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Ora l’Europa vuol ripartire da clima e ambiente

Con una comunicazione all’Europarlamento e al Consiglio europeo Von der Leyen ha lanciato un ambizioso piano che dovrebbe portare l’Unione a diventare il primo continente climaticamente neutrale entro il 2050.

Il piano ambizioso di von der Leyen

Ursula von der Leyen ha fiutato l’aria e intelligentemente ha compreso che il way forward dell’Unione Europea deve essere – può solo essere, verrebbe da dire – il clima e l’ambiente. È in questo ambito che la Ue ha ancora un “vantaggio comparato” rispetto alle altre nazioni e la presidente della Commissione ha capito che lo sviluppo può (ormai) passare solo per la sostenibilità. La scelta, poi, di concludere il suo intervento con la frase “è il (nostro) momento uomo sulla luna” la dice molto sul suo acume politico, con un tocco di enfasi che non guasta. Dopo gli annunci che hanno fatto seguito alla sua nomina, in piena Conferenza sul clima a Madrid, con una valida scelta di tempi, von der Leyen ha utilizzato il classico strumento della comunicazione all’Europarlamento e al Consiglio europeo per presentare il suo European Green Deal (Egd), completo di un’appendice che scandisce la tempistica dei vari interventi proposti, peraltro concentrati nel 2020.

Viene innanzitutto ribadita l’ambizione di diventare il primo continente climate-neutral entro il 2050, cioè una regione dove le emissioni di CO2 che continueranno a essere prodotte saranno compensate da corrispondenti assorbimenti. L’ambizione prenderà la forma di una legge climatica europea (European Climate Law) finalizzata a emissioni net-zero entro il 2050 e, in vista di ciò, ad accrescere il target 2030 ad almeno il 50 per cento di riduzione, se non il 55 per cento. Ciò richiederà la revisione di tutte le misure legislative in atto, inclusa la proposta di rivedere la direttiva sulla tassazione energetica, rimasta finora a bagnomaria per disaccordi in seno al Consiglio europeo. Pezzo forte sarà la proposta di un carbon border adjustment per alcuni settori, per ridurre il rischio di esportare le emissioni se, per ragioni di costi dovuti alle politiche climatiche, le imprese trasferissero la produzione in paesi dalla legislazione meno rigorosa. Si tratterebbe in sostanza di una misura fiscale atta a garantire che il prezzo delle importazioni rifletta in modo più preciso il loro contenuto di carbonio. La misura sarà progettata per conformarsi alle norme dell’Organizzazione mondiale del commercio e ad altri obblighi internazionali dell’Ue, in modo da evitare contenziosi e ritorsioni.

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Lo Egd prevede anche il varo di una nuova e più ambiziosa strategia di adattamento ai cambiamenti climatici, vista l’accelerazione degli effetti, su cui il rapporto Ipcc (Intergovernmental panel on climate change) relativo a +1,5°C  ha di recente attirato l’attenzione.

