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Troppo pochi lavoratori nel welfare italiano

I numeri sugli occupati in quattro settori chiave come istruzione, sanità, servizi sociali e pubblica amministrazione sono impietosi: l’Italia è al penultimo posto in Europa. Per adeguarsi alla media europea servirebbero 2 milioni di lavoratori in più.

Lavoratori essenziali per la società

Curare e assistere, educare e istruire, amministrare e difendere sono le funzioni essenziali per la riproduzione di una società. Nelle società moderne queste funzioni sono specializzate, cioè non sono più affidare alle famiglie o alle comunità, ma a strutture specifiche: ospedali e case di cura, scuole e università, enti pubblici e caserme. E nei paesi europei queste strutture sono per lo più finanziate dalla spesa pubblica e costituiscono gran parte del welfare state.

Per vedere le variazioni nel corso del tempo e le differenze tra paesi, gli economisti ricorrono alle quote di reddito nazionale o di spesa pubblica destinate a queste funzioni. Nonostante il crescente ricorso a tecnologie sempre più sofisticate e costose, tutte sono a elevata intensità di lavoro umano, per lo più molto qualificato, e alcuni studi ne mettono in luce la diversa consistenza rispetto all’occupazione totale. Ma è anche possibile calcolare quanti lavoratori vi sono occupati rispetto alla popolazione che devono curare, istruire o amministrare. L’esercizio, non usuale, mette in luce un quadro impietoso per l’Italia.

L’Italia al penultimo posto in Europa

Nel 2019, quindi prima della pandemia, per ogni mille abitanti nel nostro paese vi erano 79 lavoratori nei settori dell’istruzione, della sanità, dell’assistenza sociale e nella amministrazione pubblica. Non tutti sono lavoratori pubblici, poiché le Labour force surveys non rilevano la natura giuridica del rapporto e non consentono di distinguere, per esempio, chi lavora nella scuola o nella sanità privata o chi ha un rapporto privato con organizzazioni o enti finanziati da risorse pubbliche. Come mostra la figura 1, la posizione dell’Italia era la penultima tra i 28 paesi dell’Unione europea, superiore soltanto alla Romania. All’estremo opposto, nei paesi scandinavi, in Germania, nel Regno Unito e in Olanda i lavoratori occupati in questi settori erano più di 130, cioè quasi il doppio, e la media dell’Unione europea (116 lavoratori) era superiore di quasi il 50 per cento.

Anche se in modo più tradizionale si considerasse la percentuale di lavoratori nei quattro settori sul totale dell’occupazione, la graduatoria non cambierebbe granché. Con il 20,4 per cento l’Italia si piazzerebbe al terzultimo posto, prima solo di Romania e Bulgaria e a pari (de)merito con Cipro, Repubblica Ceca e Polonia. Ma qui l’attenzione è sulle (più scarse) prestazioni che la popolazione italiana può ricevere da un molto minore numero di addetti.

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Dal 2009 al 2019 in quasi tutti i paesi europei i lavoratori occupati nei settori del welfare sono aumentati rispetto alla popolazione da curare, assistere, istruire e amministrare. Come mostra la figura 2, la media dell’Unione europea a 28 paesi è crescita di 10 lavoratori ogni mille abitanti e in alcuni la crescita è stata anche superiore a 15 lavoratori. Soltanto in Olanda e Danimarca vi è stata una riduzione, ma si tratta di due paesi ove l’occupazione in questi settori era da sempre molto alta. Invece, in Italia (come solo in Grecia) non vi è stato alcun aumento nel decennio e quindi il divario è cresciuto, delineando una tendenza che, prima dell’imprevedibile impatto della pandemia, stava già rischiando di mettere in pericolo la riproduzione della salute, delle competenze e della sicurezza degli italiani.

Le differenze tra i quattro settori

Tra i quattro settori (l’istruzione, la sanità, i servizi sociali e la pubblica amministrazione) vi sono ovviamente delle rilevanti differenze, sia per i livelli di occupazione sia per le tendenze nel corso dell’ultimo decennio. Come si può vedere dalla tabella 1, che li riassume per quasi tutti i paesi europei, è possibile cogliere alcuni tratti prevalenti, che consentono anche di confermare diversi modelli di welfare.

