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I tanti problemi della formazione professionale

Non sempre la formazione professionale è in grado di garantire migliori chance occupazionali. Quello che manca in Italia è una corretta valutazione degli strumenti via via introdotti. E l’opportunismo degli enti formativi rischia di produrre inefficienze che a volte finiscono per essere premiate.
FORMAZIONE SENZA VALUTAZIONE
Nel nostro paese, l’efficacia o meno della formazione professionale rimane ancora oggi un “mistero”: il quadro valutativo è molto eterogeneo e rispecchia una struttura normativa di riferimento estremamente frammentata tra competenze diverse a livello nazionale, regionale e provinciale.
In generale, in Italia, l’idea che l’attuazione di una politica debba essere accompagnata dalla verifica empirica dei suoi effetti continua a fare fatica ad affermarsi. (1) Eppure, l’unica analisi che abbia senso nella valutazione d’impatto è comprendere se lo specifico strumento è in grado di raggiungere determinati obiettivi tenendo conto dell’impiego di risorse che comporta (ovvero se sia efficace ed efficiente allo stesso tempo).
Gli studi sull’impatto delle politiche attive nel nostro paese sono ancora da sviluppare e, come dieci anni fa, si producono solo valutazioni artigianali condotte sfruttando, con ingegnosità acuita dal bisogno, quel po’ di informazioni che si riesce a racimolare tra indagini correnti e archivi risultanti da processi amministrativi”. (2) Quasi mai si dispone di un “gruppo di controllo”, al massimo è possibile ricostruire, una volta terminata la ricerca, un gruppo di “confronto”, ammesso e non concesso che l’ente pubblico abbia intenzione di realizzare la valutazione.
Partendo da questi limiti, i dati mostrano un quadro alquanto differente a seconda delle caratteristiche dei beneficiari e non mancano situazioni in cui l’effetto è nullo o addirittura negativo con il rischio di produrre situazioni di “spiazzamento”, con il beneficiario che avrebbe trovato lavoro prima, se non avesse frequentato il corso di formazione. (3) A livello europeo, gli studi empirici dimostrano una bassa efficacia nell’accrescere la probabilità di trovare lavoro dei partecipanti, a eccezione di un lieve effetto positivo per i disoccupati di lungo periodo. (4)
A ciò si aggiunge che spesso si confonde questa attività con le informazioni ex-ante dei partecipanti, i meglio noti monitoraggi. Questi in molti casi sono accompagnati da analisi qualitative non in grado di mostrare empiricamente esiti occupazionali, ma che offrono ottimi suggerimenti e considerazioni per migliorare la programmazione dei percorsi formativi futuri.
PERCORSI FORMATIVI INADEGUATI
Dal monitoraggio Isfol e Italialavoro sulle politiche attive ai beneficiari di ammortizzatori in deroga, emerge chiaramente come gli enti formativi (prevalentemente privati “accreditati”) hanno puntato soprattutto a “riempire le classi” in corsi di inglese e informatica dagli esiti occupazionali incerti. (5)
È difficile credere che le chance occupazionali nel settore dei servizi di una persona di quarantacinque anni migliorino grazie a un corso di carattere “generalista“ della durata di un paio di settimane, in un mercato dove per un eventuale e analogo posto si candidano giovani neolaureati (con esperienze anche all’estero) che possono entrare in azienda con uno stage di sei mesi a 400 euro.
Ovviamente, in assenza di adeguati e “generosissimi” incentivi alla domanda di lavoro, le chance per il quarantacinquenne di trovare lavoro sono estremamente basse e i corsi sono praticamente inutili o al massimo paragonabili a un “hobby”. Infatti, la scelta del percorso è spesso basata sulla “discrezionalità” del disoccupato oppure è frutto di un suggerimento da parte degli stessi enti privati che hanno tutto l’interesse a indirizzare il beneficiario verso la propria offerta formativa.
Inoltre, sempre dal monitoraggio Isfol, si evidenzia come il parcheggio in formazione è stato il comportamento tipico tenuto anche dalle agenzie private di collocamento (Apl): non solo non hanno collocato quasi nessuno, ma hanno sostanzialmente erogato gli stessi servizi dei Centri per l’impiego.
Le Apl erano state coinvolte perché reputate più “capaci” nel collocare il disoccupato, invece hanno parcheggiato queste persone in programmi volti solo all’occupabilità, senza raccogliere minimamente le esigenze provenienti dalla domanda di lavoro (supponendo che ci fossero) e senza attivarsi nella fase di intermediazione, perché questa rappresentava chiaramente un rischio d’impresa troppo alto. Di conseguenza, hanno “scaricato” il beneficiario all’attore pubblico, che per come sono state organizzate le politiche attive è diventato (tranne rare eccezioni) un “surrogato” amministrativo senza risorse.
Accanto a questo tipo di formazione, negli ultimi anni è in forte espansione la cosiddetta formazione professionale mirata, ovvero la realizzazione di programmi volti a un rapido inserimento occupazionale dei disoccupati o inoccupati che rispondono alle esigenze provenienti da quei settori economici che, stando alle analisi delle fonti amministrative o ricavate dalla banca dati Excelsior, potrebbero offrire, anche in periodo di recessione, nuove opportunità occupazionali.
In realtà, anche questo tipo di formazione non è esente da problemi. In particolare, in Italia si assiste al noto fenomeno di “gaming”, soprattutto nei confronti del collocamento dei soggetti “svantaggiati”. Dove al posto di due settimane di affiancamento, per effetto di un reciproco interesse da parte degli enti formativi e della domanda di lavoro (soprattutto se questa eroga parte della formazione) si crea in maniera “artificiosa” un programma di orientamento e formazione assolutamente sproporzionato alle necessità.
A ciò si aggiunge che grazie all’accordo “informale”, dove l’assunzione è praticamente assicurata anche per effetto di una preventiva scrematura dei partecipanti, in assenza di un gruppo di controllo selezionato casualmente prima dell’erogazione della misura (v. Aiuto ai precari? No, regalo alle imprese), c’è il rischio che la valutazione possa favorire l’attribuzione di ulteriori incentivi.
In diversi paesi europei, i comportamenti opportunistici sono ridotti grazie ad alcuni “stratagemmi”: rendere proporzionale i vantaggi con il costo del lavoro dell’impresa (in parte previsti dalla riforma Fornero); creare degli “exit free” nel caso la domanda di lavoro non stabilizzi il lavoratore (una forma di indennizzo ai servizi per l’impiego per ricollocare la persona e ridurre il tasso di rientro); e soprattutto attraverso una verifica accurata dei collocamenti realizzati dagli enti presso le aziende, appurando che questa non tragga ulteriore profitto dai collocamenti dei lavoratori “svantaggiati” (ad esempio, la definizione di un “marchio di qualità” come quello previsto dall’associazione Boaborea nei Paesi Bassi).
Agli “stratagemmiè però necessario affiancare altri due importanti strumenti: un quadro valutativo simile a quello che verrà realizzato per la sperimentazione della Nuova carta acquisti; e le mappe di densità sulle fonti amministrative per individuare dove vanno a lavorare i beneficiari dei percorsi formativi, in modo da comprendere la coerenza tra offerta formativa e caratteristiche del nuovo lavoro. (6)
Tutti questi strumenti vanno visti come supporto alla formazione professionale, oggi ancora più importante rispetto al passato, perché rappresenta la prima tappa del difficilissimo percorso di ricollocamento dei disoccupati over 45 con bassa scolarizzazione provenienti dalla old economy.
 
