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Modello Trento per il sostegno scolastico

Per gli studenti disabili certificati è previsto un insegnante di sostegno che collabora con i docenti curricolari. L’obiettivo della piena inclusione non è stato però realizzato. Ecco come ripensare il sistema, nel rispetto dei vincoli di bilancio.

L’integrazione degli studenti con disabilità

L’Italia è stata un paese all’avanguardia nell’integrazione degli studenti con disabilità nella scuola. A differenza di Francia e Germania, che ancora utilizzano classi speciali a seconda della patologia, dal 1975 abbiamo deciso di inserire i ragazzi disabili nelle classi normali, con il condivisibile doppio obiettivo di favorire fin dalla scuola la loro integrazione sociale, evitando rischi di segregazione, e di abituare gli altri studenti a interagire con loro. Con l’evolversi delle politiche di inclusione, il campo di intervento si è esteso nel 2010 anche a chi ha difficoltà di apprendimento (Dsa, ad esempio, i dislessici) e nel 2012 ai cosiddetti bisogni educativi speciali (Bes), studenti che incontrano forme di disagio psicologico, sociale o linguistico, anche temporanee, fra i quali i giovani stranieri.
Per i disabili certificati il modello italiano è fondato sull’insegnante di sostegno, che collabora con i docenti curricolari di materia, per i quali la normativa prevedrebbe la corresponsabilizzazione nel percorso inclusivo. Dsa e Bes non hanno, invece, insegnante di sostegno.

Occorre, però, chiedersi se il modello sia ancora oggi efficace ed economicamente sostenibile. Il recente Rapporto Istat sull’inclusione scolastica, relativo all’anno scolastico 2017-2018, conferma alcune criticità già sollevate in passato (vedi Rapporto Caritas-Fondazione Agnelli-Trellle del 2011). Il rapporto Istat ci dice che l’edilizia scolastica non è adeguata alle esigenze dei disabili: solo il 32 per cento delle scuole italiane non ha barriere di natura fisico-strutturale. L’integrazione fra didattica inclusiva e tecnologie è modesta: il 38 per cento degli allievi disabili non utilizza strumenti informatici o software dedicati; l’emarginazione dalle attività scolastiche è significativa sia a lezione (i disabili alle medie trascorrono in media 4 ore su 30 fuori dell’aula) sia nelle gite, a cui partecipa appena il 60 per cento degli studenti con disabilità. Gravemente insufficiente è la continuità didattica, ancora più importante per chi parta da una situazione di svantaggio: il 41 per cento degli allievi cambia docente di sostegno rispetto all’anno precedente. Forse la criticità più grave è che il 36 per cento degli insegnanti di sostegno non possiede formazione specifica: si tratta infatti di docenti curricolari catapultati a fare un mestiere delicato senza preparazione. In generale, l’obiettivo della piena inclusione degli allievi con disabilità, Dsa o Bes non è stato realizzato: troppo spesso, gli altri docenti lo delegano comunque al collega di sostegno, proseguendo il loro percorso didattico con il resto della classe. In questo modo si creano, di fatto, forme di emarginazione.

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Corresponsabilizzare i docenti

Poco efficace, l’inclusione scolastica appare oggi anche poco sostenibile. Lo spesa annuale per il sostegno è immensa: nel 2018 è stata complessivamente di 5 miliardi di euro. Secondo i dati del Miur, dal 2009-2010 al 2017-2018 gli insegnanti di sostegno sono passati da 90 mila a 156 mila, con una crescita continua che nel complesso è stata di oltre il 70 per cento. Nello stesso periodo gli allievi con disabilità, che hanno diritto al sostegno, sono aumentati da 200 mila a 272 mila, ossia del 36 per cento. La legge 244/2007 aveva fissato il limite di due allievi per insegnante di sostegno; la Corte costituzionale nel 2010 aveva però giustamente stabilito che il sostegno è un diritto non limitabile; di conseguenza, il numero di ore – e quindi di docenti – assegnate ai disabili è cresciuto senza sosta, anche a costo di impiegare persone non qualificate. Oggi, il rapporto studenti/docenti è 1,7 a livello nazionale. È difficile che la tendenza all’aumento della spesa possa essere mantenuta a lungo, in un comparto – come quello dell’istruzione – assetato di investimenti in formazione didattica, edilizia e università: inevitabilmente, prima o poi, qualche governo si domanderà se non sia il caso di dirottare risorse altrove, con tagli bruschi alle politiche d’inclusione.

Nascondere la testa sotto la sabbia non sembra una soluzione, a maggior ragione per chi crede che la scelta di civiltà compiuta nel 1975 fosse giusta e vada confermata. Meglio forse ripensare il modello, rendendo i principi di inclusione compatibili con i vincoli del bilancio pubblico.
Come? Una strada possibile è indicata da una sperimentazione svolta nella provincia di Trento da Iprase e Fondazione Agnelli nel 2013-2015, con l’obiettivo di coinvolgere, dopo averli formati, gli insegnanti curricolari nella didattica inclusiva a vantaggio degli studenti con bisogni educativi speciali. La sperimentazione ha riguardato 345 studenti trattati e 295 nel gruppo di controllo: ha messo in luce come la corresponsabilizzazione di tutti i docenti abbia condotto a un miglioramento delle abilità non cognitive e di socializzazione degli studenti svantaggiati e a una loro maggiore integrazione nel gruppo classe, senza che questo determinasse un peggioramento delle abilità cognitive dei loro compagni.