  1. In quasi tutti i paesi, il settore dove gli occupati ogni mille abitanti sono più numerosi è l’istruzione. Fanno eccezione alcuni stati dell’Europa orientale, la Francia (vi prevale la pubblica amministrazione), Germania e Olanda, ove invece maggiore è la presenza di occupati nella sanità. Anche in Italia gli occupati nella scuola e nell’università sono i più numerosi, ma il livello è nettamente il più basso di tutti i paesi europei, tranne Bulgaria e Romania, e per di più nel decennio 2009-2019 il loro numero non cresce, contrariamente a quanto accade in quasi tutti gli altri paesi.
  2. In quasi tutti i sette paesi in cui è quello con più occupati, il settore della pubblica amministrazione e della difesa tende a ridursi. Fa eccezione l’Ungheria ove la “democratura” di Viktor Orban probabilmente si è consolidata grazie a un forte aumento proprio dei dipendenti pubblici e dei militari.
  3. Quanto agli occupati nella sanità, il divario dell’Italia è relativamente contenuto rispetto alla maggior parte dei paesi europei, ma è fortissimo rispetto a quelli che dedicano più risorse al settore: paesi scandinavi, Olanda e Regno Unito. La tendenza generale dal 2009 al 2019 è a un deciso aumento, simile a quello dell’istruzione, eccettuati alcuni paesi ove il livello era già elevato. In Italia la crescita è minima.
  4. La diffusione degli addetti ai servizi sociali segna nettamente la divisione tra quattro gruppi di paesi: quelli dell’Europa settentrionale, ove è molto alta, quelli dell’Europa centrale, ove è più che discreta, quelli dell’Europa orientale, ove è parecchio bassa, e quelli dell’Europa meridionale ove è altrettanto bassa, ma è elevato il ricorso a personale assunto dalle famiglie, che in buona parte è destinato all’assistenza delle persone fragili (in Italia nel 2019 sono ben 12 lavoratrici per mille abitanti). La tendenza è ovunque all’aumento, anche in Italia, tranne che in tre paesi, ove il livello era già elevato.
  5. L’Italia è all’ultimo posto per pubblica amministrazione e difesa (contrariamente al comune sentire dell’eccesso di dipendenti pubblici) e al penultimo per l’istruzione, mentre per sanità e servizi sociali è comunque nel gruppo di coda, insieme ai paesi dell’Europa meridionale e orientale.
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Quanti nuovi occupati sarebbero necessari per raggiungere la media europea?

Ora che la pandemia costringe a ripensare l’organizzazione della società e può costituire un’occasione per decidere di destinare nuove risorse alle politiche di welfare, può essere utile calcolare quanti lavoratori sarebbe necessario occupare perché l’Italia raggiunga la media dell’Unione europea a 28 paesi in tutti i quattro settori. La tabella presenta i risultati di questo esercizio.

Come si vede, il volume dell’incremento sarebbe imponente: più di due milioni di lavoratori, pari a oltre il 45 per cento degli occupati nei quattro settori nel 2019, sia pure con notevoli differenze tra settori. Rispetto all’occupazione totale sarebbe un aumento di quasi il 10 per cento, che porterebbe il tasso di occupazione nella fascia 15-64 anni dal 59 per cento (nel 2019 prima della crisi pandemica) al 64,7 per cento, prossimo alla media europea. E poiché in questi settori la presenza femminile supera il 60 per cento, l’occupazione delle donne finalmente raggiungerebbe un livello decente anche in Italia. Certamente si può obiettare che le compatibilità di bilancio non lo consentirebbero. Ma ci si può chiedere se la bassa produttività dell’economia italiana non dipenda anche dal basso livello di istruzione e da una sanità carente.

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10 commenti

  1. Lupe

    “Ma ci si può chiedere se la bassa produttività dell’economia italiana non dipenda anche dal basso livello di istruzione e da una sanità carente”.