(1) Si veda Kluve J. et al., (2007), Active Labor Market Policies in Europe: Performance and Perspectives, Springer, Berlin. Il testo, tra più apprezzati in letteratura, è una vera e propria rassegna sulla valutazione delle politiche attive del lavoro in Europa.
(2) La citazione è tratta da Rettore et al.,(2002), La valutazione delle politiche del lavoro in presenza di selezione: migliorare la teoria, i metodi o i dati ?, Rivista di politica economica, n. 3, 301-341.
(3) Per una breve rassegna sulle politiche attive del lavoro si veda Giubileo F. e Parma A.,Alcune considerazioni sui servizi al lavoro in Lombardia. Prime valutazioni sulla Dote lavoro 2009. Mentre per le politiche attive rivolte ai beneficiari di ammortizzatori in deroga si rimanda a Giubileo F. e Calvo R., Valutazione comparata del grado di efficacia occupazionale dei servizi e attività erogate a valere sulla direttiva crisi.
(4) Per maggiori informazioni si veda: Kluve J.,(2009), Le politiche attive del lavoro in Europa: una rassegna, in Cantalupi M. e Demurtas M. (a cura di), Politiche attive del lavoro, servizi per l’impiego e valutazione, Il Mulino, Bologna.
(5) Isfol e Italia lavoro,(2010), Report – Le misure regionali di contrasto alla crisi occupazionale connesse con l’accordo Stato-Regioni del febbraio 2009. Il documento è disponibile al sito: www.italialavoro.it (aggiornato a dicembre 2012).
(6) Si veda Baldini M. e Beltrametti L., (2013), La sperimentazione della nuova carta acquisti, NelMerito.it. Non è un caso che i principali oppositori di entrambi gli strumenti siano proprio gli enti formativi pubblici o privati.

