Quale sarà l’impatto del coronavirus sulla crisi climatica? Le drastiche riduzioni dell’attività economica non sono necessariamente una buona notizia per il pianeta. Così come sarà fondamentale capire quali saranno le nuove priorità dei cittadini.
Gli effetti diretti del virus
Quale sarà l’impatto del coronavirus sulla crisi climatica? La relazione tra i due problemi globali è uno dei temi che sono stati discussi in tempo di pandemia. La questione presenta diverse sfaccettature e diversi angoli di visuale.
Vi sono innanzitutto gli effetti diretti. La presenza a livello globale del virus ha rallentato ovunque e in modo considerevole l’attività economica, che a sua volta è strettamente connessa con il livello delle emissioni di gas-serra. La contrazione economica ha portato, secondo le ultime stime, a una riduzione delle emissioni globali di CO2 del 5,8 per cento rispetto all’anno passato solo nel primo trimestre.
Più preoccupanti i dati di domanda energetica offerti dall’Agenzia internazionale per l’energia che ritiene che la pandemia di Covid-19 rappresenti “il più grande shock per il sistema energetico globale in oltre sette decenni, con il calo della domanda di quest’anno destinato a sminuire l’impatto della crisi finanziaria del 2008 e a provocare una diminuzione annuale record delle emissioni di carbonio di quasi l’8 per cento” (figura 1). In Italia, uno dei paesi più duramente colpiti, con una perdita di Pil stimata dalla Commissione Ue in quasi il 10 per cento, le emissioni potrebbero calare al livello più basso degli ultimi cinquant’anni ritornando su quelli dei primi anni Settanta (figura 2).
Le riduzioni previste non sono necessariamente buone notizie per il pianeta. Anche se la contrazione delle emissioni sarà la più profonda della storia, guerre mondiali comprese, l’esperienza insegna che nel momento in cui l’economia tornerà a crescere, così faranno anch’esse. Nessuno sa per certo quanto durerà la crisi. Ma se si dovesse risolvere rapidamente, come tutti speriamo, il rimbalzo delle emissioni sarà immediato, come già sperimentato dopo la grande recessione economico-finanziaria del 2009. Se invece la situazione di crisi si protrarrà, il beneficio per l’ambiente sarà maggiore, ma con esso anche la sofferenza sociale ed economica.
In ogni caso, il cambiamento climatico dipende dall’accumulo dei gas-serra: come in una vasca da bagno, se il rubinetto è aperto il livello dell’acqua sale. E di fatti la concentrazione di CO2 in atmosfera si è mostrata totalmente indifferente (verrebbe da dire immune) al Covid-19: secondo gli ultimi dati dell’americano Noaa (National Oceanic and Atmospheric Administration) ad aprile 2020 è stata pari a 416.21 parti per milione, il valore più alto da quando ne è cominciata la misurazione all’osservatorio di Mauna Loa alle Hawaii, nel 1958.
Fermare l’incremento della temperatura significa arrivare necessariamente a zero emissioni di CO2, l’obiettivo che l’Ue si è data con il suo European Green Deal per metà secolo. Raggiungerlo significherebbe ottenere riduzioni di emissioni pari a quelle raggiunte a seguito del Covid-19, ma ripetute ogni anno per trent’anni di fila. Se il virus ci ha fatto capire quanto grande è il nostro impatto sull’ambiente, e quanto velocemente può diminuire, ci ha anche ricordato che una transizione ecologica richiede politiche ambientali e rapidi cambiamenti tecnologici, comportamentali e sociali.
Conseguenze indirette
Le conseguenze indirette del Covid-19 sul clima saranno invece molte e articolate. In primo luogo, vi è l’effetto dello stimolo economico impresso dai governi nazionali e dalla Commissione europea. In questa fase si tratta di assicurare la sopravvivenza di famiglie e imprese, ma esso avrà anche un impatto sui gas clima-alteranti. Le misure economiche messe in atto dal presidente Obama all’indomani della crisi finanziaria del 2009 contribuirono a un rapido aumento di emissioni già nell’anno successivo, ma diedero un impulso pure allo sviluppo di fonti energetiche alternative. Investimenti infrastrutturali, innovazione tecnologica, fonti rinnovabili, ma anche un ripensamento della mobilità e dell’edilizia sono candidati ovvi dell’intervento pubblico per stimolare la ripresa.
Con un occhio al nostro paese, si pensi alla necessità di un’azione decisa sulla riqualificazione degli edifici pubblici e scolastici, spesso vetusti. Far ripartire l’economia e riqualificare energeticamente e ambientalmente queste infrastrutture sarebbe un classico “doppio dividendo”.
Le conseguenze andranno ben oltre gli effetti dello stimolo per la ripresa, ma qui fare previsioni diventa difficile. Lo smart working fa risparmiare tempo e viaggi, e dunque emissioni. Ma i mezzi pubblici e le aree urbane ad alta densità abitativa – entrambi utili per limitare l’impatto ambientale – sono veicolo di trasmissione del contagio e ne risentiranno in modo negativo. E il basso prezzo del petrolio mette in grave svantaggio le fonti alternative. Quando l’emergenza sarà finita, i paesi si troveranno con più povertà e disuguaglianza e con un debito ingigantito. Il varo di riforme politiche in favore dell’ambiente – incluse quelle per un fisco più verde – potrebbe aiutare su entrambi i fronti, riducendo l’impatto ambientale e ridistribuendo il gettito a favore delle classi sociali più in difficoltà.
