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È il momento di creare lavoro

I Centri per l’impiego non possono più limitarsi alla mediazione tra offerta e (scarsa) domanda di lavoro, mentre la formazione non risolve il problema dei disoccupati di lungo periodo. Servono investimenti in supporto o creazione diretta di occupazione. Ma senza aumentare la spesa pubblica.

UN MATCHING SENZA DOMANDA DI LAVORO

In campagna elettorale tutti promettono nuove spese, non si sa bene con quali risorse (visto che il gettito fiscale in percentuale del Pil ha raggiunto il 45 per cento). Invece, bisogna rendersi conto che nel nostro paese la spesa pubblica è il problema, non la soluzione. Si deve discutere solo di composizione della spesa per renderla più efficiente e non dell’ammontare che, semmai, è già troppo elevato. Per esempio, la composizione della spesa in politiche attive in Italia è molto diversa rispetto a Francia e Germania: anche noi, come avviene in quei due paesi. In Italia dovremmo fare più creazione diretta di occupazione e meno formazione.
In un momento di recessione economica, sviluppare programmi di mediazione nei confronti dei soggetti più svantaggiati non è sufficiente, proprio per l’assenza di una adeguata domanda di lavoro. Per questo è fondamentale investire in programmi di supporto o creazione diretta del lavoro. Ed è meglio utilizzare temporaneamente strumenti che abbiamo già a disposizione piuttosto che inventarsi la Banca del Sud o il nuovo Iri.
Il quarto pilastro della riforma del lavoro del governo Monti, che è quello che riguarda le politiche attive, è ancora tutto da scrivere. In particolare, bisognerà rivedere il funzionamento dei servizi all’impiego per la ricollocazione dei disoccupati.
In questa fase di recessione economica, i soggetti che si rivolgono ai Centri per l’impiego (Cpi). presentano caratteristiche estremamente eterogenee. Accanto a coloro che sono in grado di trovare “autonomamente” il lavoro e necessitano solo di intermediazione, è presente una seconda tipologia, ed è il gruppo più consistente, alla quale serve una “traiettoria” per tornare nel mercato del lavoro.
Se liberati dalle attività amministrative (come la registrazione delle disponibilità al lavoro tramite web o call center), i Centri per l’impiego potranno sviluppare servizi destinati a queste persone, per indirizzarle verso quelle imprese che negli ultimi anni hanno effettuato assunzioni significative. A questo si aggiunge la possibilità di delegare parte della fase di collocamento all’attore privato, all’interno di un accordo di partenariato dove sono indicati chiaramente incentivi e sanzioni per ridurne l’opportunismo.
Tuttavia, questo percorso, che riassume un modello “idealtipico” dei servizi pubblici per l’impiego, non è in grado di offrire una risposta adeguata ai soggetti appartenenti alle fasce più deboli del mercato del lavoro: disoccupati di lungo periodo oppure over50 con bassa scolarizzazione proveniente da un settore economico in crisi. In molti casi, si tratta di soggetti “parcheggiati” nella formazione professionale, per i quali successivamente non si trova una domanda di lavoro interessata ad assumerli anche in presenza di incentivi economici.
In altre parole, siamo in una fase in cui è presente un eccesso di offerta di lavoro e pertanto gli investimenti nella fase d’incontro offerta/domanda di lavoro rischiano seriamente di non produrre risultati, soprattutto per i soggetti più “svantaggiati”.

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COME FANNO GLI ALTRI?

Il confronto con Germania e Francia è utile perché mostra come questi paesi affrontino la possibilità di collocare i soggetti “svantaggiati” (anche prima della crisi), non solo investendo nello sviluppo del capitale umano tramite la formazione professionale, dove i risultati in termini di esiti occupazionali sono tutt’altro che incoraggianti, ma anche attraverso investimenti in supporto o creazione diretta di occupazione.
La tabella sotto mostra come l’Italia spenda molto di più in formazione o premi alle imprese e molto meno in incentivi all’auto-imprenditorialità, supporto e creazione diretta di occupazione. Proprio queste voci (ad esempio attraverso agevolazioni per gli asili nido, sostegno diretto all’auto-imprenditorialità femminile, o trasformazione della cura di familiari non autosufficienti in collaborazioni regolari) sono alla base del successo francese nella collocazione delle donne nel mercato del lavoro. In modo analogo, per quanto riguarda l’assistenza nella creazione di ditte individuali o nel supporto alle aziende per nuova occupazione, i servizi pubblici per l’impiego tedeschi sono imparagonabili in termini di competenza e risorse rispetto a quelli italiani. (1)