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  1. Savino

    Occorrono giovani insegnanti, specializzati (con laurea) nella docenza per persone bisognose di educazione specifica. Inaccettabili i casi di continue violenze e vessazioni su minori e soggetti deboli da parte di un personale docente anziano ed impreparato, ma ancora arrogante nel voler immoralmente raccattare stipendi e indennità di premio anche a 60 anni e oltre, mentre le laureate e i laureati in materie pedagogiche e formative sono costretti a fare gli spazzini. Come ha sentenziato la giustizia amministrativa, si può insegnare solo coi titoli di studio adeguati e non improvvisandosi docenti e psicologi di affiancamento.

  2. Paolo

    A fronte dei costi bisogerebbe valutare anche i benefici: quanto costerebbero degli adulti ghettizzati-isolati e rimasti privi di formazione a causa di disabiltà di cui non hanno colpa? Come valutare poi l’intervento in termini di incrementi di “utilità” ? Detto ciò, ben venga la partecipazione di tutto il corpo docente al progetto di inclusione, ma senza tagli su altre forme di sostegno.

  3. l’insegnamento di sostegno rappresenta una avanguardia educativa a livello comunitario. ovvio con tanti limiti che possono essere corretti. intanto un aggiornamento costante, perché le nuove definizioni di necessità educative non possono essere massificate come semplici “ampliamenti o integrazioni” del sostegno codificato, ma vanno adeguatamente calibrati sulle caratteristiche personali dello studente. sarebbe da limitare la stesura di un programma di sostegno solo in base alla tabulazione prevista per la legge 104 o per la invalidità civile. le tabulazioni in genere sono fatte per categorie e non sempre la persona che ha bisogno di sostegno rientra perfettamente in tali categorie, con il rischio di strutturare un intervento previsto ma non esattamente centrato sui bisogni effetti della persona. certamente la collaborazione fattiva di tutto il corpo insegnante di una classe è fondamentale al fine di una maggior efficacia del sostegno e aggiungerei che nel corso della programmazione e verifica bei “gruppi H” sarebbe importante coinvolgere anche chi fuori della scuola ha un rapporto di socializzazione o apprendimento con lo studente (gruppi, associazioni, doposcuola) al fine di un maggior coordinamento delle tante “agenzie” con cui la persona si confronta. tutte hanno un ruolo socializzante e favorente l’apprendimento, non tutte lo hanno “formale” e alcune tuttavia hanno un ruolo sostanziale, che va valorizzato e coordinato.

  4. e’ da dire anche che il sostegno può avere come finalità sia l’apprendimento facilitato, sia anche la esperienza sociale di comunità, queste due valenze sono spesso utilizzate quasi in contrapposizione reciproca mentre invece sono puramente complementari, perché rappresentano due delle forme di partecipazione dello studente alla vita scolastica, e non sempre sono esattamente scindibili. per quanto riguarda la sostenibilità economica del sostegno, farei una considerazione opposta. quale era l’impatto economico, sociale personale nonché sanitario, della mancanza del sostegno? quale sarebbe da qui in avanti l’impatto sociale e sanitario, nonché personale e familiare, se venisse a mancare il sostegno? aumenterebbe la disabilità della persona e aumenterebbe la necessità economica, mancando una formazione scolastica e relazionale, avremmo necessità di cosa per uno sviluppo adeguato delle persone con bisogni educativi specifici?

  5. Carlo Hanau

    si scrive: Forse la criticità più grave è che il 36 per cento degli insegnanti di sostegno non possiede formazione specifica.
    L’errore è nell’avere iniziato con parola iniziale: “Forse”.
    La formazione specifica è la base di ogni intervento difficile, come appunto l’inclusione degli allievi con disabilità grave, che impegnano molte ore di risorse umane (insegnanti curricolari e di sostegno, educatori, assistenti all’autonomia e alla comunicazione). Non basta la specializzazione generalista che l’ordinamento ha richiesto finora. Occorre sia specifica su quel tipo di disabilità di quell’allievo e la necessità che si continui la pratica supervisionata da esperti accumulando esperienza, senza saltabeccare da un posto all’altro e da una disabilità all’altra.

  6. Guglielmo Rispoli

    L’articolo è molto interessante e fa sicuramente riflettere. Sono un dirigente scolastico al 23° anno di lavoro nel 1° ciclo dell’Istruzione. Credo si possa rilevare ed ammettere che nella scuola italiana esiste un gap visibile tra quanto è nelle competenze di tutti i docenti e quanto sarebbe necessario. Occorrerebbe una formazione diversamente impostare su un sapere che deve divenire un SAPER FARE soprattutto in termini organizzativi. Le vecchie pratiche sono ancora diffuse e questo rallenta non solo il processo di inclusione dei disbili o bes o dsa ma classi intere. Il nodo è tra MIUR e UNIVERSITA’ e prima o poi bisogna cambiare radicalmente indirizzo e metodologie di FORMAZIONE e RECLUTAMENTO. A fronte di questo CONTESTO si prende atto di unos forzo a volte sovraumano di singoli docenti o team di docenti o scuole che danno il massimo e tante volte dietro di loro c’è un dirigente molto competente e molto motivato. Col tempo ci sarà un’inevitabile erosione di questa motivazione e determinazione perchè un errore grave è stato quello di ampliare notevolmente gli Istituti. Istituti e scuole piccole con una formazione ottima in partenza sarebbero contesti facilitanti per tutti ed anche per i “meno abili” o “diversamente abili”. La formazione dei docenti di sostegno – a ui peraltro si concede una mobilità più che annuale (docenti che cambiano scuola nello stesso anno) con il totale disinteresse verso bambini e ragazzi.

  7. Giuseppina di vito

    Vi invito nella mia scuola per vedere come funziona il lavoro dei docenti in una classe di scuola secondaria di primo grado. Abbiamo superato da anni il concetto di integrazione! Facile tagliare (ancora) sulla pelle dei più deboli! Marco Gioannini, la invito nella mia classe per vedere come lavoriamo…

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