Fondamentale sarà capire come le opinioni dei cittadini cambieranno e quali saranno le nuove priorità. L’emergenza Covid-19 ha tolto quell’attenzione che la crisi climatica si era faticosamente guadagnata con le strade piene di giovani: difficilmente nel prossimo futuro potremo rivedere simili appuntamenti di massa.
In effetti, il movimento dei Fridays for future sembra essersi preso una pausa di riflessione. D’altra parte, potrebbe accadere che la consapevolezza della relazione fra uomo e ambiente si accresca ancora. La storia ci dice che i problemi di lungo periodo come quelli ambientali vengono spesso messi da parte quando le urgenze incalzano, come per altro è successo nella recente crisi finanziaria. Una preoccupazione alla volta. Ma questa è una crisi come nessun’altra. Molti hanno ricordato che un importante effetto dell’aumento delle temperature dovuto al riscaldamento globale è proprio quello di favorire la diffusione di malattie e di virus. Il legame tra salute e ambiente è sempre più evidente e importante, come ci ha mostrato il Covid-19: non dimentichiamolo.
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Professore ordinario di Economia politica presso il Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università degli studi di Milano. Dopo la laurea in Discipline economiche e sociali presso l’Università Bocconi di Milano ha conseguito il dottorato in economia (Ph.D.) presso la New York University di New York. È Direttore della ricerca scientifica della Fondazione Eni Enrico Mattei, dopo essere stato in passato coordinatore del programma di ricerca in modellistica e politica dei cambiamenti climatici. È Fellow del Centre for Research on Geography, Resources, Environment, Energy & Networks (GREEN) dell’Università Luigi Bocconi e Visiting Fellow presso il King Abdullah Petroleum Studies and Research Center (KAPSARC). È Review Editor del capitolo 4 (“Mitigation and development pathways in the near- to mid-term”), Sixth Assessment Report (AR6), IPCC WGIII, 2021. È stato fondatore e primo presidente dell’Associazione italiana degli economisti dell’ambiente e delle risorse naturali, è membro del comitato scientifico del Centro per un futuro sostenibile e della Fondazione Lombardia per l’Ambiente. È componente del comitato di redazione de lavoce.info.
Direttore della Fondazione Eni Enrico Mattei, ha conseguito il Ph.D in Economics presso l’University College of London. È stato Chief Economist dell’Eni, amministratore delegato di Eni Corporate University e Principal Administrator dell’International Energy Agency (Energy and Environment Division). È stato consigliere di amministrazione dell’ENEA in rappresentanza del ministero dello Sviluppo economico. Autore di molte pubblicazioni su temi legati ad energia e ambiente è stato anche Autore principale (Lead Author) per il Third Assessment Report ed il Fifth Assessment Report per conto del IPCC (Intergovernamental Panel on Climate Change). Docente all’Università Luiss e alla Luiss Business School. Membro dell’Editorial Board de lavoce.info. Socio Fondatore dell’Associazione Italiana degli Economisti dell’Ambiente e delle Risorse Naturali e della Società Italiana per le Scienze del Clima (SISC).
Professore ordinario presso la School of Management del Politecnico di Milano e direttore dell'Istituto europeo per l'economia e l'ambiente (EIEE), una partnership tra Resources for the Future (RFF) e la Fondazione CMCC. Precedentement ha coordinato il programma sul clima della Fondazione Eni Enrico Mattei. È stato fellow presso il Center for Advanced Studied in Behavioural Sciences presso la Stanford University e post-doc presso Princeton University. La sua ricerca riguarda le politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici ed è apparsa su importanti riviste scientifiche. È autore dell'IPCC (5 ° e 6 ° rapporto), co-dirige dell'International Energy Workshop ed è stato vicedirettore della rivista "Climatic Change". Ha vinto un grant dal consiglio europeo per le ricerche (ERC). Ha consigliato diverse istituzioni internazionali sui cambiamenti climatici, tra cui l'OCSE, la Banca asiatica per lo sviluppo, la Banca mondiale.
Amegighi
Articolo interessante, tuttavia ci sono delle cose che non mi tornano molto, riguardo alle emissioni di CO2. Di solito in situazioni in cui le misure successive danno del rumore (alti e bassi) si ricorre ad analisi più “sofisticate” come ad esempio la media mobile o varie forme di filtraggio dei dati. Il quadro che ne esce è di rallentare tanto la deflessione in un senso che nell’altro del dato stesso. Ora, l’aumento o riduzione della CO2 non è un effetto diretto, ma indiretto e richiede tempo prima di essere evidente. E’ simile al volano di una macchina. Quando si dà energia al motore l’accelerazione si ottine in ritardo e permane al di là della reale immissione di energia nel motore. Analogamente in ritardo è il rallentamento rispetto alla reale sottrazione di energia al motore stesso.
Penso che lo stesso debba avvenire per la CO2. Adesso non vediamo il suo ridursi, lo vedremo in futuro e così ancora più in là vedremo l’aumento dovuto al picco positivo (se ci sarà) dell’economia. Ma poi ? Io penso che raggiunto il livello precedente l’economia si assesterà alla fase di salita (debole) che era presente precedentemente. Cioè, avremo una deflessione e poi un picco di salita della CO2 che rallenterà assestandosi alla fase precedente al covid-19. Da quali variabili si deduce invece che ci sarà invece una salita duratura della CO2, in contrasto con la fase (purtroppo) di salita rallentata pre covid-19 ?