Scuole e imprese non si parlano e l’orientamento è carente. Così i giovani italiani escono dalla scuola con scarse competenze e poche conoscenze su come funziona il mercato del lavoro. Da qui evidenti difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro.
Autore: Francesco Pastore Pagina 1 di 5
È stato professore di Economia Politica all’Università della Campania Luigi Vanvitelli, research
fellow IZA; country leader per l’Italia e leader del cluster sulla school-to-work transition della Global Labor
Organization; vice-presidente dell’European Association of Comparative Economic Studies. È stato editorialista per numerose testate, fra cui lavoce.info e Il Fatto Quotidiano, per il quale ha tenuto un blog molto seguito dal 2017. È scomparso il 13 luglio 2022.
L’obiettivo del Fondo sociale europeo è favorire l’occupazione. È uno strumento efficace? La provincia di Bolzano l’ha utilizzato per finanziare corsi di formazione destinati a diverse categorie di disoccupati e a soggetti vulnerabili. Ecco i risultati.
I centri per l’impiego sono pochi e sottodimensionati rispetto a una domanda di servizi in aumento. Il personale non ha le giuste competenze per svolgere le necessarie attività di orientamento e collocamento. Si dovrebbero assumere case manager.
Perché l’apprendistato di primo livello non si diffonde in Italia come in Germania? Neanche gli incentivi economici sono bastati. I problemi sono infatti legati alla sua organizzazione complessiva e alla sua collocazione nel sistema d’istruzione italiano.
Per le imprese, l’apprendistato professionalizzante ha il vantaggio della flessibilità e del costo più basso. Per i lavoratori, è una opportunità di lavoro potenzialmente stabile e adeguatamente tutelata. E dà più certezze del tirocinio extracurriculare.
Tra le ragioni della bassa crescita economica dei paesi del Sud Europa vi sono senz’altro i minori investimenti pubblici e privati in innovazione tecnologica e in capitale umano. Ma la pandemia ha accelerato i processi di digitalizzazione.
Finita la scuola, la maggior parte dei giovani italiani impiega un periodo di tempo molto lungo per trovare un lavoro regolare e ciò li penalizza rispetto ai coetanei europei. La conferma arriva da nuove stime. Cosa fare per migliorare la situazione.
L’attività di profilazione di Anpal permette di tracciare un identikit dei titolari del reddito di cittadinanza presi in carico dai centri per l’impiego. Sono disoccupati demotivati e con percezioni errate sulla loro situazione. Come affrontare il problema?
Uno dei problemi dell’Italia è ridurre il divario tra studi e lavoro. L’Atlante del lavoro e delle professioni potrebbe essere un valido strumento per la definizione dei percorsi formativi più adeguati a soddisfare il fabbisogno del mercato del lavoro.
L’Italia spende in politiche attive meno di quanto spenda per quelle passive. Invece un sistema efficace di flexicurity richiede investimenti nei servizi per l’impiego e nella formazione. E con programmi specifici per le categorie più svantaggiate.