    Finalmente. Finalmente. Evviva. È il primo articolo che leggo qui in cui si paventa il dubbio. Siamo sempre tutti pronti a lapidare gli “improduttivi e parassiti” del settore pubblico dimenticandoci che subisce da ormai decenni sistematici tagli di spesa e personale che hanno portato gli investimenti quasi sotto zero e a una situazione di gravissima e strutturale carenza di personale. Finalmente qualcuno che quanto meno sposta l’attenzione sulle conseguenze di queste politiche (controproducenti). Così come le aziende private non aumentano la propria produttività riducendo i salari, neache il settore pubblico può diventare più efficiente (cosa indispensabile) tagliando i fondi. Meno personale, più anziano e con dotazioni obsolete non può lavorare meglio. Speriamo che cominci un dibattito sul tema che non si basi su posizioni partigiane (“è colpa degli italiani parassiti!” Vs “è colpa dell’UE!”).

  2. Rainbow

    Concordo completamente perche’conoscevo questi dati mentre il grande pubblico li ignora e continua a pensare che i dipendenti pubblici siano troppi. Un’altro dato che non viene mai citato ma e’importante evidenziare perche’comprova che il blocco del turn-over e’stato un grande errore e’quello dell’eta’media:la P.A italiana e’tra le piu’vecchie del mondo,53 anni e’l’eta’media dei dipendenti pubblici. Occorre investire nella P.A facendo massicce assunzioni di personale giovane e qualificato,in questo modo migliorerebbero i servizi e aumenterebbero il tasso di attivita’e di occupazione.

  3. Cheman

    Le comparazioni hanno sempre grande utilità, ma non condivido affatto le conclusioni, quanto alla stima dell’incremento occupazionale. Infatti visto che in moltissimi settori la produttività margine e’scarsa o nulla, si tradurrebbe solo in aumento del deficit. Il problema. della produttività del nostro settore pubblico e’infatti tanto grande quanto poco affrontato.

  4. pb

    Finalmente la sociologia economica si fa sentire. Abbiamo bisogno di welfare (pubblico) anche per sostenere la Domanda di occupazione. E abbiamo anche bisogno di cestinare gli N saggi che raccontano che il welfare si fa con i volontari del terzo settore, eticamente disposti a lavorare sottopagati.

  5. davide445

    Nulla da dire su sanità istruzione e servizi sociali, ma fare massiccie assunzioni nella PA per gestire una burocrazia abnorme é semplicemente arrendersi al fatto che ci sta bene avere una burocrazia inutile, costosa e inefficiente in modo strutturale. Prima delle assunzioni valuterei in fretta come automatizzare e snellire questo incubo per imprese e cittadini.

  6. CONTANDO ANCHE LE AZIENDE PARASTATALI (POSTE, FERROVIE) E LE PARTECIPATE (1.000.000 di dipendenti) NON SIAMO DISTANTI DAI PAESI DEL NORD EUROPA.

  7. Sergio Ascari

    Molto interessante!

  8. Norbert

    Concordo perfettamente con quanto scritto sopra. Però chiamare in causa in modo generico l’istruzione come chiave di tutto è fin troppo facile. Ci sono pure persone istruite che trovano lavoro all’estero mentre in Italia troviamo troppe persone inadeguate sul loro posto. Come mai?

  9. Enrico D'Elia

    Il re è nudo: anni di retorica sui fannulloni della PA hanno prodotto un paese con un welfare modesto e di scarsa qualità, che si affida più a sussidi e pensioni che alla fornitura di servizi. È ora di convincere gli elettori che i servizi pubblici costano molto meno di quelli privati (se non altro perché non devono garantire profitti) e generalmente sono anche più efficienti, come ha dimostrato questa pandemia. Quindi ogni euro di tasse in più per finanziare i servizi pubblici è ben speso. Se ci sono da tagliare teste, sprechi, burocrazia ed evasione lo si faccia. Se poi vogliamo davvero un paese con poche tasse e poco welfare basta dirlo chiaramente prima delle elezioni.

  10. Mauro Cappuzzo

    Posto che le risorse non sono infinite, in quali settori tagliamo per aumentare il welfare?

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