Si avvicinano le elezioni europee. Una buona occasione per capire perché i giovani italiani abbiano condizioni e prospettive peggiori dei coetanei europei. A partire da un’irragionevole discriminazione nella legge elettorale per il Parlamento europeo.
Una politica che dimentica i giovani
Sono innumerevoli i contributi che dimostrano come le generazioni più giovani siano state ormai da tempo dimenticate dalla politica. Di esempi a supporto dell’affermazione ce ne sono tanti: “quota 100” è l’ultimo in ordine di tempo; la riforma Dini del 1996 è stato forse l’atto più eclatante.
Di fatto, tutta la politica di bilancio degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso ha determinato il “modus operandi” di diverse generazioni di politici nei confronti dei più giovani. Chi ha meno di 40 anni in questo paese è probabilmente nato in una famiglia con un reddito superiore a quello della famiglia dove erano nati i propri genitori. Nel corso dei decenni gli investimenti in istruzione sono diminuiti, è aumentata la precarietà del posto di lavoro, gli stipendi risultano inferiori a quelli che potevano guadagnare i propri genitori. Non è un caso che, sempre negli ultimi anni, sia aumentata, da un lato, la quota di giovani che ha deciso di trasferire la propria residenza – e competenza – all’estero (il 76 per cento degli italiani che ha portato la residenza all’estero, nel 2016, aveva meno di 40 anni secondo i dati Eurostat). Dall’altro lato, è aumentata anche la quota di giovani che ha perso fiducia nelle possibilità realizzative e di promozione di lavoro e istruzione (la quota di giovani (tra i 20 e i 34 anni) Neet – Neither in Employment nor in Education nor in Training , cioè che non studiano né lavorano – in Italia è la più alta d’Europa: 29,5 per cento (dati Eurostat). Come si spiega tutto questo?
Accesso al voto in Europa
Alla fine di maggio 2019 si terranno le votazioni per l’elezione del Parlamento europeo. Al di là di poche regole comuni, ognuno dei 27 paesi dell’Unione ha una certa libertà di scelta sulla propria legge elettorale. Nemmeno a farlo apposta, la differenza più significativa riguarda proprio le età di accesso al diritto di elettorato attivo e passivo. È davvero paradossale come, all’interno di una Unione che regolamenta innumerevoli aspetti della nostra vita, si permettano differenze così marcate tra i suoi cittadini quando si tratta di votare. La tabella 1 raccoglie i dati ufficiali, al febbraio 2019, sulle età di accesso all’elettorato attivo (chi ha diritto di votare) e passivo (chi ha diritto a essere eletto) nei 27 paesi rappresentati nel Parlamento europeo.
Tabella 1 – Elettorato attivo e passivo in Ue
Rispetto al 2009, alcuni paesi hanno abbassato i limiti di età: Cipro e la Francia, per esempio, hanno fatto scendere quella di elettorato passivo di 4 e 5 anni rispettivamente; Malta invece ha seguito l’Austria e ha fissato l’età di elettorato attivo a 16 anni. L’Italia, insieme alla Grecia, resta quindi il paese dove i giovani hanno barriere più alte all’ingresso nelle istituzioni.
Nel nostro paese, a 16 anni si può già lavorare, conseguire un reddito e pagare le imposte; ma non si può decidere chi eleggere al Parlamento (nazionale ed europeo); a 18 anni si può invece essere eletti sindaco di una città come Roma, Napoli o Milano, sposarsi, guidare un’automobile, ma non si può essere diventare deputati e decidere le regole di convivenza comune. E c’è un elemento di discriminazione aggiuntivo: secondo le norme europee, un cittadino italiano residente in un altro paese può decidere di candidarsi secondo le regole di quel paese. In altri termini, a seconda del luogo di residenza, due giovani italiani hanno diritti politici ed elettorali diversi.
