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Nella “fase 2” a casa giovani e donne

Il 4 maggio torneranno al lavoro in larga maggioranza lavoratori uomini. Alle donne non resterà che farsi carico ancor di più della cura della famiglia. Anche i giovani rimangono a casa. Sono due categorie che già avevano difficoltà sul mercato del lavoro.

Tornano al lavoro soprattutto uomini

La conferenza stampa del presidente del Consiglio di domenica 26 aprile ha deluso i molti che speravano di poter tornare alla normalità già a partire dal 4 maggio. Non è così: potranno riaprire manifattura, costruzioni e commercio all’ingrosso, mentre solo dal 18 maggio sarà il turno di commercio al dettaglio, musei e biblioteche. Ristoranti, bar e cura della persona probabilmente potranno ripartire a giugno.

La conferenza stampa, tuttavia, ha fatto più rumore per le cose che non sono state dette. Per esempio, la gestione del rientro all’attività lavorativa per tutte quelle persone che hanno compiti di cura di bambini o anziani resta un interrogativo importante e lasciato totalmente “inevaso”. Chi se ne farà carico? Come conciliare le esigenze di rientro al lavoro e di cura della famiglia? Due settimane in più o in meno di lockdown possono fare la differenza per molte famiglie italiane.

Ma quali sono i lavoratori interessati dalla riapertura del 4 maggio? Possiamo guardare alla distribuzione per genere e per età tra i vari gruppi di attività economiche per capire quali fasce della popolazione saranno o no interessate dall’allentamento delle misure di contenimento. Per farlo, usiamo i dati di un campione delle comunicazioni obbligatorie forniti dal ministero del Lavoro riferiti al 2019, già descritti in un precedente articolo.

La figura 1 riporta la distribuzione per genere in tre gruppi di attività, classificati sulla base dei codici Ateco: quelle che riapriranno il 4 maggio, quelle che erano già aperte come da Dpcm del 25 marzo 2020 (le “attività essenziali”) e quelle che invece resteranno chiuse anche dopo il 4 maggio.

Lo squilibrio di genere risulta evidente. Il 72 per cento dei lavoratori che tornano al lavoro il 4 maggio sono uomini. Il risultato non è una sorpresa, dal momento che le attività manifatturiere e delle costruzioni sono tipicamente a predominanza maschile. Tuttavia, questo massiccio rientro al lavoro di uomini finirà per caricare di ulteriori compiti di cura le donne all’interno delle famiglie, rischiando di ridurre ancora di più la loro offerta di lavoro, già minata dalla chiusura delle scuole e dalla assenza di alternative credibili alla gestione diretta dei carichi familiari. Per le attività che erano già aperte e per quelle che resteranno chiuse si osserva un sostanziale equilibrio tra uomini e donne, anche se in quelle chiuse la percentuale femminile è leggermente superiore.

La sorte dei giovani

Per giorni prima dell’intervento del presidente del Consiglio, si è discusso poi della possibilità di un lockdown“forzato” per alcune categorie ritenute più vulnerabili, identificate genericamente negli ultra-sessantenni. Se da un lato è stato riscontrato che il tasso di mortalità del coronavirus sia più alto per le fasce più anziane della popolazione, dall’altro lato le misure di blocco delle attività produttive hanno interessato in misura maggiore i lavoratori più giovani. Le attività che riapriranno sembrano confermare il dato.

La figura 2 mostra la distribuzione per classi di età nei tre gruppi di attività economiche. È particolarmente evidente lo squilibrio tra quelle che restano chiuse dove un lavoratore su tre ha meno di 30 anni e quasi due su tre hanno meno di 40 anni e quelle che sono aperte o riapriranno a breve, per le quali la distribuzione è spostata verso le fasce meno giovani.

In altre parole, al di là degli annunci e delle voci che si sono rincorse nei giorni passati, sono i più giovani a sopportare le maggiori limitazioni a causa del lockdown, dal momento che anche dopo il 4 maggio molti dovranno continuare a restare a casa. Un aspetto non irrilevante, anche in considerazione dell’insufficienza dei risparmi su cui possono contare molti italiani, in particolare i più giovani probabilmente.

