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Dall’Iva una spinta ai consumi per far partire la ripresa

La Germania ha scelto un taglio temporaneo dell’Iva per stimolare la domanda aggregata. È una misura efficace e non convenzionale perché agisce direttamente sulle aspettative dei consumatori, senza il tramite di banche e imprese. È adatta anche all’Italia.

La Germania taglia l’Iva

Mentre le economie mondiali pianificano la riapertura, il rebus è capire quali politiche economiche permettano di uscire dalla crisi Covid-19. Il 3 giugno 2020, la Germania ha presentato un piano di stimolo da 130 miliardi di euro, la cui misura più rilevante è una immediata e temporanea riduzione dell’Iva fino alla fine del 2020. In questo modo, i consumatori sanno che all’inizio del 2021 i prezzi saliranno, perché l’Iva tornerà ai livelli iniziali. Chi può spendere in beni e servizi soggetti a Iva lo farà, dunque, prima del 2021, dando una scossa alla domanda aggregata.

L’analisi di misure simili dà sostegno alla scommessa di Angela Merkel. Un nostro studio recente mostra che provvedimenti di questo tipo risultano molto più efficaci di altri, come ad esempio la forward guidance (l’impegno della banca centrale a mantenere i tassi di interesse bassi a lungo).

L’effetto sperato di un taglio immediato e temporaneo dell’Iva è chiaro: quando lo si realizza, poco dopo il suo annuncio, i consumatori che dispongono di risparmio privato sono incentivati a spendere subito, sfruttando lo “sconto” anziché attendere: i prezzi saranno infatti più bassi per qualche mese, ma presto torneranno alti.

La figura 1 evidenzia questo effetto usando dati individuali durante una variazione dell’Iva in Germania: nel novembre 2005, il governo tedesco annunciò infatti che l’imposta sarebbe aumentata dal 16 al 19 per cento a partire da gennaio 2007.

Il preannuncio di un futuro aumento dei prezzi è l’aspetto cruciale anche del taglio dell’Iva di cui si discute in questi giorni in Italia. Lo stesso identico effetto si può ottenere infatti o tagliando l’Iva immediatamente e temporaneamente oppure annunciandone l’aumento a una futura data prestabilita. La differenza è che la prima modalità deve essere finanziata dal governo, mentre la seconda non produce deficit.

Nel caso tedesco del 2005, la misura ha centrato il suo obiettivo. La figura 1(a) riporta, per ogni mese, la percentuale di tedeschi che si aspetta un aumento dell’inflazione nei 12 mesi successivi, e la figura 1(b) la propensione media all’acquisto di beni durevoli. Le aspettative di inflazione dei tedeschi sono aumentate parallelamente alla loro propensione a spendere subito dopo l’annuncio e fino all’effettivo aumento.

Per poter concludere che le serie storiche in figura 1 sottendano un effetto causale della variazione dell’Iva su aspettative e propensione al consumo, il nostro studio si focalizza su una strategia empirica di differenze-delle-differenze.

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Tutto dipende dai dettagli

Due dettagli dell’attuazione della misura sono cruciali per ottenere gli effetti desiderati: immediatezza e temporaneità. Il taglio deve essere immediato e non preannunciato. Se il governo annunciasse oggi un taglio Iva a partire da gennaio 2021 (o perdesse settimane a discuterne), incentiverebbe le famiglie ad aspettare i prezzi più bassi, decretando così una ulteriore gelata dei consumi – l’opposto di quanto si vuole ottenere. La misura deve anche essere temporanea, deve durare al massimo sei mesi. È proprio la temporaneità che convince i consumatori con risparmio privato ad anticipare i propri acquisti, anziché aspettare la fine della crisi. Se la misura fosse prolungata nel tempo – per esempio, qualche anno – non funzionerebbe: se si può acquistare a sconto anche tra un anno, perché farlo oggi?

Un fraintendimento comune è che la misura spinga i consumi perché ridurre l’Iva aumenta il potere di acquisto delle famiglie. Tuttavia, in periodi di crisi, dare soldi in più a chi non è a livelli di sussistenza si traduce in maggiore risparmio, non in maggiore spesa. È il motivo per cui spesso le misure che sostengono i redditi da lavoro e i “bonus” non si traducono in un aumento dei consumi, ma del risparmio. Ovviamente, vanno presi provvedimenti per sostenere direttamente i redditi delle famiglie in povertà, ma non vanno estesi a platee più ampie.

