La pandemia ha colpito di più le donne. È più alta per loro la probabilità di perdere il lavoro ed è aumentata la richiesta di cure all’interno della famiglia. La risposta dovrebbe essere in politiche e pratiche che disegnino un nuovo sistema di welfare.
Le donne nella pandemia
La natura di una crisi può determinare un diverso impatto di tipo sociale ed economico su diversi gruppi della popolazione. La crisi finanziaria del 2008 ha causato perdite di posti di lavoro nei settori a prevalenza maschile – come quello delle costruzioni. Al contrario, le recenti crisi pandemiche, quali l’epidemia da Ebola in Africa Occidentale, hanno colpito di più il lavoro delle donne. Allo stesso tempo, le crisi di natura sanitaria possono influire sulle necessità di cura che spesso sono fornite dalle donne.
La pandemia da coronavirus ha rappresentato un cambiamento repentino e rilevante per la vita degli europei, spesso paragonato alle esperienze vissute in tempi di guerra, ma le differenze tra i vari paesi in termini di diffusione della malattia, di risposta di contenimento (lockdown) e di aiuti economici, ha reso difficile comprendere le cause di alcuni cambiamenti.
L’impatto sul lavoro e sul tempo impegnato, anche in ambito domestico, è stato lo stesso per tutti? Le donne hanno sofferto maggiormente gli effetti della crisi?
L’indagine Share (Survey on Health Ageing and Retirement in Europe) permette di fare alcune riflessioni. Si tratta di un’indagine longitudinale e multidisciplinare, sulla vita degli ultracinquantenni in Europa, su un campione è di circa 143 mila individui. In occasione della prima ondata della pandemia (giugno-settembre 2020) Share ha raccolto informazioni dettagliate sull’impatto del Covid-19 attraverso un’indagine dedicata, legando poi i risultati alla situazione individuale già osservata prima del diffondersi dell’epidemia.
Perdita del lavoro e interruzioni lavorative
L’indagine Share-Covid-19 ha rilevato le interruzioni sul lavoro e la loro durata per chi era occupato prima della crisi. La disponibilità di informazioni dettagliate sulla tipologia di lavoro ha reso possibile associare a ciascun individuo un livello di rischio (rischio di contagio sul luogo di lavoro) e il grado di rilevanza del lavoro (natura essenziale del tipo di lavoro svolto e dei beni prodotti).
Una prima osservazione è che le lavoratrici ultracinquantenni sono maggiormente coinvolte in lavori “rischiosi”, siano essi “essenziali” o “non essenziali” (figure 1a e 1b). Per alcune occupazioni rischiose le donne rappresentano più del 90 per cento della forza lavoro.
Figura 1 – Percentuale di donne di età 50 e oltre in occupazioni non sicure e essenziali (pannello a) e non sicure e non essenziali (pannello b)
Dalle nostre analisi emerge che le lavoratrici impiegate in occupazioni ad alto rischio di contagio, ma non essenziali in termini di beni e servizi prodotti, hanno una probabilità di interrompere l’attività lavorativa del 9,2 per cento più alta rispetto agli uomini. Si discute spesso se non esista un meccanismo automatico di bilanciamento: da un lato, le donne sono più esposte a esperienze negative sul mercato del lavoro, dall’altro sono caratterizzate da una maggiore presenza nel pubblico impiego, tipicamente una occupazione “sicura”. Ma pur tenendo conto della forte presenza di donne nel settore pubblico, la nostra analisi mostra che le lavoratrici ultracinquantenni subiscono interruzioni nell’attività lavorativa con una probabilità del 3,7 per cento più elevata rispetto agli uomini. Differenze significative emergono anche per quanto riguarda la lunghezza delle interruzioni: per le donne è più alta la probabilità di sperimentare interruzioni di 8 settimane e oltre.
In conclusione, qualunque sia il tipo di lavoro, le lavoratrici sono più soggette al rischio di interruzioni.
