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Come riformare le pensioni anticipate

Il sistema contributivo calcola la pensione moltiplicando il montante dei contributi versati per un coefficiente di trasformazione crescente con l’età al pensionamento. Ne derivano sbilanci fra spesa pensionistica e gettito contributivo. La soluzione svedese.

L’obsolescenza dei coefficienti

Il sistema contributivo calcola la pensione moltiplicando il montante dei contributi versati per un coefficiente di trasformazione crescente con l’età al pensionamento.

Tutti sanno cos’è il montante, mentre il coefficiente resta avvolto nella nebbia del calcolo attuariale. Occorre diradarla per comprendere la necessità di una radicale riforma delle pensioni anticipate.

Molti pensano che il coefficiente sia il reciproco della vita residua all’età del pensionamento. Prova ne sarebbe che aumenta quando la vita residua diminuisce al crescere dell’età. Moltiplicandolo per il montante contributivo, quest’ultimo sarebbe quindi diviso per gli anni residui, così da ottenere l’importo che le annualità di pensione devono assumere per garantire la “corrispettività”, cioè la restituzione dei contributi versati. Da questa seguirebbe la “sostenibilità” intesa come pareggio di bilancio, cioè equivalenza fra la spesa pensionistica e il gettito contributivo. In realtà, questa interpretazione ignora la reversibilità e gli aspetti discussi qui. Ciò trascurando, è anche pregiudicata dalle importanti ragioni appresso spiegate.

Per cominciare, si considerino i nati nel 1957 che vanno in pensione di vecchiaia a 67 anni nel 2024. Solo la sfera di cristallo potrebbe rivelarne la vita residua che, infatti, è solo stimata. La stima risale al 2022 (quando i coefficienti in vigore furono promulgati) ed è basata sulla “tavola di sopravvivenza” rilevata dall’Istat l’anno prima. Più esattamente, è basata sui “tassi di sopravvivenza” rilevati per le età da 67 anni al limite teorico di 119. Nel seguito sono trascurati i tassi alle età superiori a 90 anni che incidono marginalmente sulla stima.

Sacrificando l’esattezza alla semplicità, il tasso a 67 anni è definibile come il quoziente fra i nati nel 1953 che hanno compiuto 68 anni nel 2021 e quelli che ne hanno compiuti 67 nel 2020. I primi sono il sottoinsieme sopravvissuto dei secondi, e il tasso misura quindi la ‘capacità’ dei nati nel 1953 di sopravvivere un anno al 67esimo compleanno. Analogamente, il tasso a 68 anni misura la capacità dei nati nel 1952 di sopravvivere un anno al 68esimo, quello a 69 misura la capacità dei nati nel 1951 di sopravvivere un anno al 69esimo, e così via fino all’ultimo tasso che misura la capacità dei nati nel 1930 di sopravvivere un anno al 90esimo.

Ma i nati nel 1957 nulla hanno a che fare coi nati fra il 1930 e il 1953. Eppure, i tassi di sopravvivenza di questi ultimi sono “mutuati” per stimare la loro vita residua nell’impossibilità di conoscere i veri tassi che sperimenteranno in futuro. Benché ignoti, i veri tassi supereranno di certo quelli mutuati, che sono quindi ‘obsoleti’. Nella riga 11 della tabella 1 è indicata la distanza minima di 4 anni (colonna G) e quella massima di 27 (colonna H) fra la coorte ‘mutuante’ (colonna B) e quelle ‘mutuatarie’ (colonne E e G). La distanza media di 15,5 anni (colonna I) è una rozza misura dell’obsolescenza.

Tabella 1 – obsolescenza dei coefficienti in vigore nel 2024

L’obsolescenza dei tassi si trasmette alla vita residua, errata in difetto, e quindi al coefficiente, errato in eccesso. La sopravalutazione di quest’ultimo genera pensioni superiori ai contributi versati che, da un lato, si traducono in “doni” ai pensionati, mentre, dall’altro, producono sbilanci fra la spesa pensionistica e il gettito contributivo, e quindi costi per la fiscalità generale chiamata a sanarli.

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Obsolescenza ed età

Come cambia l’obsolescenza al diminuire dell’età al pensionamento? La domanda è rilevante perché la pensione di vecchiaia è l’eccezione anziché la regola. Infatti, nel 2022 le pensioni anticipate hanno sfiorato il 62 per cento di quelle liquidate ai lavoratori dipendenti. L’età dei beneficiari è stata di 61,55 anni in media, e inferiore a 60 anni nel 28 per cento dei casi (36 per cento escludendo i pubblici). I dati provvisori del 2023 confermano il quadro.

