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Settore pubblico centrale con la pandemia

Dopo decenni di tagli di bilancio e di riduzione dell’occupazione nella pubblica amministrazione, la pandemia ha ridato un ruolo centrale allo stato. Per migliorare la qualità dei servizi pubblici è però cruciale la fase di reclutamento del personale.

Il ruolo dello stato dopo la pandemia

La crisi del Covid-19 ha riportato lo stato – e le sue funzioni – al centro della discussione politica. La pandemia ha messo sotto i riflettori il suo ruolo nel coordinare le attività di pubblica utilità, nel regolamentare il comportamento dei mercati, nel mobilitare le risorse per proteggere i più deboli, tutte attività di cui il settore privato non può o non vuole occuparsi. Dopo decenni di tagli al bilancio pubblico e di riduzione dell’occupazione nella pubblica amministrazione, in seguito alla emergenza sanitaria, la gran parte dei paesi maggiormente sviluppati è tornata a investire risorse nel pubblico, anche se più per necessità che per scelta. Molti degli investimenti si sono concentrati nella sanità nel tentativo di far fronte alla pandemia. In Italia, nonostante la riduzione dei posti letto negli ospedali e la carenza di organici, esito delle politiche di bilancio attuate negli ultimi decenni, il settore ospedaliero si è trovato a dover contrastare l’ondata dei contagi chiudendo reparti e convogliando tutte le risorse disponibili in quelli Covid-19 di emergenza. Resta sullo sfondo l’arretratezza nella digitalizzazione della pubblica amministrazione, che durante il lockdown ha dovuto sospendere molti dei servizi pubblici offerti ai cittadini o, nel migliore dei casi, erogarli con forti ritardi.

Come migliorare l’efficienza della pubblica amministrazione

Con un aumento del bilancio pubblico senza precedenti in periodo di pace, la questione dell’efficienza della pubblica amministrazione si ripresenta con estrema urgenza, insieme a un profondo ripensamento dell’organizzazione del pubblico impiego.

In un recente Rapporto per la Fondazione Rodolfo Debenedetti (qui) abbiamo utilizzato i microdati tratti dalle Indagini europea e americana sulle condizioni di lavoro (qui e qui) per analizzare il funzionamento dei mercati interni del lavoro nel pubblico impiego e la distribuzione degli incentivi monetari confrontandoli con quelli del settore privato, sia per i paesi dell’Unione europea, sia per gli Stati Uniti.

Quello che emerge è un quadro complesso ed eterogeneo, in cui alcuni dipendenti pubblici (i cosiddetti “civil servants”) godono di indubbi privilegi, in termini di protezione del posto e avanzamenti di carriera; mentre altri hanno impieghi a termine, precari e spesso poco pagati rispetto al privato (i cosiddetti “frontline providers”). La segmentazione “duale” del mercato del lavoro, soprattutto nel nostro paese, è assai diffusa in molti settori (del pubblico o para-pubblico) come la scuola, gli ospedali, le poste, il trasporto pubblico locale. Inoltre, una caratteristica che accomuna molti lavoratori che scelgono di lavorare nel pubblico è la motivazione (intrinseca) a svolgere un lavoro “utile” e un’attitudine pro-sociale a servire la società e la cosa pubblica. Pur con la cautela necessaria nell’interpretare delle semplici correlazioni, la figura 1 mostra come nei paesi in cui la motivazione (intrinseca) e la vocazione per la società sono più sentiti è anche maggiore la propensione a scegliere di lavorare nel pubblico impiego. L’Italia, nell’ordinamento dei paesi, occupa una posizione medio-bassa, evidenziando come ci siano margini per migliorare la percezione dell’utilità del settore pubblico e la sua attrattività.

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Figura 1 – Motivazione intrinseca, vocazione sociale e propensione per il pubblico impiego (indici) (Europa e Stati Uniti).

Nota: il grafico riporta sull’asse orizzontale la prima componente fattoriale estratta dalle risposte a domande sulla motivazione al lavoro e sulla partecipazione sociale, mentre sull’asse verticale riporta la propensione all’occupazione nel settore pubblico, al netto delle differenze di composizione della forza lavoro nei diversi paesi, in termini di genere, età, cittadinanza e titolo di studio.

Incentivi e valutazione

I dipendenti del settore pubblico hanno spesso una notevole discrezionalità nello svolgimento dei loro compiti e possiedono informazioni specifiche sul servizio che forniscono. In tale contesto, le prestazioni sono difficilmente verificabili o molto costose da misurare (come nel settore dell’istruzione e della salute), limitando così la portata degli incentivi legati alla performance o, in alcuni casi, rendendoli controproducenti. Uno studio (qui) relativo agli effetti degli incentivi legati alla produttività nella ricerca accademica (i cosiddetti Pbfs – performance based funding systems) introdotti in Italia con i provvedimenti di “Valutazione della qualità della ricerca” (Vqr 2004–2010 e Vqr 2004–2010) mostra come tali meccanismi rischiano di generare incentivi perversi, in cui i ricercatori possono manipolare strategicamente gli indicatori che vengono utilizzati nella valutazione senza modificare la qualità delle prestazioni. Di fatto, si tratta di una conferma della legge di Goodhart, secondo cui ogni indicatore quando diventa obiettivo di misurazione, cessa di essere un buon indicatore.

