La Cop25 di Madrid non passerà certo alla storia. È stata solo una conferenza-ponte verso la Cop26 dell’anno prossimo. Lì i paesi dovranno svelare le loro vere intenzioni sui piani di riduzione delle emissioni, parti integranti dell’Accordo di Parigi.
A Madrid una conferenza interlocutoria
Ci sono conferenze sul clima che si ricordano – Kyoto, Parigi – e sono poche. E ci sono conferenze sul clima di cui non ci si ricorda, e sono tante. Quella conclusasi a Madrid appartiene purtroppo al secondo gruppo.
Non è solo lo spostamento della sede all’ultimo momento da Santiago del Cile a Madrid per ragioni di ordine pubblico. Non è solo per il ritiro dell’America di Donald Trump dall’Accordo di Parigi. Non è perché le emissioni non diminuiscono, anzi aumentano: dello 0,6 per cento lo scorso anno quando il recentissimo Emissions Gap Report dell’Unep ci ha ricordato che dovrebbero diminuire dell’8 per cento all’anno tra il 2020 e il 2030.
Non ci ricorderemo di questa Cop25 perché, per stessa ammissione dei suoi protagonisti, è stata una conferenza-ponte verso la Cop26 di Glasgow dell’anno prossimo. Quella conterà veramente perché in quell’occasione – come anticipato da tutti: osservatori scienziati esperti e diplomatici – i paesi dovranno svelare le loro vere intenzioni. Che prenderanno la forma di una revisione più severa e ambiziosa dei propri piani volontari di riduzione delle emissioni – le cosiddette Ndc – presentati a Parigi e che formano parte integrante dell’Accordo.
Dopo una prima settimana passata a discutere dell’articolo 6 relativo agli aspetti tecnici di un futuro o futuribile mercato internazionale dei permessi di emissione, strumento ideale per gli economisti del clima, ma ancora una chimera, la conferenza si chiude con un comunicato finale che cerca di dimostrare la sua non inutilità e di presentare come un successo ciò che non lo è stato.
A noi pare tuttavia che questa Cop madrilena una funzione l’abbia svolta. Grazie anche alla presenza di Greta Thunberg e grazie alle numerose manifestazioni pubbliche dei giovani, il clima ha avuto nei mesi scorsi una copertura mediatica che non si era vista prima. Questa attenzione non è destinata ad affievolirsi, anzi. La conferenza sul clima di Madrid appena conclusa segna allora il punto di partenza da prendere a riferimento per misurare l’influenza che i movimenti dal basso – dai Fridays for future, ai Parents for future, agli Economists for future (e chi più ne ha, più ne metta) – avranno per tutto questo 2020 che culminerà nel cruciale appuntamento di Glasgow.
Si vedrà allora se il sommarsi di danni ed effetti dei cambiamenti climatici, che si fanno sempre più evidenti, e di un movimento mondiale di opinione e di protesta avrà finalmente messo in funzione l’ingranaggio finale del meccanismo che traduce la domanda pubblica di intervento a favore del benessere delle generazioni prossime e future in concrete decisioni politiche.
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Professore ordinario di Economia politica presso il Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università degli studi di Milano. Dopo la laurea in Discipline economiche e sociali presso l’Università Bocconi di Milano ha conseguito il dottorato in economia (Ph.D.) presso la New York University di New York. È Direttore della ricerca scientifica della Fondazione Eni Enrico Mattei, dopo essere stato in passato coordinatore del programma di ricerca in modellistica e politica dei cambiamenti climatici. È Fellow del Centre for Research on Geography, Resources, Environment, Energy & Networks (GREEN) dell’Università Luigi Bocconi e Visiting Fellow presso il King Abdullah Petroleum Studies and Research Center (KAPSARC). È Review Editor del capitolo 4 (“Mitigation and development pathways in the near- to mid-term”), Sixth Assessment Report (AR6), IPCC WGIII, 2021. È stato fondatore e primo presidente dell’Associazione italiana degli economisti dell’ambiente e delle risorse naturali, è membro del comitato scientifico del Centro per un futuro sostenibile e della Fondazione Lombardia per l’Ambiente. È componente del comitato di redazione de lavoce.info.
Direttore della Fondazione Eni Enrico Mattei, ha conseguito il Ph.D in Economics presso l’University College of London. È stato Chief Economist dell’Eni, amministratore delegato di Eni Corporate University e Principal Administrator dell’International Energy Agency (Energy and Environment Division). È stato consigliere di amministrazione dell’ENEA in rappresentanza del ministero dello Sviluppo economico. Autore di molte pubblicazioni su temi legati ad energia e ambiente è stato anche Autore principale (Lead Author) per il Third Assessment Report ed il Fifth Assessment Report per conto del IPCC (Intergovernamental Panel on Climate Change). Docente all’Università Luiss e alla Luiss Business School. Membro dell’Editorial Board de lavoce.info. Socio Fondatore dell’Associazione Italiana degli Economisti dell’Ambiente e delle Risorse Naturali e della Società Italiana per le Scienze del Clima (SISC).
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