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Sostegno alle imprese da rifondare *

  1. antonio gasperi

    ciò che dice l’autore è purtroppo vero per il segmento dei lavoratori espulsi dal sistema produttivo. se a ciò si aggiunge l’annacquamento degli istituti tecnici e professionali operato dalla riforma scolastica Gelmini che nei 2015 sfornerà i primi periti diplomati con meno ore di laboratorio e spesso finti tirocini, la situazione è destinata a peggiorare anche per quelli alla ricerca di prima occupazione. ancora tutta da verificare – ma sicuramente a macchia di leopardo nelle diverse regioni la reale efficacia degli ITS secondo il recentissimo decreto Profumo . saluti

  2. ArgiaSbolenfi

    Quindi con la riforma Fornero con un tratto di penna abbiamo aumentato la flessibilità in uscita, mentre un efficace sistema di riqualificazione professionale (scommetto che nel testo della riforma sarà “imprescindibile”) è per ora solo un miraggio. Della serie “così siamo capaci tutti a fare i tecnici”.

  3. Marco Quadrelli

    Come direttore dei progetti di una Cooperativa di promozione sociale, oltre alla formazione pensata ed attuata a livello personale, creiamo una impresa profit e ne gestiamo la governance economica e legale sino a che non abbiano acquisito le abilità pratiche necessarie a farlo da soli.
    Ovviamente la struttura è stata a lungo pensata a livello giuridico e di organizzazione.
    Solo così i corsi di formazione possono funzionare.

    • Claudio Pardini

      Salve, lavoro come valutatore in un Ente accreditato per la FP e devo confermare che, a monte, mancano gli indirizzi e piani seri di valutazione-impatto da parte degli organi finanziatori: il Monitoraggio è principalmente formale(invio della documentazione e appoggi per la rendicontazione, firme e via dicendo. Intanto il ns. stesso Ente è da un anno in CIG con programmi (naturalmente auto gestiti) di corsi di aggiornamento quasi eccessivi. Sono interessato alle attività dell “Cooperativa di promozione sociale” citata da Marco Quadrelli, in vista di una possibile chiusura definitiva delle attività e della dispersione di tante esperienze individuali e collettive preziose. Posso avere informazioni e storia? Grazie Claudio Pardini

  4. donni7

    Capita spesso di leggere articoli che fanno notizia come quelli che in italia mancano ed è difficile trovare alcune figure professionali(panettieri, meccanici specializzati ecc) , personalmente sono stato anni in cassaintegrazione e mi hanno fatto seguire corsi obbligatori per un tot. di circa 350 ora in 3 anni, passate a guardarci in faccia o a sentire sempre le stesse lezioni sulla comunicazione verbale e su come trovare un nuovo lavoro.. ora volevo iscrivermi ad un corso di tedesco ma per 60 ore mi hanno chiesto 800 euro.. c’è veramente ancora molto da cambiare in Italia..

  5. Enrica

    Da “consulente” con finta partita IVA che lavora per un grande ente accreditato lombardo, condivido parte di quanto scritto sull’inefficacia della formazione. Non farei ricadere tutta la colpa sugli enti: i percorsi più lunghi e professionalizzanti che abbiamo proposto sono stati scelti da pochissimi lavoratori perchè troppo onerosi in termini di tempo, e ci siamo scontrati con aziende che dopo aver aperto la CIG in deroga hanno dichiarato che i lavoratori non potevano frequentare i corsi per impegni di lavoro. Risultato? I rimborsi ottenuti dalla Regione non hanno coperto i costi sostenuti per attivare i corsi di formazione. E noi “consulenti” rischiamo di rimanere senza lavoro da un giorno all’altro, senza nessuna tutela, e con i lavoratori in CIG che ci trattano come qualsiasi impiegato pubblico a tempo indeterminato. Mi sembra una guerra tra poveri, mentre i veri beneficiari della CIG sono le aziende.