Tutto ciò è peggiorato da due aspetti. Il primo è squisitamente politico: la democrazia parlamentare ha finora fallito nel rappresentare adeguatamente gli interessi delle generazioni più giovani e di quelle future. Se la classe politica è lungimirante, l’assenza di alcune generazioni tra quelle che hanno il potere di decidere diventa meno grave. Ma non è così in Italia. Il secondo è invece di tipo demografico: l’Italia è il paese dell’Unione europea dove è più bassa la quota di under 40 sul totale della popolazione (nel 2017, il 40 per cento contro, per esempio, il 54 per cento dell’Irlanda, che è il paese più giovane, secondo i dati Eurostat). Cosicché, unendo le barriere all’ingresso con l’inconsistenza numeraria dei giovani stessi, è possibile concludere che l’Italia è di gran lunga il paese dell’Unione dove i giovani hanno meno potere politico potenziale . I risultati sono riassunti nel grafico 1
Grafico 1 – Potere politico potenziale dei giovani in Ue, 2019
Nota: popolazione aggiornata al 2017
Che fare?
Per contrastare il declino, che ha ripercussioni sia dal punto di vista della crescita economica del paese, ma anche dal punto di vista dell’equità tra le generazioni, sarebbero innanzitutto necessarie politiche per la famiglia e la valorizzazione del merito. Tuttavia, anche una modifica alle regole costituzionali potrebbe avere una valenza simbolica: abbassare i limiti di età, almeno dell’elettorato passivo e, se si volesse essere più ambiziosi, superare il bicameralismo perfetto, che punisce ulteriormente le giovani generazioni.
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Savino
Più che abbassare l’età in cui ci si reca alla urne, occorre abbassare l’età in cui ci si rende indipendenti economicamente. Le vecchie volpi, in tutti i settori, continuano a dire che ci vuole esperienza e che ci vuole quel “saper stare al mondo”, il che significa accettare compromessi al ribasso e schifezze varie. Io so soltanto che con l’esperienza ed il “saper stare al mondo” stanno, ad esempio, crollando i ponti di ogni tipo ed il nostro territorio è in dissesto idrogeologico. Diciamo che bisogna smetterla di avere pregiudizi verso i giovani e bisogna smetterla di pensarla egoisticamente, per il proprio tornaconto, da parte degli adulti.
Henri Schmit
Pur condividendo la critica delle disparità generazionali, penso che ci siano altri difetti della legge elettorale per il PE più criticabili, più dannosi di quello denunciato dall’autore. Ne cito tre 1. le soglie di sbarramento contro le liste meno votate; 2. le circoscrizioni troppo grandi; 3. il numero non equo di deputati italiani, non proporzionale alla popolazione; meriterebbe una decina di eletti in più pur garantendo un minimo di 6 seggi agli stati più piccoli. La Francia sta ufficialmente persegendo questo obiettivo (proposta parlamentare). I primi due difetti concorrono a creare un potere di fatto dei partiti; sono loro (i due difetti e i partiti chiusi) il vero ostacolo alle candidature dei giovani e meno giovani ; l’autoreferenzialità partitica dissuade pure una fetta della popolazione che non va a votare. In realtà, il potere di scelta (e di candidatura) individuale non limita il potere dei partiti, ma solo quello delle loro oligarchie interne; tale potere rinforza al contrario i partiti, li rende più democratici e quindi in ultima analisi aumenta la partecipazione e il consenso.
Savino
Aristotele diceva che la democrazia rappresentativa è meglio della democrazia diretta, a patto che ci siano redistribuzioni del reddito tra i ceti sociali, in favore soprattutto di quelli medi, in modo da rendere contendibile l’esercizio democratico. Oggi è questa redistribuzione che manca.
