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Un vincolo giuridico ostacola le mosse della Bce

Sul piano economico, un’eventuale svolta espansiva della Bce, sulla scia delle decisioni della Fed, appare inevitabile. Sul piano giuridico, invece, ci sono forti dubbi sulla fattibilità dell’inversione di rotta. È necessaria una revisione dei Trattati.

Due ragioni per la svolta espansiva

Le parole di Jerome Powell sul cambiamento di politica monetaria della Federal Reserve hanno ingenerato un’immediata e sensibile variazione nel tasso di cambio euro/dollaro. Ma hanno anche rafforzato l’intenzione del comitato esecutivo della Banca centrale europea di assumere una posizione d’apertura verso un’eventuale revisione degli obiettivi d’inflazione, un mutamento nell’operato dell’istituto di Francoforte che fino a pochi anni addietro pareva inimmaginabile. La presidentessa Christine Lagarde è infatti giunta a prefigurare la revisione della soglia del 2 per cento, che sin dalla costituzione dell’Eurozona era stata la regola aurea. Quel valore si poneva in linea con il modello Bundesbank ma, a partire dalla fase conclusiva del mandato di Mario Draghi, era divenuto oggetto di discussione all’interno del Consiglio direttivo. Ora la decisione, annunciata nel corso della conferenza “The ECB and its watchers”, a uno sguardo economico risulta probabilmente ineludibile, per due ragioni di fondo.

La prima è riconducibile alla necessità di non “perdere contatto” con la valuta statunitense, dato che un euro eccessivamente forte rispetto al dollaro potrebbe arrecare non pochi danni all’economia europea post- pandemia.

La seconda è invece collegata a una considerazione oramai ampiamente diffusa nel mondo finanziario: l’ancora monetaria teorizzata da Milton Friedman ha dimostrato, a partire dal 2008, di non detenere alcuna virtù taumaturgica e un tasso d’inflazione superiore al 2 per cento non rappresenterebbe certo una catastrofe. Potrebbe anzi ingenerare un effetto benefico sul livello di disoccupazione, permettendo al contempo di non frenare la futura ripresa con un innalzamento dei tassi.

Pertanto, a livello economico, non si ravvisano criticità specifiche afferenti a un’eventuale svolta espansiva della Bce. Sul piano giuridico, invece, i dubbi sulla fattibilità dell’inversione di rotta emergono in modo evidente.

I Trattati e la Bce: un compito molto chiaro

Stando a quanto previsto dai Trattati in merito all’operato della Banca centrale europea sussistono pochi dubbi su quale sia la finalità da perseguire da parte dell’istituto di emissione: la stabilità dei prezzi.

L’articolo 127 del Trattato sul funzionamento dell’Unione risulta in tal senso piuttosto immediato e il sostegno alle politiche economiche generali dell’Unione può essere attuato solo “fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi”. Certo, l’articolo non parla di un tasso d’inflazione specifico e proprio qui si inseriscono le parole di Lagarde: il famigerato 2 per cento è un valore concordato nel corso del 2003 e nulla vieta di considerare un aumento di questa soglia. L’approccio “elastico” a quanto previsto dai Trattati ha però un carattere evidentemente elusivo ed è ragionevole pensare che la svolta non passerà inosservata presso la Bundesbank e presso il Tribunale costituzionale tedesco. Per quanto infatti possa risultare formalmente accettabile l’ipotesi di ampliare la fascia entro cui far oscillare il tasso d’inflazione dell’area euro, a livello sostanziale emerge in modo netto il fatto che la Bce sta provando a svincolarsi dal rigido statuto di una banca centrale affine al modello dell’ordoliberalismo e come tenti di ampliare i propri margini di manovra seguendo un istituto, come la Fed, che abbina al perseguimento della stabilità dei prezzi il sostegno dell’occupazione. D’altronde, Jens Weidmann, il presidente della Bundesbank, nel corso della stessa conferenza ha già lasciato intendere le sue riserve a proposito di ulteriori provvedimenti espansivi presi dall’ex-Eurotower: “Più interpretiamo in senso ampio il nostro mandato, maggiore è il rischio di rimanere invischiati nella politica e sovraccaricarci di troppi compiti” (The more widely we interpret our mandate, the greater the risk that we will become entangled with politics and overburden ourselves with too many tasks). E sempre nella stessa circostanza, non ha perso occasione per sollevare alcune velate critiche all’acquisto massiccio di titoli di stato avviato con il Pandemic Emergency Purchase Programme (Pepp). Il Bundesverfassungsgericht, dal canto suo, ha già reso chiaro con la sentenza del 5 maggio 2020 sul programma Pspp (Public sector purchase programme) come non intenda più tollerare comportamenti che vadano al di là di quanto concordato al momento della stipula del Trattato di Maastricht e che qualsiasi ulteriore tentativo di allontanare le Bce dalla stabilità dei prezzi sarebbe identificato come atto ultra-vires. Pertanto, stando a quanto rilevato dalla Corte tedesca, la correttezza formale non è più sufficiente.