 

Tabella 1 – Spesa per le politiche del lavoro nel 2009

Italia

Germania

Francia

Amministrazione degli Spi (% di Pil)

0,11

0,37

0,26

Collocamento e servizi connessi (% di Pil)

0,00

0,19

0,25

Politiche attive

Spesa (% di Pil)

0,44

1

0,98

di cui:
Supporto all’occupazione

0,00

1,41

8,54

Creazione di occupazione diretta

2,04

8,45

18,29

Incentivi per l’auto-imprenditorialità

4,08

9,86

4,88

Altro (Formazione, Incentivi alle imprese, ecc…)

93,88

80,28

68,29

Totale

100

100

100

Numero beneficiari (% sulla forza lavoro)

5,41

3,68

5,27

Politiche passive

Spesa (% di Pil)

1,39

1,52

1,42

di cui:
Sostegno al reddito

56,39

54,24

49,82

disoccupazione per assicurati

39,21

26,57

44,48

disoccupazione di base

0,00

16,97

4,98

Prepensionamento

4,41

2,21

0,71

Totale

100

100

100

Numero beneficiari (% sulla forza lavoro)

6,68

10,5

8,42

Pil (miliardi di dollari)

2.121

3.298

2.624

Fonte: Nostre elaborazioni dati Oecd  (www.stats.oecd.org) ed Eurostat  (http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/eurostat/home ).

 In realtà, il discorso vale anche per altri contesti europei: se non fosse per strumenti molto simili ai lavori socialmente utili, i modelli di Flexicurity danese e svedese non sarebbero in grado di ricollocare un numero consistente di disoccupati di lungo periodo.
L’intervento diretto dello Stato per la tutela dei soggetti più “svantaggiati” è una caratteristica che è sempre stata presente nel modello di welfare to work anglosassone, con la trasformazione di milioni di disoccupati di lungo periodo in invalidi civili durante l’era Thatcher o successivamente l’assunzione di milioni di persone nelle strutture parapubbliche o private (finanziate da sostegni statali), nei settori della sanità o istruzione, durante il primo governo Blair.
Nei programmi di Job creation, infatti, il problema non è tanto l’utilizzo o meno degli strumenti di creazione diretta (ad esempio i lavori socialmente utili), ma piuttosto come il loro numero e la loro durata possa essere gestita in Italia. Questo è l’aspetto che bisogna migliorare.

COSA SI PROPONE?

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Per coloro che, secondo criteri oggettivi, si trovano in situazioni di grave necessità economica, si potrebbero affiancare ai programmi di orientamento al lavoro anche opportunità di supporto o creazione diretta di lavoro. La possibilità di trasformare l’assistenza di cura ai non-autosufficienti in politica attiva del lavoro è certamente l’intervento più interessante, soprattutto in prospettiva di reingresso nel mercato del lavoro; in alternativa, si possono offrire collaborazioni occasionali per attività nel territorio.
L’obiettivo non è certo quello di proporre strumenti analoghi a sperimentazioni già realizzate senza successo nel nostro paese (come i forestali); piuttosto proprio sulla scorta dei problemi emersi dalle esperienze precedenti, si potrebbero realizzare temporaneamente nuove forme di Job creation.
Il numero dei beneficiari potrebbe essere proporzionale a quello dei disponibili al lavoro che hanno stipulato un patto di servizio per la loro ricollocazione con i Centri per l’impiego provinciali.
Inoltre, per evitare di generare aspettative circa la capacità di reinserimento lavorativo dei beneficiari, questi programmi vanno giustificati sulla scorta di altre considerazioni: rappresentano un test di disponibilità da parte di individui che vengono solitamente percepiti come poco motivati nella ricerca di lavoro; se realizzati efficacemente possono favorire l’inclusione sociale dei partecipanti.
Il sostegno va inteso come aiuto alla persona e rientrerebbe nei vari servizi offerti dai Centri per l’impiego; e le risorse per finanziare lo strumento vanno trovate nelle altre voci che riguardano le politiche attive del lavoro, in primis formazione professionale e incentivi alle imprese.

