maggiormente accessibile, fruibile e intellegibile la documentazione contrattuale. Si tratta di una esigenza indifferibile per la tutela del legittimo affidamento dell’intera collettività a individuare agevolmente i trattamenti minimi costituzionalmente dovuti, ma anche molto utile nell’ottica di una maggiore consapevolezza collettiva di quali sono i prodotti negoziali dei tanti soggetti rappresentativi (o sedicenti tali) che popolano il panorama delle relazioni industriali italiane.
* Silvia Ciucciovino è consigliere esperto del Cnel
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Savino
Se il cliente vuol cambiare spontaneamente è giusto che, sapendolo, si rechi lui presso gli indirizzi necessari, utilizzando le modalità e le coordinate necessarie. Non è giusticata, invece, la giungla di offerte, queste davvero non più oggettivamente misurabili e confrontabili coi sensi dell’uomo della strada. Il bombardamento telefonico e telematico delle offerte è diventato caotico e pedante. Così non ti invitano più a cambiare ma, con modalità commerciale, quasi ti obbligano a cambiare (si vedano le pubblicità sul passaggio al mercato tutelato del gas).