Per quanto imperfetto, il livello delle remunerazioni rimane il principale meccanismo di selezione e incentivazione dei dipendenti della pubblica amministrazione. Da questo punto di vista, l’analisi dei livelli retributivi mostra come in Europa (e in Italia) i salari siano più alti nel settore pubblico (dell’11 per cento nella sanità, del 15 per cento nei servizi educativi), mentre negli Stati Uniti si riscontra una situazione opposta. Questo ha evidenti implicazioni per l’attrattività e la composizione della forza lavoro del settore pubblico: in Europa, i dipendenti pubblici tendono a essere più istruiti e i nativi vi occupano una quota maggiore. Non è così negli Stati Uniti, dove sono le minoranze non bianche a occupare una quota maggiore del settore pubblico.

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Dal momento che i sistemi di incentivazione si rivelano di difficile applicazione in questo contesto, il reclutamento ricopre un ruolo centrale nel cercare di migliorare la qualità dei servizi pubblici. Le amministrazioni pubbliche dovrebbero prestare estrema attenzione nell’assumere una forza lavoro non solo qualificata, ma anche intrinsecamente motivata. Mentre salari più alti tendono ad attrarre individui maggiormente qualificati, non è facile identificare attraverso i concorsi pubblici i candidati con una forte attitudine al servizio pubblico. I concorsi pubblici dovrebbero incorporare un elemento di valutazione volto a esaminare la motivazione personale dei candidati nello scegliere un determinato tipo di impiego pubblico. Un esempio in tal senso è rappresentato dalle procedure di reclutamento degli insegnanti, adottate in molti paesi, in cui i periodi di apprendistato (retribuito) si rivelano efficaci nell’individuare la motivazione degli aspiranti docenti e selezionare i migliori candidati.

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  1. Savino

    Selezionare i migliori (tutti quelli che stanno cercando altrove, fuori dai confini nazionali), selezionare in modo trasparente, tenere lontana la P.A. dalla convenienza e dalla connivenza politica, selezionare, come si diceva, chi ha la vocazione pubblicistica, selezionare persone oneste e non disponibili a fare la cresta con risorse pubbliche o a prendere mazzette. La Ministra Dadone, come suggerisce Cassese, non può pensare solo ai dipendenti pubblici attuali, imboscati a casa con l’alibi dello smart working, deve PENSARE SOPPRATTUTTO ALL’UTENZA.

  2. Firmin

    Credo che chiunque abbia avuto a che fare con un concorso pubblico (da candidato o da selezionatore) sappia quanto casuale (se non controproducente) sia il risultato finale. L’uso massiccio di test a risposta multipla (perfino per i dirigenti), lungi dal rendere più trasparenti le procedure, contribuisce solo a selezionare individui dotati di buona memoria (compresi soggetti si limiti dell’autismo). Le prove scritte privilegiano l’adesione incondizionata alle tesi mainstream e quindi escludono creativi e persone con un forte senso critico. Quelle orali, oltre ad essere più manipolabili, servono solo a selezionare chi ha buone doti di comunicazione. Nelle commissioni manca uno psicologo in grado di tracciare un profilo attitudinale del candidato. I commissari sono scelti quasi sempre tra coloro che non avranno mai alle proprie dipendenze i vincitori, quindi sono deresponsabilizzati rispetto ai risultati. Tutto questo li rende più sensibili a pressioni politiche, di lobby e sindacati (che spesso organizzano anche i corsi preparatori ai concorsi). Molto meglio il modello anglosassone con assunzione tramite cv e colloquio col responsabile diretto e concreta possibilità di licenziamento dopo un periodo di prova.

  3. Federico

    Privatizzazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego; non ne parla più nessuno. Qualcuno ci ha rimesso anche la vita! E’ questa la chiave per una maggiore efficienza PA…. a costo 0!

  4. Max

    La qualità della forza lavoro è sicuramente importante per garantire l’efficienza di qualsiasi settore,
    quindi anche del settore pubblico.
    Riferendosi al caso italiano, tuttavia, e riguardo all’efficienza non credo ci sia tanto un problema di qualità nella PA in media, anche perché i salari nel privato non è che siano stellari, ma di norme che regolano il funzionamento del settore pubblico, e semmai di incentivi dei lavoratori una volta entrati.
    Ho visto casi di lavoratori capaci e super-motivati quando entrano, ma che perdono rapidamente la propria motivazione e si adeguano a norme che sembrano fatte apposta per non far funzionare la PA (ad ogni livello). Bisognerebbe semplificare. La legittima battaglia contro la corruzione è diventata un’ossessione. Per acquistare un tablet per fare didattica online bisogna passare per lunghe e complesse procedure, che faranno si che lo stesso
    arrivi a didattica finita. Le misure per il controllo di qualità e la valutazione sono così complesse che drenano tempo e risorse di docenti ed amministrazione e sono spesso utili solo a rispettare requisiti formali e non sostanziali. Nel settore della sanità, aste per i vaccini fatte per risparmiare che vanno deserte per cui si dove procedere all’acquisto in emergenza, spendendo molto di pù. Potrei continuare, ma il problema della scarsa efficienza nella PA italiana mi sembrano le sue regole di funzionamento prima ancora della qualità dei suoi lavoratori.

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