ettore falconieri
Premessa: anche un solo giovane disoccupato deve essere sentito come un problema di tutti. Ma… tempo fa un giovane disoccupato intervistato ha detto che lo stato deve trovargli un lavoro dove abita ed è vergognoso che non glielo trovasse…aveva addosso vestiti per alcune centinaia di Euro…..decenni fa un suo coetaneo disoccupato poteva essere vestito di stracci ed era emigrato lontano pur di trovare lavoro.. Il problema è tutto qui, di mentalità, di educazione, di disponibilità a fare sacrifici…
Cristiano Paolini
Sig Ettore, dice sicuramente bene riguardo alla disponibilità al sacrificio che tutti devono avere, però è forse troppo semplice generalizzare in questo modo. Inoltre anche volendo assumere la sua conclusione come vera, mi viene questa riflessione: l’ambiente che ha formato questi giovani indolenti è una società prodotta dai loro padri in cui si registrano altissimi livelli di corruzione e clientelarismo. COsa possiamo aspettarci da giovani formatisi in una società dove hanno imparato che le conoscenze sono più importanti della conoscenza? Questa non è una giustificazione, perche ognuno è responsabile delle proprie azioni, indipendentemente dall’ambiente, altrimenti non ci sarebbe mai cambiamento, ma come conciliare l’idea che i giovani italiani siano scansafatiche con il dato riferito nell’articolo “il 76 per cento degli italiani che ha portato la residenza all’estero, nel 2016, aveva meno di 40 anni”. Inoltre secondo AIRE e Fondazione Migrantes la quota più consistente di italiani emigrati all’estero è nella fascia 18-34 anni e poi 35-49 anni, che copre ampiamente gli over 40 attivi. Avanzo un’ipotesi: e se i giovani più capaci stiano lasciando l’italia, che non offre possibilità di sviluppare le loro potenzialità, mentre rimane soprattutto chi se lo può permettere, avendo alle spalle un contesto familiare che lo sostiene, pur non avendo grande spirito di iniziativa e/o di sacrificio?
ettore falconieri
Vorrei aggiungere che è quasi una moda dire che in Italia non ci sono possibilità pe i giovani, l’Italia seconda potenza manifatturiera d’ Europa, con il patrimonio artistico maggire del mondo
e con tanto altro. Bravi cquelli che vanno all’estero per nuove esperienza, per imparare le lingue ed essendo bravi troverebbero possibilità anch in Italia.
Lorenzo
Che dire difronte alla desolazione di certi dati? Non è un paese per giovani? Aggiungo solo che, pur non riguardando direttamente l’argomento esposto, mi sto battendo a ogni livello affinché i ragazzi, (quasi fino alla soglia della maggiore età ormai) possano andare e tornare da scuola in autonomia: ne abbiamo fatto dei flaccidi burattini
EMILIO MENEGHELLA
Neet (Neither in Employment nor in Education nor in Training) in Italia al 29,50%, mentre l’art.1 della costituzione stabilisce che la repubblica italiana è fondata sul lavoro. Balduzzi sa bene che le politiche del lavoro sono
complicate, articolate, elettoralmente impopolari, richiedono attenzione, preparazione e scelte decisive. Nessuna delle due appena dette qualità (attenzione e preparazione) era presente nelle persone al potere negli anni dal 2007 (anno di inasprimento della crisi globale) in poi né nessuno di essi ha scelto di scegliere. Questi i nomi: cesare damiano, maurizio sacconi, elsa fornero, enrico giovannini, giuliano poletti, luigi di maio,
bob
la politica non si è dimenticata dei giovani si è dimenticata di quella società civile, attiva , propositiva, intraprendente, aperta di mente che De Rita definì la società trainante di questo Paese.
Il sistema creato ad hoc da questa classe politica creando inutili livelli di potere dallo Stato all’ultima circoscrizione passando per Enti e partecipate varie ( ancora si viene a raccontare la favola del federalismo differenziato) ha di fatto raggiunto due obiettivi: quello di abbassare l’asticella della politica stessa favorendo soggetti mediocri e quello di creare un “elettorato dalla mano tesa” dove una maggioranza della minoranza che vota ( una minoranza vota ancora per dovere civico) passa a riscuotere. Una presidenza, un favore un occhio di riguardo si trova da elargire tra gli innumerevoli e inutili livelli e enti di potere. Sono oltre 30 anni che non si fa un piano industriale un progetto nazionale che possa trainare vari territori di distretti non si parla più…