Il nuovo governo deve affrontare alcune questioni spinose in tema ambientale, soprattutto quando si tratta di infrastrutture di comunicazione o industriali. Per trovare soluzioni adeguate a problemi complessi meglio sarebbe evitare proclami e dogmatismi.

L’ambiente nel contratto di governo

Non è facile esprimere un giudizio su molti aspetti del contratto di governo, poiché spesso si tratta di impegni e affermazioni generici, che derivano dal compromesso tra visioni e convinzioni differenti, talora opposte, dei due partiti della maggioranza.
Ciononostante, per quanto riguarda l’ambiente e l’energia, ci pare che nel contratto abbiano prevalso le posizioni del Movimento 5 stelle, non fosse altro perché sul tema il programma elettorale della Lega si limitava all’elenco di alcuni punti, mentre il Movimento aveva dedicato alla questione veri e propri documenti programmatici. Se proprio si deve dare un giudizio, quello sul capitolo 4 (ma non solo) è positivo. Mancano molte cose, altre sono vaghe e per il momento è impossibile dire se l’averle sottaciute – un esempio per tutti, le politiche climatiche – implica mancanza di sensibilità, superficialità o negligenza colpevole.

Analisi costi benefici per le infrastrutture

Il tema su cui nel contratto di governo si è realizzata la crasi di posizioni e visioni opposte è quello delle infrastrutture. Intendiamo qui per infrastrutture quelle di comunicazione e quelle energetiche, spingendoci fino a quelle industriali, l’Ilva per intenderci. Le tre categorie hanno un elemento in comune: l’ambiente. È un ambiente declinato soprattutto come consumo di suolo nel primo caso, come strategia per la decarbonizzazione nel secondo e come inquinamento dell’aria e impatto sulla salute nel terzo.
La letteratura economica abbonda di evidenza empirica secondo cui le infrastrutture pubbliche, in particolare quelle di comunicazione, accrescono la produttività totale dei fattori, indicatore comunemente utilizzato per misurare le possibilità di crescita di un’economia.
Intanto, il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli ha già detto di voler sottoporre a una rigorosa analisi costi-benefici (Acb) tutte le infrastrutture di comunicazione in corso e in progetto (per la Tav il governo si impegna a “ridiscutere integralmente il progetto”).
Al di là del possibile contenzioso legale e dei costi per l’erario che le revisioni possono comportare, bene fa il ministro ad adottare uno strumento che gli economisti raccomandano e a cui non sempre si fa ricorso. A noi preme però sottolineare due cose. Primo, le analisi costi benefici sono strumenti di supporto alle decisioni politiche, non si sostituiscono ad esse. Secondo, quando c’è di mezzo l’ambiente, non sono in grado di fornire ricette univoche, chiare e inoppugnabili. Per esempio, ci sono economisti dei trasporti che sostengono che se non fosse così sussidiato, il trasporto su ferro di merci e di persone non “batterebbe” quello su gomma. Noi crediamo che, quando si tratta di ambiente o più in generale di beni pubblici, le Acb sottostimino i benefici, semplicemente perché alcuni non sono (facilmente) quantificabili. Quanto si deve valutare la sicurezza energetica o la dipendenza geo-politica da certi paesi? E quanto la comodità del viaggio in treno? Tutto ciò suggerisce prudenza ai governanti, per lo meno nelle dichiarazioni.

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Dal Tap all’Ilva

Il ministro dell’Ambiente Sergio Costa sostiene invece che il gasdotto Tap in arrivo sulle coste della Puglia è inutile. Non parliamo qui del presunto impatto sul turismo o sugli ulivi perché sono aspetti che possono trovare una soluzione: a oscurarla o alterarla possono essere solo le convenienze della politica locale e nazionale. Ma siamo sicuri che il gasdotto non ci serva? Costa dice che i consumi di gas sono in calo. È vero, ma decidere se si tratta di un fatto permanente o transitorio è difficile. Di nuovo senza considerare i contenziosi e gli extra-costi da revisione completa del progetto, lo scopo del Tap è la diversificazione geografica rispetto a un quasi monopolista delle vendite di gas all’Europa, la Russia. È vero che vi è un’offerta crescente di gas liquefatto proveniente da regioni non “problematiche” e che può essere comprato “spot”, ma la posizione di Costa riflette una questione più profonda che è anche un dilemma cui la politica dovrebbe dare soluzione.
Il gas è considerato una fonte energetica di transizione – dai fossili alle fonti pulite – in un quadro strategico di decarbonizzazione delle economie, in linea con la lotta ai cambiamenti climatici e con l’Accordo di Parigi. Da un lato, vi sono dunque coloro che vedono nella costruzione del gasdotto il rischio di un prolungamento della fase di transizione e della generazione di emissioni aggiuntive di CO2. Dall’altro, coloro che osservano che la penetrazione delle fonti rinnovabili, soprattutto nei mercati elettrici, non può essere così rapida ed economica come i primi credono. La Germania, nella transizione dal nucleare all’eolico, ha finito per accrescere l’uso del carbone, finendo tra i “cattivi” d’Europa sul rispetto degli obiettivi europei di emissioni al 2020. Il governo italiano è pronto a prendere posizione rispetto a questo dilemma? E, se l’ha già presa – come pare – è pronto ad adottare i provvedimenti necessari e conseguenti?
Sulle infrastrutture industriali, possiamo dire che i nodi sono venuti al pettine. Per decenni gli effetti dell’inquinamento sulla salute non sono stati un problema, o se lo sono stati, non lo si è voluto vedere. Capitani d’industria pubblici e privati, sindacati e politica locale e nazionale hanno tutti la loro parte di responsabilità. Ora che la magistratura ha colmato il vuoto lasciato dalla politica si pone quello che è un vero dilemma d’esportazione (ad altre regioni del paese): tutela della salute, che passa per quella dell’ambiente, o tutela dei posti di lavoro? Nonostante la crudezza della domanda è chiaro che una “riconversione” dell’Ilva che azzerasse la produzione di acciaio del polo più importante d’Europa priverebbe il paese non solo di una fonte di occupazione, di attività economica, di export, ma anche di un ruolo. Quanto valutiamo questo ruolo? Ancora una volta siamo di fronte a un problema di difficile applicazione dell’analisi costi benefici.
Il nuovo governo ha diverse gatte da pelare e non c’è bisogno di ripeterle qui. Ma su alcune questioni sarebbe bene essere cauti, almeno all’inizio. Non basta fare richiami libreschi all’analisi costi benefici per arrivare a risolvere problemi di lunga data.

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