Per gli stessi motivi, l’entità del taglio dell’Iva non è poi così importante: la diminuzione dell’aliquota vuole incentivare chi ha già i soldi sul conto corrente a spenderli oggi, anziché tra un anno, e qualsiasi dimensione dello sconto produce l’incentivo.

Efficace anche in Italia?

È una politica che potrebbe funzionare oggi in Italia? Sì, per almeno tre motivi.

Il primo è l’ampio risparmio privato. Nonostante la crisi, l’Italia resta uno dei paesi con il risparmio familiare più alto al mondo. Ma anche chi ha redditi stabili risparmia in periodi di crisi, contribuendo a ridurre gli scambi. Il taglio immediato e temporaneo dell’Iva rende più conveniente comprare oggi e meno conveniente risparmiare per il futuro.

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Anche la comunicazione politica può aiutare. Come un “fantasma che s’aggira per l’Italia”, la paura di (nuove) patrimoniali e prelievi forzosi di amatiana memoria affiora a ogni crisi. Il taglio dell’Iva può essere comunicato come un aut aut: o i risparmiatori spendono, godendo dello “sconto Covid”, o parte delle loro risorse dovrà comunque essere immessa nel sistema economico con imposte future. Anziché essere tassati in futuro, i risparmiatori sosterrebbero l’economia attraverso cene, vacanze, beni durevoli: una prospettiva non proprio fosca.

In secondo luogo, in un paese ad alta evasione Iva la misura favorirebbe i non evasori, visto che aumenterebbe solo le loro vendite.

Un ulteriore vantaggio del taglio dell’Iva è la tempistica dei suoi effetti. Investimenti infrastrutturali o la revisione generale del sistema fiscale – idee eccellenti per il lungo periodo – richiedono tempi lunghi di programmazione e realizzazione e non produrrebbero effetti immediati sui consumi, che invece sono necessari per uscire dalla crisi. Le politiche di lungo periodo dovranno certo essere studiate e presentate come impegni all’Eurogruppo. Ma non aiuteranno in alcun modo a spingere i consumi e l’economia nel 2020.

La Germania ha scelto una diminuzione generalizzata dell’Iva di 3 punti percentuali, ma se la misura fosse concentrata su specifiche categorie merceologiche, come abbigliamento, elettrodomestici, turismo e motoveicoli, il taglio potrebbe essere superiore. I tecnici di Merkel stimano i costi della manovra a 20 miliardi in base alla minore imposizione. Non considerano però l’effetto documentato in figura 1: con l’aumento dei consumi, la base imponibile aumenta. Stime per l’Italia dovrebbero considerare entrambi gli aspetti, e non solamente la riduzione del gettito Iva.

Più che le risorse, il problema per l’Italia sembrerebbero i risvolti tecnici: il governo riuscirebbe a ottenere la “bollinatura” calcolando le coperture necessarie in base alla scienza economica e non alla scienza contabile?

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Il Punto

  1. Pietro Brogi

    Invece della riduzione, si potrebbe allora pensare ad un aumento futuro dell’IVA al consumo, prevedendo la modifica della impostazione dell’Imposta per ottenere, attraverso un credito di imposta, proporzionale al costo di lavoro industriale, specifico per ogni impresa ed immediatamente disponibile alle stesse e quindi addizionali risorse per sviluppo industriale, valorizzando la forza lavoro presente. In pratica si dovrebbe consentire di togliere dalla IVA a debito la percentuale sulla stessa IVA dei costi del lavoro per quella impresa. In questo modo la forza lavoro diventa anche un fattore competitivo utile. Potrebbero essere messi dei paletti sull’uso di queste risorse, per esempio utilizzabili solo per retribuzioni e costi dei contributi per personale aggiuntivo o per coprire costi di personale in cassa integrazione che però a questo punto, a costo molto diminuito può diventare utile utilizzare in Azienda. In questo caso si ridurrebbe di molto il costo di questo progetto, al limite costo zero, invece il massimo costo in caso di uso libero potrebbe a grandi linee essere stimato nel 15% (incidenza costo lavoro) sul volume IVA a debito per le imprese industriali, ma nel caso di paletti alla riscossione si tratta di diminuire costi dello stato in altri settori. Credo che una simile scelta otterrebbe un aumento consumi immediato ma anche sarebbe giustificabile come scelta etica e di sviluppo lavoro.

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