Questi dati impongono di riflettere non solo sulla situazione attuale, ma anche sugli scenari futuri dell’economia del nostro paese. I progressi, lenti e faticosi, registrati negli ultimi anni sul fronte della partecipazione femminile al mercato del lavoro rischiano di essere vanificati dai vincoli imposti alle famiglie in lockdown, per le quali purtroppo un bonus babysitter o un’estensione del congedo parentale potrebbero non bastare.

I giovani sono invece tra le categorie che hanno fatto più fatica a riprendersi dopo la grande recessione e la successiva crisi dei debiti sovrani, con tassi di disoccupazione elevati e redditi più bassi della media. L’ulteriore colpo alle loro prospettive lavorative potrebbe essere ancora più difficile da assorbire senza appropriati ammortizzatori.

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12 commenti

  1. Michele Masi

    Complimenti per le interessanti analisi. La cosa difficile da digerire è che questi effetti distorsivi penalizzanti per donne e giovani non sono il frutto di regole di prevenzione basate su solide evidenze scientifiche. In Italia abbiamo deciso di vietare tutto e di stabilire cosa è consentito fare per decreto. L’incostituzionalità di questo approccio secondo me è palese. Il legislatore dovrebbe indicare chiaramente quali comportamenti pongono un rischio eccessivo per la salute pubblica e vietare quei comportamenti e quelle attività. Vietare tutto ciò che non è consentito fare è pazzesco

    • Amegighi

      Se mi consente, anche il suo ragionamento è un po’ distorto (nella sua chiara idea) dal nostro modo di pensare. Cerco di spiegarmi. Siamo continuamente alla ricerca della regola, della legge, di ciò che si può fare e di ciò che non si può fare, generando un marasma burocratico e legale inesistente nel resto del mondo. Questo modo di pensare ed agire, è incompatibile totalmente con il rapido mondo moderno che richiede risposte rapide, chiare e semplici (ed efficaci). Lo si vede anche adesso nel caso tragico del Covid-19. Io avrei capovolto il ragionamento. Quali sono i criteri che noi cittadini, RESPONSABILMENTE (cioè a nostra responsabilità) dobbiamo seguire ? Distanziamento sociale, non aggregazione, uso di mascherine (senza però ridurre con questo il distanziamento sociale…servono per salvaguardare gli altri), uso di guanti (in determinate condizioni) e frequente lavaggio delle mani. Detto questo, quali sono le attività compatibili con questo ? Quali lo sono con limitati accorgimenti ? Quali non lo sono per niente ?
      Siamo NOI che dobbiamo essere responsabili e non per le mani delle regole che ci vengono dette. Se io entro in un negozio dove le regole sanitarie sopra citate non sono rispettate, sono IO che devo uscire od evitare di entrare. Peggio per il negoziante che avrà meno gente.
      Il concetto di reponsabilità è stato spesso accennato a sproposito come fosse un alibi. Mi ha colpito il sito del governo svedese che dice: la responsabilità è alla base del nostro stato.

      • Pippo Calogero

        E infatti la Svezia ha 3 volte i morti per 100000 abitanti della Danimarca e oltre 5 volte quelli di Finlandia e Norvegia. La frase da lei citata nasconde una gestione disastrosa dell’epidemia rispetto ai cugini scandinavi, quantificabile in oltre 1500 morti.

  2. Giuseppe

    Diciamocelo senza mezzi termini: ai giovani è imposto un sacrificio economico ed esistenziale enorme per tutelare la salute dei soggetti più a rischio, gli anziani.
    Eppure pare non sia socialmente accettabile esonerare dal lavoro gli over 60, nonostante siano le persone in questa fascia di età che rischiano di far saturare gli ospedali.
    Una riapertura improntata più a criteri ideologici che meramente epidemiologici.
    Ciliegina sulla torta: non sarà poi mai neanche immaginata ad esempio una temporanea riduzione di tutti gli assegni pensionistici, che potrebbe finanziare maggiore sussidi per i giovani, che sono più colpiti lavorativamente, ma in fondo anche estremamente meno a rischio ed in quanti tali, meritevoli di una qualche compensazione per il sacrificio loro imposto.
    Non ci sarebbe da stupirsi se nei prossimi anni nascessero forze politiche in cerca di una vera e propria vendetta intergenerazionale, perché l’ingiustizia che si sta per perpetrare è enorme, il vaccino è lontano…

    • Giuseppe Terzaghi

      Ecco qualcuno che ha il coraggio di affermarlo: anche questo lockdown, come tanti altri interventi passati, è un po’ gerontocratico, ossia avvantaggia gli anziani a discapito dei giovani.
      Può darsi che sia giusto, io avrei votato a favore.
      Però è opportuno avere il coraggio di riconoscerlo, prima che ce lo “sbattano in faccia” proprio i giovani.