A queste si possono aggiungere le ingenti somme non spese del Fondo sociale europeo, per sperimentazioni nei programmi di supporto o creazione diretta di lavoro (rispettando ovviamente i vincoli comunitari) dedicati ai disoccupati di lungo periodo, che non sono beneficiari di nessuna forma di sostegno al reddito. (2)

 

 

(1) In questa sede ne ricordiamo solo alcuni: Job Rotation (consiste nel liberare un lavoratore per la formazione professionale, mentre in quello stesso periodo il suo posto di lavoro viene occupato da un lavoratore disoccupato), Salvaguardia della retribuzione dei lavoratori anziani (accettano un nuovo impiego o evitano di perdere quello vecchio), Gestione del part-time di vecchiaia, Mini o Midi Job (esonero contributi per lavori con stipendi bassi), Sussidi di integrazione (i datori di lavoro possono ricevere compensi per le perdite conseguite in seguito all’assunzione di persone con difficoltà a trovare un impiego), Ich-AG o Ditte individuali (sussidio per la creazione di una ditta individuale).

(2) Il Fondo sociale europeo sta per finire e la media nazionale delle risorse utilizzate è ferma al 40 per cento.

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10 commenti

  1. Maurizio Cocucci

    Davvero un articolo molto interessante che invita a trovare vie più concrete per risollevare l’economia rispetto alle ‘facili’ quanto dubbie soluzioni di politica monetaria.

  2. Piero

    I posti di lavoro si creano tutelando e facendo crescere le imprese, cosa che in Italia non si fa, oggi alle imprese serve il credito, le banche on hanno i soldi per concedere il credito, devono essere patrimonializzate, hanno minusvalenze in bilanio create dalla diminuzione del valore dei titoli del debito pubblico,; con queste premesse non si esce se non con una politica monetaria espansiva effettuata con strumenti non convenzionali, lo stanno facendo tutte le altre economie, usa,Giappone,Inghilterra, solo l’Europa, germanio centrica non lo fa, perché a loro l’euro ha creato in dieci anni un surplus commerciale più alto di quello della Cina.
    Tutti coloro che icono che stampare la moneta non serve a niente devono tornare sui libri e studiare.

  3. nello nelli

    Credo non ci si voglia rendere conto che non si tratta di creare lavoro, la situazione è talmente al Limite che dobbiamo inventare le occupazioni del futuro. Oramai nel mondo ci avviciniamo al collasso demografico, perdipiu’ l’enormi richieste dei popoli in via di sviluppo ci porta a spostare milioni di esseri umani, a spostare molteplici lavorazioni, il tutto a scapito delle popolazioni piu’ sviluppate ed oramai avvezze a tenori di vita molto spesso assurdi, o perlomeno esosi. Oltre ad inventare nuovi lavori, ci dobbiamo preparare a rivedere i nostri sistemi di vita, oramai il mondo è al culmine, è pura illusione pensare di continuare a salire , la soluzione è nel ripartire con equita’ le risorse , con equita’ le professioni , altrimenti dobbiamo aspettarci rivalse sociali, flussi migratori senza controllo , imbarbarimento del vivere collettivo , praticamente il sistema non sara’ piu’ controllabile. Pensare di tenere milioni di persone non impegnate in attivita’ lavorativa, al di fuori di una vita dignitosa, credo non ci voglia molta immaginazione ed intelligenza per capire cosa ci aspetta , quale sara’ il futuro delle prossime generazioni.

  4. Antonio Damiano

    E se pensassimo ad una serie di incentivi economici da conferire alle società di collocamento private che riescono ad trovare un’occupazione stabile al disoccupato?

  5. Federico

    Buonasera, grazie per l’editoriale. Ritengo che le soluzioni suggerite vadano nella direzione giusta, e vi siano spunti di grande interesse. Ma è fondamentale anche – finalmente- si modernizzare ed internazionalizzare il sistema Paese (il rischio, è quello di retrocedere a Stato- villaggio vacanze in una progressiva spirale involutiva), mettere mano alle privatizzazionie, ripristinare l’efficienza della giustizia e il fisco. se non si abbatte la pressione fiscale (con il ricavato delle privatizzazioni), temo che ogni interessante proposta non possa neppure venire implementata in modo efficiente, o senza alimentare la spesa corrente (e sempre lddove vengano effettuate nell’ambito di un coerente progetto di apertura del mercato, e non si riducano al mero trasferimento di monopoli pubblici in mani private (soluzione “oligarca dell’est” per intenderci). prioritario implementare un contesto business-friendly, ripristinando giustizia, fisco, e abbattendo la burocrazia…Saluti