  6. Formazione Professionale, Parcheggio per Disoccupati? NO solo una grande Truffa e sperpero di risorse sulla pelle dei giovani in cerca di lavoro.
    Gestito dalle Regioni o con delega dalle Province, l’intero settore ha da sempre rappresentato un grande centro di clientelismo e di spartizioni di ingenti risorse economiche.
    Una galassia di difficile esplorazione e dai tanti volti in un turbinio di “accreditamenti”, “partneriati” e “convenzioni” con enti e imprese private, che distribuiscono incontrollati contratti “occasionali”, “forniture e “stage”. Una macchina che macina miliardi senza alcuna programmazione o coordinamento, spalleggiata da inutili e fallimentari Centri per l’Impiego, dal Mercato del Lavoro e dallo stesso Isfol.
    Un sistema che specula sulle aspettative dei giovani e dei meno giovani che spesso pagano anche “iscrizioni” salate per ottenere un attestato che continua a garantire solo un “reddito” a chi lo gestisce.
    In Sicilia Crocetta, senza tanti sforzi, ha scoperchiato solo la punta di un iceberg truffaldino.

  7. Dave

    Vi racconto cosa è successo ad un’azienda mia cliente (lavoro nell’ambito della finanza agevolata). Iscritta ad un Fondo Interprofessionale, altra grande macchina mangiasoldi, versa regolarmente lo 0,30% del monte salari al fondo stesso. Viene fuori un avviso per mettere in piedi un piano formativo, e considerata l’opportunità, l’azienda decide di parteciparvi. Viene preparato un piano formativo a copertura di tutto l’anno 2013 (vero…non come quelli che tante volte vengono progettati, magari approvati, magari liquidati, e magari mai effettivamente effettuati…). Ma c’è un cavillo. Il piano formativo deve essere necessariamente condiviso da due parti sindacali. Ma non due qualsiasi. Due specifiche, mai sentite prima. Si occuperanno loro di decidere se l’azienda potrà o meno fare formazione. Passa un mese dall’invio e arriva una comunicazione che mi dice che il piano non può essere condiviso. Chiedo come mai, e la risposta che mi viene data è che i sindacati non sono tenuti per legge a non dare nessuna spiegazione sul perché un piano non viene condiviso.
    Questo è solo uno dei casi più svariati di fronte al quale si è inermi. Io azienda verso una certa cifra per finanziarmi la formazione. Ho un piano di formazione per l’aggiornamento delle competenze dei miei dipendenti. Chiedo un contributo aggiuntivo rispetto a quello che ho accantonato spiegando che con quei soldi non ce la faccio a coprire tutto il piano, mi serve qualcosina in più. Quel qualcosina in più, e nemmeno la parte che spetterebbe all’azienda di diritto, non viene concesso perché due sindaacati sconosciuti hanno deciso che il piano non è condivisibile. Alla fine l’azienda non farà formazione, i lavoratori non riceveranno formazione e quindi resteranno fermi con le loro competenze, i soldi versati resteranno non spesi.
    Questa è la formazione in Italia, tanto con i Fondi Interprofessionali, tanto con i bandi pubblici regionali o provinciali.
    Alla faccia del LongLife Learning tanto sbandierato dall’Europa.

  8. max

    Problema 1: i titoli dei corsi spesso sono assurdi e temporalmente indietro di anni rispetto alle moderne necessità delle aziende. Problema 2: non c’è più una collaborazione tra aziende e enti formativi accreditati. quando va bene si fa uno stage che non porterà mai ad una riconferma. Problema 3: I corsi più efficaci ed interessanti sono tutti per under 35. Potrei dilungarmi spiegando quali e come sono strutturati ma lo spazio è poco e tutti voi penso che sappiate di cosa parlo. Problema 4: esiste davvero una riqualificazione o un reinserimento per persone over 35 oppure tutta questa formazione va solo a mantenere in vita enti accreditati dalle varie fazioni politiche che li mantengono vivi proprio con corsi Fse etc etc? avrei storie interessanti da raccontare ma lo spazio non sarebbe sufficiente quindi vi saluto e chi piccolo consiglio chi può scappi da questo paesello in caduta libera. Purtroppo credo che non abbiamo ancora visto il peggio …

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