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Cosa dice la legge quadro sull’autonomia differenziata

Il governo ha presentato una bozza di legge quadro sul federalismo differenziato. L’intento è stabilire i principi generali secondo cui dovrà essere attuata l’autonomia. Rispetto alle pre-intese siglate in precedenza ci sono alcune differenze di rilievo.

La legge quadro

A novembre è stata resa pubblica la bozza di legge quadro sul federalismo differenziato del ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia. Inizialmente, la proposta ha ottenuto il parere positivo del governatore dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, che anzi ha chiesto di accelerare il processo per poter sottoscrivere le intese quanto prima. Anche il governatore della Lombardia, Attilio Fontana, ha lanciato un messaggio di apertura, mentre più pessimista è stata la risposta dalla Regione Veneto. Dopo la sua presentazione il 28 novembre in Conferenza stato-regioni, tutte le regioni sembrano aver risposto in modo molto favorevole alla proposta di legge quadro.

I governi precedenti non avevano pensato di incardinare in una legge quadro i principi generali secondo cui dovrà essere attuata l’autonomia differenziata regionale ai sensi dell’articolo 116 terzo comma della Costituzione, ma tra regioni e presidenza del Consiglio erano state siglate pre-intese sulle quali il Parlamento si sarebbe dovuto esprimere solo in fase di approvazione. Questo modo di procedere ha suscitato parecchie perplessità, proprio per lo svuotamento del ruolo del Parlamento in fase propositiva.

Ora la legge quadro stabilisce i criteri di base su cui un commissario – assieme a un gruppo tecnico e di esperti con l’ausilio della Sose, dell’Istat e della Commissione tecnica sui fabbisogni standard – dovrà lavorare sui livelli essenziali delle prestazioni, gli obiettivi di servizio e i fabbisogni standard. I successivi riparti definiti utilizzando i livelli essenziali delle prestazioni, gli obiettivi di servizio e i fabbisogni standard dovranno comunque rientrare nei limiti definiti dall’articolo 17 della legge n. 196/2009, cioè non potranno essere superiori alle risorse stanziate nel bilancio dello stato a legislazione vigente. Se poi entro dodici mesi dall’entrata in vigore della legge non saranno stati determinati i livelli essenziali delle prestazioni, gli obiettivi di servizio e relativi fabbisogni standard, le risorse saranno attribuite “sulla base del riparto delle risorse a carattere permanente iscritte nel bilancio dello stato a legislazione vigente”.

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Gli accordi siglati tra regioni e governo dovranno poi essere vagliati dalla Commissione sul federalismo fiscale, dalla Commissione affari regionali e da quelle competenti in materia, che esprimeranno il proprio parere entro sessanta giorni. I pareri dovranno essere recepiti da regioni e governo ed entrare a far parte del testo definitivo delle intese.

Una volta sottoscritta l’intesa definitiva, il governo avrà trenta giorni per presentare il relativo disegno di legge che poi verrà votato dal Parlamento. Quindi il commissario, sentite le regioni e vari pareri tecnici, istruirà i decreti attuativi, che dovranno essere votati in Consiglio dei ministri e resi definitivi con voto del Parlamento. All’interno dei decreti attuativi saranno contenuti sia la metodologia per il calcolo dei fabbisogni standard, che le risorse messe a disposizione per le funzioni devolute.

Cosa cambia

La prima differenza di fondo con la situazione del passato è che in quel caso vi erano pre-intese che provenivano da un fitto confronto tra governo e regioni e che non prevedevano il passaggio per il parere delle Commissioni interessate, ma direttamente il voto del Parlamento.

La seconda differenza sostanziale è l’intervento sulle clausole di salvaguardia previste dalle pre-intese. Prevedevano che se entro tre anni dall’emanazione dei decreti attuativi sulle autonomie non fossero stati approvati i fabbisogni standard, alle regioni sarebbe stata concessa la spesa media pro-capite nazionale. Ora invece, in quel caso, la spesa concessa sarà quella sulla base del riparto a legislazione vigente. È un cambiamento molto importante poiché elimina il disincentivo all’approvazione dei fabbisogni standard, che per regioni come Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna sarebbero stati sicuramente inferiori alla spesa pro-capite media nazionale. Quindi per le tre regioni sarebbe stato conveniente non arrivare a una loro definizione.