  6. alberto

    Accanto alle proposte degli autori credo, come peraltro già sottolineato da altro contributo su questo stesso sito, che sia anche indispensabile potenziare e qualificare i servizi di intermediazione dei centri per l’impiego, attraverso l’indicata riduzione delle attività amministrative realizzabili in larga parte on line, l’attivazione e l’utilizzo di canali telematici (cliclavoro e specifici portali provinciali (es. J4U) che fungano da snodo territoriale cui i datori di lavoro e tutti gli operatori del mercato accedano per la promozione e diffusione delle domande di lavoro – direttamente o mediante incarico di preselezione ai Cpi -) e la realizzazione e il consolidamento da parte di tutti i servizi pubblici per l’impiego delle “buone pratiche” di marketing territoriale che permettano di avvicinare e agganciare, in maniera estesa e fiduciaria, l’utenza datoriale che non può che rappresentare lo sbocco naturale di ogni politica attiva per il lavoro.

  7. Prima di misurarsi su chi dovrà o potrà fare (privati, pubblico, privato sociale, bilaterali ecc.) 3 considerazioni:
    1. credere che i problemi si risolvano semplicemente aumentando le intermediazioni – piu’ o meno in competizione ma con un impatto su avviamenti che non supera ancora il 4%!!! – significa confondere una difficoltà e la marginalità di tutti i servizi per l’impiego con le modalità di intervento su un mercato del lavoro sempre piu’ ristretto in cui dominano sempre piu’ intermediazioni familiaristiche e di prossimità, una forte offerta di qualificati non occupati, una drammatica eccedenza dell’offerta sulla poco e incerta domanda disponibile.
    2. occorre ripensare le strategie di medio periodo riclassificando i rapporti tra i diversi soggetti di politica attiva, la struttura degli aiuti alle assunzioni nazionali e territoriali, a partire dai rapporti tra i servizi per il lavoro-impiego e i servizi e le iniziative per la formazione professionale (che dovrebbero passare a ragionare sui fabbisogni occupazionali dell’offerta e della domanda di lavoro, superando le logiche dei cosiddetti fabbisogni formativi), servirà anche per discutere meglio degli obblighi necessari per gli utenti e degli standard delle diverse strutture.
    3. occorre sempre piu’ distinguere la pianificazione dei piani per il lavoro e l’occupazione (in sinergia con i processi di sviluppo e occupazionali!) e di lotta contro l’esclusione sociale (in sinergia con le strutture di Welfare)…

  8. , e la organizzazione dei servizi e delle azioni locali di intervento per il mercato, per farlo funzionare e per ottimizzarlo superando l’attuale informalità, e la organizzazione dei servizi e delle azioni locali di intervento sul mercato (a favore delle fasce “tutelate”), Pluralità, assimetrie e sinergie di mission e di intervento devono ritrovare altri equilibri superando la faida tra pubblico e privato, e tra privato e il nuovo privato-sociale.

  9. Fla

    Mestamente mi chiedo, ma quando gli autori parlano di spesa pubblica, dicendo che essa è il male assoluto, perchè, in combutta con altri noti studiosi, “dimenticano” sempre di affermare che essa è superiore alle entrate solo ed esclusivamente (negli ultimi 20anni circa) a causa del ricarico interessi? Esistono le tavole ISTAT o questo studio http://www.rgs.mef.gov.it/_Documenti/VERSIONE-I/Servizio-s/Studi-e-do/La-spesa-dello-stato/La_spesa_dello_Stato_dall_unit_d_Italia.pdf per certificare questa ovvietà. Perchè non le usano? Perchè continuano ad omettere scientemente questo dato? Al netto degli interessi, lo Stato avrebbe un avanzo di circa un centinaio di miliardi. Presi da chi? Dai suoi cittadini? E girati a chi? alle banche…Ecco i “mercati” a cosa servono. Gli autori dovrebbero prima di tutto chiedersi se gli interessi alle banche, prima di tutto il resto, possano essere una delle fonti (se non la maggiore) da cui attingere per le politiche di occupazione di questo paese. Saluti.

  10. Articolo molto interessante, grazie mille!

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