Dall’efficienza energetica alla politica agricola verde

Il nuovo piano non riguarda solo il clima, tuttavia. Gli altri titoli della Comunicazione riguardano l’energia, pulita, disponibile e sicura negli approvvigionamenti, a partire dalla revisione finale e approvazione dei Pniec – i Piani nazionali integrati per l’energia e il clima – passando per le infrastrutture smart e l’ulteriore decarbonizzazione dei sistemi energetici. Attenzione verrà anche dedicata al rischio di povertà energetica che certe realtà dell’Unione potrebbero sperimentare. Si vuole poi mobilizzare l’industria ai fini dell’economia circolare con l’adozione di una nuova strategia industriale, la promozione di prodotti sostenibili e una considerazione specifica per le industrie ad alta intensità energetica (acciaio, chimica, cemento). Un capitolo importante è quello dell’efficienza energetica, soprattutto per quanto riguarda gli edifici, sia pubblici che privati, sia di nuova costruzione che esistenti. Mobilità intelligente e sostenibile e politica agricola comune verde sono tematiche cruciali per le quali segnaliamo una rielaborata proposta di direttiva sul trasporto combinato, da un lato, e una strategia “Farm to Fork” che contenga misure finalizzate a ridurre l’uso e il rischio di pesticidi chimici, fertilizzanti e antibiotici, dall’altro. Grande enfasi è data inoltre al tema della biodiversità ribadendo la volontà di voler essere membro attivo nella creazione di una piattaforma globale sui temi di “biodiversity loss”, rinviati a una specifica conferenza già programmata in Cina per l’ottobre 2020. Nell’ambito poi del Sustainable Europe Investment Plan appare innovativa la proposta del Just Transition Fund dedicato ai paesi – presumibilmente quelli più legati alle fonti fossili – che dovranno affrontare costi superiori alla media europea. La transizione richiederà diverse componenti e l’Ue intende in questo modo sostenere i paesi membri al fine di evitare ulteriori attriti. Scorrendo il testo della Comunicazione si vede l’ampio spettro di interventi che hanno energia-clima-ambiente come denominatore comune così esteso da fare quasi pensare a una rivoluzione. Il coinvolgimento del pubblico e di tutti gli attori interessati in un patto climatico europeo che verrà lanciato a marzo 2020 sembra mirato a fare leva sui movimenti di piazza, ormai molto numerosi e destinati prossimamente a farsi sentire ancora di più, al fine di superare il vero ostacolo alla realizzazione dell’ambiziosissimo piano: il Consiglio europeo. Scontata l’approvazione dell’Europarlamento, il problema sta soprattutto in alcuni stati membri “antagonisti” o per meglio dire “sovranisti” dell’Unione i quali, sfruttando il meccanismo ormai datato di votazione e approvazione, cercheranno di rallentare, annacquare, e in ogni caso ottenere compensazioni. Ai fini dell’intervento a favore del clima, ma non solo, Ursula von der Leyen dovrà dedicare molti sforzi alla riforma delle procedure e del meccanismo di voto degli organi esecutivi dell’Unione.

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In questo modo la Ue, per merito della presidente von der Leyen, diventerà il vero leader di quella Climate Ambition Alliance presentata l’11 dicembre a Madrid dalla presidente di Cop25, il ministro dell’Ambiente del Cile Carolina Schmidt. La presidente ha annunciato che 73 nazioni hanno segnalato la loro intenzione di presentare un piano d’azione per il clima rafforzato (Ndc o contributo determinato a livello nazionale) e ha dato merito a quelle 11 nazioni che hanno avviato un processo interno per essere ancora più ambiziose, un impegno che si riflette nei loro piani nazionali entro il 2020, come stabilito nell’accordo di Parigi.

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  1. Fabio Rosi

    So che quello che sto per dire non è proprio “politically correct”, ma ogni tanto bisogna osare.
    Rendere l’Europa il “primo continente climate-neutral entro il 2050”, come scrivono gli autori riferendosi ai piani “ambiziosi” di Ursula von der Leyen, richiederà per essere attuato una MONTAGNA di soldi, che ovviamente potrebbero essere spesi diversamente e in maniera più proficua, se si tenesse conto che NON è per nulla dimostrato che l’innalzamento della temperatura sia dovuto a cause umane.
    Se provate a immaginare VERA questa ipotesi, ovvero che effettivamente l’innalzamento della temperatura è un fenomeno NATURALE, è evidente che i migliaia di miliardi di euro che l’Europa farà spendere ai suoi cittadini, saranno spesi MALE, con conseguenze notevoli sul nostro welfare …

    La sola dimostrazione che mi sento di dare (oltre a suggerire la lettura di libri curati da esperti e non da ciarlatani) è che i report IPCC, prodotti negli ultimi 30 anni si sono SEMPRE rivelati sbagliati per ECCESSO, il che lascia intravvedere, da un lato, la perfettibilità dei modelli adottati e dall’altro, il forte interesse economico che normalmente risiede dietro questi report (in altre parole, spesso sono report “pilotati” !).

