La crescita economica frena, uno strano federalismo si fa strada e prosegue l’emigrazione massiccia di giovani italiani. Nessuno però sembra davvero preoccuparsi del fatto che l’Italia è il paese europeo più frammentato dal punto di vista geografico.
L’importanza della geografia
La geografia è quella materia che solitamente si smette di studiare dopo i primi anni di scuola superiore, con grande sollievo di tutti gli studenti. Eppure, la geografia gioca ancora oggi un ruolo non indifferente nella lettura dei processi sociali ed economici. Quella della nostra penisola, ad esempio, ci racconta di un paese che rimane assai diviso tra Nord e Sud. Non che si tratti di una novità, ma nessuno, almeno nel dibattito pubblico odierno, sembra davvero curarsi del fatto che l’Italia pare quasi non esistere quale entità unica e omogenea, ma somigli a un insieme di aree molto diverse tra loro tenute insieme da alcune istituzioni comuni. Per esempio, all’interno del rapporto sugli indici di benessere equo e sostenibile presentato dall’Istat qualche mese fa, ogni indice di cui era disponibile la disaggregazione regionale mostrava livelli non solo assai diversi tra Settentrione e Meridione ma spesso anche trend divergenti, con il Sud del paese ad avere la peggio. Se dunque la disuguaglianza tra regioni appare come un fatto assodato e anche accettato, occorre chiedersi se la situazione rientri in un contesto di normalità oppure rappresenti un caso particolarmente grave all’interno del quadro internazionale.
Disuguaglianze regionali in Europa
Confrontare la situazione italiana con quella dei principali partner europei può essere un utile esercizio per provare a delimitare i contorni del quadro generale. Eurostat mette a disposizione vari indicatori disaggregati a diversi livelli sub-nazionali: come unità di riferimento prendiamo le cosiddette regioni NUTS2, unità territoriali tendenzialmente omogenee delimitate dall’Unione europea (ognuna ha tra gli 800 mila e i 3 milioni di abitanti) e impiegate anche come punto di riferimento per le politiche di coesione. In Italia i confini delle zone NUTS2 corrispondono a quelli delle nostre regioni. Concentriamoci sul Pil pro-capite, sul tasso di disoccupazione e sul tasso di Neet (giovani che non studiano né lavorano) nel 2016, ultimo anno per il quale sono disponibili tutti i dati necessari. I tre indici ci permettono di avere una prima panoramica non solo delle variabili monetarie, ma anche di fenomeni ad alto impatto sociale. Come misura della disuguaglianza usiamo il cosiddetto indice di Williamson, utilizzato spesso nel calcolo delle disuguaglianze regionali (i risultati ottenuti tuttavia rimangono sostanzialmente inalterati anche con altri indici, come quello di concentrazione di Hoover o un normale coefficiente di variazione). Ordinando i paesi dal più diseguale al meno diseguale, si ottengono i risultati mostrati nella tabella 1.
Tabella 1 – Paesi UE con più di tre regioni NUTS2 ordinati secondo indice di Williamson
Fonte: Elaborazioni proprie su dati Eurostat 2016
Il primo posto dell’Italia
Dalla tabella 1 sembra che l’Italia non conquisti nessun primato: anzi, guardando al Pil pro-capite si posiziona in una zona intermedia della classifica.
A una analisi più attenta dei dati emerge tuttavia un fatto interessante: la regione all’interno della quale si trova la capitale di uno stato si discosta solitamente in maniera significativa del resto del paese per quanto riguarda i nostri tre indicatori, comportando così una netta alterazione nella misura della disuguaglianza intra-regionale. Ciò non stupisce: le capitali, per loro natura, hanno caratteristiche a sé stanti. Ragionare al netto delle capitali, da un lato, può quindi aiutare nel confrontare aree più omogenee tra di loro e dall’altro permette comunque di ottenere una sintesi delle condizioni della maggior parte del territorio, in cui risiede anche la larga maggioranza della popolazione. Se quindi eliminiamo dal conteggio le regioni che contengono le capitali (che alle volte corrispondono semplicemente al territorio della sola città in questione) e ripetiamo i calcoli sulla restante parte delle NUTS2, otteniamo i dati della tabella 2.
Tabella 2 – Paesi UE con più di tre regioni NUTS2 ordinati secondo indice di Williamson, escludendo la regione contenente la capitale
Fonte: Elaborazioni proprie su dati Eurostat 2016
Ora l’Italia conquista un netto primo posto in relazione a ciascuno dei tre indicatori considerati. Non conteggiare Roma (o meglio, nei nostri conti, il Lazio) infatti non altera sostanzialmente la disuguaglianza regionale italiana mentre, per esempio, Londra e Parigi fanno la differenza nei loro rispettivi paesi. Dunque, il territorio italiano si rivela essere il più frammentato tra quelli dei principali partner europei. Le cause vengono certamente da lontano e richiedono soluzioni complesse, come complessi sono i problemi che affliggono la nostra penisola. Eppure, anche nel momento in cui l’Italia si prepara all’attuazione di uno strano regionalismo differenziato, l’estrema frammentazione del nostro paese sembra essere nascosta come polvere sotto il tappeto nel dibattito pubblico.
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Savino
Due cose uniscono il Paese: la corruzione e il pregiudizio verso i giovani. Così il modello Formigoni è preso come esempio per le autonomie al gabbio all’italiana, mentre la presenza di neet, disoccupazione giovanile e migrazione giovanile ( fra un pò saranno i nostri ragazzi i nuovi disperati sui barconi) fa da contraltare ai tantissimi italiani adulti che stanno da re.
Marco
A contribuire al risultato mostrato vedo due fattori. Il primo è quello sottolineato nell’articolo. Il secondo penso sia il fatto che Roma (o Lazio) è ben diversa dalle altre capitali. Probabilmente avrebbe senso rifare la classifica escludendo Milano o la Lombardia, piuttosto che Roma.
TOMMASO
Bravò! Poche parole semplici per spiegare due così e ben complicate! E poi….NON LO SAPEVO. Che vincevamo tre l
Classifiche su tre!!!
Complimenti!
Bravò.
Marco Spampinato
E’ ottima l’idea di rimuovere l’effetto determinato dalla città/regione capitale dalla valutazione dei divari economici regionali. Un’osservazione però: è il paese più frammentato (che cosa intende dire con quell’aggettivo e perché lo usa?), oppure è il paese più diviso e diversificato tra un Nord, o CentroNord, e un Sud? Le variabili che si scelgono sono dirimenti. Se fossi in lei e altri interessati a CAPIRE (solo questo aiuta), allora considererei il tasso di occupazione (maschile e femminile) e l’andamento demografico. Anche il pil-pro-capite è influenzato dal tasso di crescita della popolazione. Nella storia dell’Italia come stato unitario ci sono periodi di riduzione del divario economico Nord-Sud motivati solo dalle migrazioni dal Sud: verso Nord e sopratutto verso altri paesi/continenti. L’unico periodo significativo di riduzione del divario attribuibile (anche) a policy è il primo quindicennio dopo la II guerra mondiale.
Ciononostante, anche in quel caso una parte dell'”effetto della policy” fu demografico. Chi ha voglia di prendersi una vacanza da molta pubblicistica più recente (della cui qualità si può dubitare), può leggersi Problemi dell’economia siciliana (inchiesta diretta da Paolo Sylos Labini, 1966, in particolare i lavori di Andrea Saba).
Sull’autonomia differenziata: un dibattito vero avrebbe bisogno di coraggio e respiro. Ma analisi e dibattito sono confinati a tecnicismi e furbizie dalla paura di conoscere e apprezzare ciò che è non-eguale.