Il bisogno e le attività di cura
La dimensione del lavoro non è però l’unica. La combinazione delle misure di lockdown e la riduzione dei fondi normalmente destinati alle politiche di welfare hanno generato in molti paesi una riduzione dell’accesso alle cure sanitarie, quando non legate alla pandemia, e la difficoltà di ricevere cure assistenziali. Questi effetti “indiretti” si sommano a quelli diretti in termini di malattia, isolamento e perdita di vite umane.
Share-Covid-19 permette di valutare l’effetto delle politiche di contenimento sull’erogazione di aiuti alla persona e assistenza agli anziani. Per le persone anziane, che hanno avuto difficoltà nel ricevere aiuto o assistenza durante l’emergenza, sono di solito intervenuti figlie e figli. In alcuni casi, i figli adulti si sono trovati in una situazione “sandwich”: fronteggiare l’incertezza dal punto di vista lavorativo e coprire la necessità di cura delle altre generazioni (i genitori anziani e i nipotini).
Nel campione Share-Covid-19 possiamo individuare sia coloro che hanno avuto difficoltà nel ricevere assistenza a causa della pandemia (generalmente nel gruppo di età 70-100), sia l’attività di “cure fornite” (generalmente nel gruppo 50-69 anni). La figura 2 e la figura 3 mostrano un chiaro divario di genere in entrambi i casi. Per il primo risultato si potrebbe argomentare che le donne anziane hanno maggiore probabilità di avere difficoltà nel ricevere aiuto e cura rispetto agli uomini, perché è più probabile che sopravvivano agli uomini e abbiano più anni di vita in cattiva salute. Tuttavia, il nostro studio indica che la differenza permane anche a parità di età e di altre caratteristiche socio-demografiche.
Il nostro studio isola poi l’effetto specifico dello shock dovuto alla pandemia. Per tenere conto correttamente delle politiche di lockdown, abbiamo costruito un indice che misura la severità delle regole a cui ciascun individuo è stato esposto, sincronizzando il giorno dell’intervista con le misure di lockdown decise periodicamente da ciascun paese.
I risultati delle nostre analisi mostrano che la pandemia ha colpito gli individui in modo diverso in base alla rigidità delle politiche di chiusura e in base al genere: le donne fanno più fatica a ottenere assistenza e ne danno di più, anche quando si tiene conto esplicitamente del rigore delle politiche di lockdown.
Figura 2 – Frazione di individui di età 50 e oltre che hanno avuto difficoltà nel ricevere assistenza a causa della pandemia, per genere e area geografica in Europa.
Figura 3 – Frazione di individui di età 50 e oltre che hanno fornito assistenza alla persona durante la pandemia per genere del caregiver e area geografica in Europa.
Non c’è dubbio che la pandemia colpisce di più le donne, in diversi segmenti della vita e della attività lavorativa. Gli interventi che potrebbero invertire le asimmetrie sono vari e tra loro collegati. Per favorire la permanenza delle donne sul luogo di lavoro occorre accrescere il livello di sicurezza e la qualità del lavoro di alcune occupazioni dove le donne sono maggiormente impegnate. Una formazione mirata, che migliori il livello di conoscenze della information technology delle lavoratrici permetterebbe un accesso più immediato al lavoro agile, quando questo fosse possibile. Le donne sono inoltre più colpite perché rivestono tipicamente il ruolo di caregiver all’interno della famiglia: si dovrebbe aumentare l’offerta di figure professionali che forniscono assistenza agli anziani e, in ultima analisi, rendere più equa la suddivisone dei ruoli per le attività di cura dei familiari. Le misure dovrebbero proseguire oltre il periodo della pandemia, divenire politiche e pratiche permanenti e rappresentare uno spunto di riflessione per un nuovo disegno del sistema di welfare.
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Giacomo Rebellato
Complimenti a tutte per l’articolo! Molto interessante.