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La necessità di una riforma

Tuttavia, si potrebbe affermare che la Corte di giustizia dell’Unione europea ha la parola ultima sulla legittimità dell’operato della Bce e che di fronte a un assenso dei giudici del Lussemburgo non dovrebbero esservi ostacoli a quanto deliberato da Francoforte. Anche se diamo per assodata questa posizione (che non tiene però conto dell’ampio dibattito fra visione monista e dualista), permane una considerazione tanto politica quanto giuridica: risulta infatti difficile immaginare un’Eurozona coinvolta in un continuo conflitto con la Germania e altrettanto difficile risulta immaginare una CgUe che continua a sbattere la porta in faccia ai rinvii in via pregiudiziale effettuati dal BVerfG.

Emerge dunque la necessità di addivenire a una riforma dei Trattati che formalizzi per la Bce la volontà di uscire dall’ortodossia monetaria adottata nel 1992. Oggi si presenta dunque un’occasione probabilmente irripetibile per rivedere le priorità della Banca centrale europea e attribuirle la legittimazione politica che non può più esserle negata. Per quanto Bundesbank e Bundesverfassungsgericht si dimostrino ostili a una revisione dei compiti affidati alla Bce, lo stesso non si può affermare per buona parte della maggioranza politica presente oggi nel Bundestag. In quest’ottica, stando a quanto sostenuto fra gli altri da Wolfgang Streeck (si veda il suo articolo Staatsbildung durch die Hintertür?), il parlamento tedesco potrebbe riconoscere l’anacronismo della politica monetaria delineata ai tempi di Maastricht e cogliere l’occasione per rimodulare i pervasivi poteri in capo ai giudici di Karlsruhe. L’urgenza della riforma è data anche dall’imminente uscita di scena della cancelliera Angela Merkel la quale, per la sua convinta svolta europeista e la sua autorevolezza all’interno del paese, potrebbe avallare il progetto di modifica e farlo accettare all’assemblea legislativa tedesca. Un suo successore più conservatore (Markus Söder?) potrebbe attestarsi su posizioni decisamente differenti.

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  1. Henri Schmit

    Interessante, ma non sarei troppo pessimista. Già nel 1999/2000 gli esperti discutevano se il compito della BCE se limitasse alla stabilità dei prezzi o se dovesse tener conto anche dell’occupazione. La questione va risolta dalla BCE che per forza interpreta il proprio ruolo (anche a testo invariato) e/o dal legislatore europeo, il Consiglio (unanimità) e i Parlamenti nazionali (ratifica). Il BVerfG non c’entra, mi sembra. Difficile immaginare che possa censurare una politica monetaria più flessbile come violazione delle competenze (europee! non semplicemente della BCE), perché contrariamente al caso PSPP deciso il 5 maggio qua non si tratta per la BCE di supplire a mancanze di politica economica e finanziaria di ALCUNI stati attraverso misure monetarie che aumentano – senza intervento del legislatore UE, quindi del Parlamento tedesco – il rischio dei cittadini-contribuenti degli ALTRI stati. Un obiettivo di inflazione più alto, per favorire crescita ed occupazione attraverso la politica monetaria, interessa tutti nello stesso modo, beneficia a tutti e pesa su tutti. O sbaglio?