    Comunque nel 2050 sarò già morto, come la sig.ra Ursula von der Leyen: se avrà fatto danni irreparabili NON sarà qui a pagare per i nostri nipoti ! 🙁

    • Andrea

      Le attività ed emissioni umane CAUSANO l’aumento della temperatura media del pianeta. Ed in Italia e nel Mediterraneo un aumento superiore alla media del pianeta.
      Certamente capita che specifici finanziamenti condizionino studi scientifici, ma qui si parla di questioni studiate in tutto il mondo da decenni, e in cui, nonostante i grossi interessi contrari di Oil&Gas&Coal&Steal, la scienza ha un raggiunto un consenso quasi unanime.
      Se poi il Sig. Rosi, che pensa di non arrivare al 2050, dopo la sua generazione ha regalato alla mia un bel debito pubblico ed un’economia non sostenibile, vuole spendere i soldi per altre cose, mi spiace, ma spero che i più affrontino la REALTA’ con responsabilità ed una visione di lungo periodo.

    • Rosario Nicoletti

      Oltre ad essere completamente d,’accordo, vorrei accennare a due ulteriori aspetti. L’Europa contribuisce per circa il 10% delle emissioni di CO2. Svenarsi economicamente per abolirle mi sembra puro autolesionismo. Poi, esistono aspetti dell’inquinamento ambientale forse più pressanti; ignorarli , per privilegiare qualcosa di incerto e di costosissimo mi sembra demenziale.

  2. roberto romano

    sebbene siano dei punti qualificanti, è rimosso l’aspetto economico: 1) il 90% delle emissioni arriva dalle attività economiche e solo il 10% dai consumi; 2) per cambiare il motore della macchina (Riccardo Lombardi) serve un intervento pubblico che muti la matrice della domanda e dei relativi input. C’è una terza questione: servono risorse finanziarie adeguate che la Commissione non intende movimentare.

  3. Asterix

    L’obiettivo vero delle politiche green dell’Unione Europea era quello di giustificare dinnanzi all’elettore tedesco l’adozione di politiche pubbliche espansive, con esclusione degli investimenti pubblici in materia ambientale dalle regole di bilancio dei Trattati UE (in deroga alla regola del pareggio di bilancio).
    Spero che nessuno abbia pensato che si possa salvare il pianeta introducendo regole ambientali solo per il continente europeo, che peraltro penalizzerebbero le nostre imprese industriali rispetto a quelle cinesi, indiane o americane. E’ di tutta evidenza che per ottenere un concreto miglioramento dell’ambiente è necessario il consenso di Cina, India e USA.
    Il problema è che il primo atto della nuova commissione della Von Der Leyen è stato quello di confermare che non si voleva escludere gli investimenti ambientali dalle regole di bilancio (forse per tranquillizzare i suoi elettori). Questo ha fatto mettere una pietra sopra a chi sperava che con la nuova Commissione ci sarebbe stato un cambio di passo delle politiche europee.
    Ora gli obiettivi ambientali sono diventati l’alibi per introdurre nuove imposte per rispettare quelle regole europee di bilancio. Personalmente ho dubbi che i gilet giall francesi, come i nostri autotrasportatori, accetteranno aumenti delle accise per superiori esigenze ambientali però sarà interessante vedere gli sforzi della Von Der Leyen in tal senso.

  4. Marcello Romagnoli

    Il piano potrebbe essere positivo sulla Ue se fossero denari freschi quelli utilizzati, non soldi delle tasse dei cittadini. L’idea che si possano creare migliaia di miliardi di euro per le banche, ma che non si possa creare un centesimo per gli Stati e quindi per i cittadini è spaventosa per le conseguenze che ha sulla carne viva delle persone. Se l’economica non ha come fine il far stare meglio la gente,sempre più gente, non ha senso che esista. L’economia non si basa su leggi della Natura, non nella disponibilità degli uomini. L’Economia dipende dalle regole che gli uomini si danno e possono essere cambiate. Tutto il resto è truffa.

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