La chiusura delle scuole durante la pandemia potrebbe avere conseguenze di lungo periodo sui divari di genere. Disoccupate o in smart working, sono state quasi sempre le donne a occuparsi dei figli in Dad. Anche l’aiuto dei nonni è stato rilevante.
Sostegni nel periodo di Dad
Durante la pandemia da Covid-19, la sospensione della didattica in presenza ha interessato tutte le aree del paese e tutti gli ordini di scuola, sebbene con diversa intensità. Gli effetti sugli apprendimenti degli studenti sono stati considerevoli, soprattutto nelle zone e nei cicli scolastici in cui la didattica a distanza si è protratta più a lungo.
La chiusura delle scuole ha anche comportato un aumento notevole dei carichi di cura familiari, specialmente quando ci sono bambini piccoli. In una precedente nota, abbiamo mostrato come più del 60 per cento dei genitori di minori di 14 anni intervistati in un’indagine condotta dalla Banca d’Italia in primavera dichiarava di aver aumentato il tempo dedicato ad assistere i figli nello studio durante i periodi di didattica a distanza; di questi, quasi due terzi sostenevano che l’aumento fosse stato significativo.
Per far fronte a questi accresciuti carichi, nel corso del 2020, il governo ha introdotto specifici strumenti di sostegno alle famiglie. Si tratta, in particolare, dei congedi parentali straordinari (come quello Covid-19, che prevedeva un’indennità del 50 per cento della retribuzione) e dei bonus monetari per l’acquisto di servizi di baby-sitting per i nuclei in cui entrambi i genitori erano occupati. Sui quasi 8 milioni di bambini e ragazzi con meno di 15 anni, di cui quasi la metà appartenenti a nuclei dove entrambi i genitori lavorano, i minori i cui genitori (le madri in 8 casi su 10) hanno usufruito dei congedi straordinari sono stati circa 300 mila nel 2020; quelli per cui è stato utilizzato il bonus baby-sitting circa 800 mila.
Alla luce di questi numeri, risulta importante analizzare con quali altre modalità le famiglie hanno fatto fronte alla cura dei figli nei periodi di chiusura delle scuole.
L’organizzazione in famiglia
In un’indagine che la Banca d’Italia ha condotto tra la fine di agosto e l’inizio di settembre presso un campione rappresentativo di famiglie italiane è stato chiesto a quelle con minori di 14 anni iscritti a scuola o a un servizio per l’infanzia come abbiano organizzato la cura dei figli durante i periodi in cui le attività scolastiche in presenza sono state sospese. La figura 1 mostra i principali risultati. La quasi totalità dei nuclei in cui almeno un adulto non lavorava al momento dell’intervista ha risposto che si è preso cura dei figli un genitore non occupato. Tra le famiglie in cui tutti gli adulti lavoravano, oltre la metà sostiene che i genitori hanno beneficiato del supporto gratuito di altri membri del nucleo, parenti (come fratelli maggiori o nonni) o amici. Più del 30 per cento riporta che i genitori sono riusciti a conciliare la cura dei figli con il lavoro ricorrendo allo smart working e il 15 per cento dichiara che un genitore ha dovuto ridurre l’orario di lavoro (usufruendo in meno della metà dei casi di un congedo retribuito). Infine, il 10 per cento si è avvalso dell’aiuto di baby-sitter. Solo una piccola percentuale dichiara che ad aver accudito i figli è stato un genitore che ha perso il lavoro o è stato in cassa integrazione durante la pandemia.
La figura 2 presenta le risposte disaggregate in base al livello di istruzione del componente del nucleo intervistato. Quasi il 60 per cento delle famiglie meno istruite dichiara che a prendersi cura dei figli è stato un genitore non occupato; la quota scende di circa 15 punti percentuali se l’intervistato ha il diploma di scuola superiore e di altri 15 punti se ha una laurea, in linea con la minore incidenza di nuclei mono-reddito tra quelli più istruiti. Questi ultimi hanno quindi fatto ricorso in misura maggiore ad altre modalità: il lavoro da remoto, che è più diffuso tra i lavoratori qualificati e con salari mediamente elevati (si veda qui e qui), e i servizi di baby-sitting, per i quali il bonus introdotto dal governo è stato richiesto con più frequenza dai lavoratori che guadagnano di più. Il supporto gratuito di altri membri o parenti è stato elevato in tutti i nuclei, anche in quelli in cui l’intervistato ha almeno il diploma di scuola superiore.
Le conseguenze
Questi risultati confermano come l’Italia sia un paese in cui vi è un forte ricorso all’assistenza di altri parenti (nella maggior parte dei casi, dei nonni) per conciliare il lavoro con la cura dei figli e che il fenomeno è trasversale (si veda anche qui e qui). Tuttavia, in un contesto di innalzamento dell’età di pensionamento e di più alta partecipazione al mercato del lavoro anche dei lavoratori più maturi, appare fondamentale ridurre la dipendenza delle famiglie dall’aiuto dei nonni, accrescendo la disponibilità e assicurando la qualità dei servizi per l’infanzia. Né va dimenticato che, durante la fase pandemica, affidarsi all’aiuto dei nonni ha presumibilmente esposto le fasce più anziane della popolazione a un maggiore rischio di contagio.
In secondo luogo, i nostri risultati sono una prova ulteriore che la chiusura delle scuole durante la pandemia potrebbe avere conseguenze anche di lungo periodo sui divari di genere. Infatti, dall’analisi emerge come nelle famiglie in cui un adulto non è occupato, la madre nella quasi totalità dei casi, sia stato proprio quest’ultimo a farsi carico della cura dei figli durante la chiusura delle scuole, potenzialmente diminuendo la probabilità di un rientro nel mercato del lavoro. Ed emerge anche che, in linea di principio, la possibilità di avvalersi dello smart working ha alleviato le difficoltà di conciliazione per le famiglie in cui entrambi i genitori lavoravano. Tuttavia sono state le donne ad aver usufruito maggiormente del lavoro da remoto per esigenze di conciliazione (si veda qui e qui). Sarà quindi importante, in prospettiva, valutare se la concentrazione dei compiti di cura sulle lavoratrici in smart working comporterà un ulteriore ampliamento dei gap salariali e di carriera che si osservano in Italia (si veda qui e qui).
* Le opinioni espresse sono personali e non impegnano in alcun modo la Banca d’Italia o il Sistema europeo di banche centrali.
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