La legge quadro tace invece su un altro aspetto importante e su cui nelle pre-intese vi era una chiara presa di posizione: l’aumento di gettito da compartecipazione che sarebbe dovuto rimanere all’interno del territorio regionale, generando ulteriori disparità interregionali visti i differenti divari di crescita interregionali. Tuttavia, l’accento posto sulla garanzia a livello nazionale dei livelli essenziali delle prestazioni che dovranno essere perequate rispettando la stima di costi e fabbisogni standard, in ottemperanza al decreto legislativo 6 maggio 2011 n. 68, fa prevedere che gli aumenti di gettito possano ragionevolmente essere redistribuiti al livello nazionale.

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L’altro tema rilevante inserito nella bozza di legge quadro è quello della perequazione infrastrutturale. Visto il forte divario che esiste in questo campo tra Nord e Sud, potrebbe implicare una redistribuzione di risorse a favore di quest’ultimo, le cui modalità sono però tutte da definire. In ogni caso, includere il tema nella contrattazione tra regioni potrebbe spezzare una lancia a favore delle regioni del Sud e quindi potrebbe facilitare l’accordo per la realizzazione dell’autonomia differenziata.

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  1. Savino

    Non si vede il motivo di questa ripartizione tabellare di favore per le 3 Regioni che non hanno, di tutta evidenza, nemmeno le risorse umane per fare da sè determinate competenze (con la quota parte dei fondi statali “ammorbidita” dal criterio dei livelli essenziali). A meno che, a Venezia, non si voglia asciugare senza chiedere lo stato di calamità come farebbe un meridionale qualsiasi. E vi rendete conto, comunque, che queste “eccellenze” non ci sono, soprattutto sotto le guide di Galan per il Veneto e di Formigoni per la Lombardia non ci sono mai state.

  2. Per impulso del ministro Ciampi, tenuto conto del valore dei diversi fondi c’era una ripartizione programmatica della complessiva spesa pubblica in conto capitale (europea, aggiuntiva nazionale, ordinaria nazionale) per il 45% al Sud e per il 55% al Centro Nord. Poi è arrivata al governo la piangente Lega Nord, che è riuscita ad imporre una fantomatica questione settentrionale, e ci sono stati: prima un mancato rispetto del criterio di riparto delle quote tra Sud e Centro-Nord, poi con Tremonti un riparto in sede CIPE 90% al povero Nord e 10% al ricco Sud, e poi una sottrazione di 30 mld di fondi FAS al Sud che vengono stornati al Nord (o per finanziare provvedimenti come l’abolizione dell’ICI ai ricchi), che si protrae fino alla caduta del IV Governo Berlusconi. Che però ha strascichi tuttora, poco noti. Ancor meno noto è che fin dalla costituzione delle Regioni (1970) e ancora oggi, avendo deciso di basare il riparto sui dati storici, già sperequati, la spesa pro capite sanitaria, scolastica e di altri servizi di un abitante del Sud è inferiore a quella di un abitante del Centro-Nord.

  3. Piero Borla

    Occorre inoltre un serio controllo dei risultati e un effettivo meccanismo di ritaratura dei fondi, ove occorra. Mi sembra che non se ne parli.

  4. giovanni marino

    Lei scrive che.”I pareri [delle commissioni parlamentari competenti] dovranno essere recepiti da regioni e governo ed entrare a far parte del testo definitivo delle intese”. In realtà nella bozza non è scritto così. I pareri delle commissioni sono obbligatori ma non vincolanti. I pareri delle commissioni sono semplicemente oggetto di “valutazioni” da part del governo (art. 1 comma 2 della “bozza”). E alla fine dell’iter il parlamento non potrà emendare il testo dell’accordo sottoscritto tra il presidente della regione interessata e il ministro per gli affari regionali, precedentemente approvato dal cdm, ma solo approvare o respingere l’intesa. Il parlamento è completamente esautorato. Lo stesso accade per il i decreti, successivi all’intesa, con i quali si conferiscono alle regioni interessate le risorse finanziare correlate alle nuove funzioni attribuite. Anche in questo caso i pareri delle commissioni parlamentari competenti non sono vincolanti e il governo non è obbligato a conformarsi ad essi per adottare i decreti con deliberazione del cdm (vedi art. 2 comma 4 della “bozza”.

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