      • bob

        il Paese dei campanili, dei 4 quotidiani sportivi, etc etc adesso si inventa il derby giovani-anziani. Frutto di un “Paese” anarchico, senza programmi ormai da 40 anni. La commedia all’italiana di cinematografica memoria trasformata in realtà quotidiana. Penoso

  3. Pippo Calogero

    Riaprono fabbriche e cantieri e ci si stupisce che siano prevalentemente i maschi a tornare al lavoro? Il motivo per cui sono gli uomini a tornare al lavoro è lo stesso per cui oltre il 90% delle morti sul lavoro riguarda i maschi. Il piagnisteo femminista chiaramente non ha mai chiesto quote rosa sui ponteggi, ma solo nei CdA e nelle posizioni apicali. Volete che siano le donne a tornare a lavorare quando si riapre l’edilizia? Mettete loro in mano un badile e una mazzetta da carpentiere, poi però non lamentatevi se le morti femminili sul lavoro sono 4 volte i femminicidi. Mancano 350000 mila lavoratori agricoli? E’ la vostra occasione per portare l’occupazione femminile allo stesso tasso di quella maschile. Forza e coraggio.

    • Alessandra Casarico e Salvatore Lattanzio

      Non ci siamo stupiti. Ci siamo chiesti quali fossero le implicazioni sul lavoro di cura. E non tutti i giovani sono donne. Quanto alle morti sul lavoro e per femminicidio, sono entrambe una piaga. Il fatto che ci siano morti sul lavoro e che siano uomini non ci fa consolare dei femminicidi (e viceversa).

      • Pippo Calogero

        Benissimo, io registro solo il seguente dato: praticamente ogni giorno compare un articolo sulla condizione di vittima del genere femminile in un qualunque contesto sociale, anche quando la cosa è assolutamente strutturale come in questo caso, perché gli uomini sono sovrarappresentati nei lavori pesanti, mentre le donne nel sociale, che ovviamente va tenuto chiuso causa Coronavirus. D’altro canto non mi è mai capitato di leggere nemmeno una riga manco per sbaglio sul fatto che le morti bianche siano una questione, o perlomeno un problema di genere. Mai.
        La mia impressione è che questo “dibattito” sia diventato profondamente ideologico in senso identitario negli ultimi 10 anni, e la cosa mi rattrista e mi preoccupa. Avanti di questo passo arriveremo ai maschi contro femmine delle elementari.

    • STEFANIA

      Per la cronaca in molte fabbriche lavorano anche molte donne che saranno obbligate a restar a casa perché su di loro si scarica la cura dei figli.E sempre per la cronaca, ci sono muratrici, saldatrici, tornitrici e qualunque altra attività che tu possa reputare completamente maschile, comprese autiste di tir e scaricatrici di porto.

      • Pippo Calogero

        A me fa piacere se le donne fanno le saldatrici e mi fa piacere pure se fanno la Presidente della Repubblica. Ciò che però si sente invocare a gran voce a reti unificate praticamente quotidianamente è solo la seconda posizione, mentre la richiesta di parità di genere nei lavori umili, faticosi e pericolosi io non l’ho mai vista né sentita da nessuna parte. Questa non è quindi parità di genere, è lotta identitaria per il potere, cui è funzionale una sistematica criminalizzazione del genere maschile e la vittimizzazione della donna in quanto gruppo sociale. Anche in questo articolo si riesce a trasformare la struttura sociale del mercato del lavoro pesante, che peraltro fa comodo a tutte e nessuna femminista ha mai contestato, in un processo di vittimizzazione femminile, come se i maschi avessero la colpa di fare i cottimisti alle prese col Coronavirus. Francamente di queste prospettive sfasciste del tessuto sociale non se ne può più, e non ho ancora capito dove s’intenda andare a parare.

    • De Gregorio Gennaro

      Forse non “ci rendiamo” conto che il mondo delle belle parole non ha futuro. Forse molti di quelli che chiamavamo diritti semplicemente non lo erano, oppure lo erano solo in una società che però era oppressa dai consumi.

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