    • Non va risolta dalla BCE. Quando glielo si è fatto fare, essa ha violato il proprio statuto: art. 2-Obiettivi; di fatto, fino al varo del QE, deciso nel gennaio 2015 e avviato nel marzo successivo, esattamente con un ritardo di 6 anni rispetto alla FED e alla BoE, ancor più alla BoJ. Nascondendo la violazione con una assidua campagna disinformativa sul proprio mandato, in primis di Draghi e Weidmann. Che ha ingannato quasi tutti gli economisti, poiché quasi nessuno conosceva lo snello statuto BCE, che era difficoltoso reperire perfino nel sito della BCE (infatti anche l’articolo cita soltanto i complicati e ponderosi Trattati). Anche la BCE è sottoposta ai Trattati e al proprio statuto, che deriva dai Trattati, inclusa perciò la COGENZA dell’obiettivo secondario in deflazione o con tasso d’inflazione sensibilmente inferiore al target del poco sotto il 2%. L’unico organo deputato a interpretare i Trattati, come riconosce perfino l’articolo che s’inventa un vincolo giuridico inesistente, è la CGUE, non certamente la Corte Cost. federale tedesca. Ma anche su questo fino al 2015 e forse oltre si faceva confusione (v. il suo ricorso del 2014 contro le OMT, decise nel 2012; molto meno in occasione del ricorso tedesco del 2017 contro il QE del 2015). Nell’ambito del Consiglio Direttivo della BCE la Germania vale 1/25. Può solo chiamarsi fuori, se la sua Corte Cost. glielo vieta. Ma così facendo provocherà il fallimento dell’Euro, dal quale essa trae i maggiori vantaggi.

  2. Emilio

    In questo articolo risalta ovviamente all’occhio come ci sia una predominanza tedesca in Europa, sia per paventata “giustizia” delle corti tedesche (nessun altro stato europeo ha questo “atteggiamento”) sia per le decisioni e il peso economico all’interno dell’EU superiore al valore della Germania su tutta l’Europa su cui necessariamente si deve rapportare come una parte e non il tutto, che a mio avviso va al di la dei trattati.
    Quindi più che una “Riforma dei Trattati” sarebbe necessaria una “riforma del potere decisionale e giuridico in Europa e sulla BCE come sua parte” !!!

  3. Per uno come me che segue la vicenda dal 2012, presentò nel novembre 2014 una petizione al Parlamento Europeo contro la BCE per le violazioni statutarie del proprio statuto (art. 2), e vi ha scritto su un saggio, c’è veramente da chiedersi in quale pianeta l’Autore dell’articolo abbia visto “l’ampio dibattito” sul mandato unico o duale della BCE, se (i) l’ex presidente della BCE Mario Draghi non ha (quasi, solo perché costrettovi dal parlamentare europeo interrogante) mai menzionato il secondo obiettivo statutario e arrivò a dichiarare nella sua audizione del 26.3.2015 al Parlamento italiano che, a differenza della FED, la BCE ha un unico obiettivo; (ii) il presidente della Bundesbank ha sempre dichiarato che la BCE ha un unico mandato: la stabilità dei prezzi (v., ad es., l’intervista a “Repubblica” del 13.12.2014); (iii) il governatore Visco (al quale ho scritto), il 28.9.2020, ha sentito finalmente la necessità di dichiarare, in un colloquio con “Repubblica”, che “La Bce? In questa fase “e’ esattamente come la Fed.”, “si dice sempre che gli Stati Uniti “hanno un obiettivo duale; noi singolo. Ma non e’ cosi’.”. Omettendo, però, di precisare che tale fase (di deflazione o troppo bassa inflazione) dura dal lontano 2013; (iv) quasi nessuno conosce lo statuto della BCE e quasi tutti (inclusi economisti famosi, tra cui un premio Nobel, nel mio saggio ci sono i nomi e le prove documentali) pensa(va)no che la BCE abbia un unico mandato: il controllo dei prezzi; (v) ecc. ecc.

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