Per rispondere, si consideri la riga 4 della tabella, dedicata ai nati nel 1964 che vanno in pensione a 60 anni nel 2024. La loro vita residua è stimata sui tassi alle età fra 60 anni e 90 sperimentati nel 2021 dalle coorti nate fra il 1930 e il 1960. La distanza minima delle coorti mutuatarie dalla mutuante resta ferma a 4 anni mentre la massima sale a 34 facendo arrivare la media a 19. Perciò il coefficiente dei 60 anni è più sopravalutato rispetto a quello dei 67, e quindi responsabile di maggiori sbilanci che si traducono in extra‑costi per la fiscalità generale. L’altra faccia della medaglia è un iniquo vantaggio per chi va in pensione a 60 anni, destinatario di un dono più generoso di quello concesso a chi ci va a 67.

Nel complesso, la tabella 1 mostra che l’obsolescenza si aggrava al diminuire dell’età al pensionamento.

Le scelte svedesi

Nel più evoluto sistema contributivo svedese, dove i coefficienti sono differenziati per coorte, l’obsolescenza assume connotazioni parzialmente diverse, ma resta fermo che, per contenerla, occorre limitare inferiormente l’età al pensionamento.

La Svezia ha scelto di farlo senza rinunciare alla flessibilità. Infatti, i lavoratori svedesi possono andare in pensione fra 66 anni e 69. Entro tale fascia quadriennale, la libertà di scelta è pienamente garantita senza ostacoli all’italiana come le “finestre” e i requisiti riguardanti l’anzianità contributiva e la pensione maturate.

Tabella 2 – uscita dal mercato del lavoro in Svezia

Ogni forma di pensionamento anticipato è esclusa, a cominciare dalla pensione d’anzianità che è estranea alla tradizione previdenziale svedese. Tuttavia, fin dall’età di 63 anni, chiunque può accedere a una pensione provvisoria, meglio definibile come assegno di accompagnamento alla pensione vera e propria. Le annualità dell’assegno si configurano come prestiti a titolo oneroso che il beneficiario deve rimborsare mediante decurtazione del montante contributivo totalizzato al raggiungimento dell’età pensionabile minima, quando la pensione è infine liquidata in base al montante residuo. Il tasso d’interesse applicato è lo stesso che rivaluta i montanti contributivi in formazione. Non è la crescita (media quinquennale) del Pil come in Italia, bensì quella dei redditi da lavoro.

Dovendo essere rimborsato, l’assegno potrebbe avere l’importo liberamente scelto dal richiedente. Tuttavia, l’interesse pubblico è di evitare rimborsi eccessivi che lascino montanti incapaci di garantire pensionati autosufficienti. Perciò l’assegno è calcolato e perequato con le regole della pensione. In particolare, è calcolato moltiplicando il montante maturato dal richiedente per il coefficiente della sua età.

Una simulazione per l’Italia

In Italia, la trasformazione delle pensioni anticipate in assegni dovrebbe fare i conti con un sistema contributivo in mezzo al guado, dove alla pensione di chi ha cominciato a lavorare anteriormente alla riforma Dini concorrono una quota retributiva maturata prima e una contributiva maturata dopo.

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Limitatamente a quest’ultima, la tabella 3 considera il signor Rossi andato in pensione anticipata a 63 anni esatti il 1° gennaio 2020. La colonna C reca la “pensione contributiva” (in realtà quota contributiva di pensione mista) percepita fino al 2024 compreso. La prima annualità è calcolata moltiplicando il coefficiente dei 60 anni in vigore nel 2020 per un montante contributivo assunto uguale a mille euro. Le successive sono ottenute applicando le perequazioni riservate alle pensioni fino a quattro volte il minimo.

La colonna D reca l’assegno in cui è ipoteticamente trasformata la pensione anticipata in colonna C percepita fino al 2023, seguito dalla pensione di vecchiaia ipoteticamente liquidata nel 2024. Quest’ultima è calcolata moltiplicando il coefficiente dei 67 anni (attualmente in vigore) per il montante originario di mille euro rivalutato secondo la crescita del Pil e decurtato degli assegni rivalutati allo stesso modo.

Lo scalino in discesa fra il 2023 e il 2024 è evitato in colonna E che simula un assegno uguale all’85 per cento (anziché al 100 per cento) della pensione anticipata.

Tabella 3 – simulazione di un assegno chiesto a 63 anni nel 2020

Naturalmente, anche la quota retributiva della pensione anticipata dovrebbe essere trasformata e inclusa nell’assegno, per poi riacquistare lo status di pensione all’età di vecchiaia. Anziché una trasformazione nominalistica a parità d’importo, sarebbe necessaria un’equa correzione attuariale che compensi la maggior durata del benefit complessivo (assegno + pensione). Del resto, la correzione avrebbe già dovuto riguardare la pensione anticipata a prescindere dalla presente proposta di trasformarla in assegno.

Progettare riforme intelligenti

La trasformazione in assegno della pensione anticipata può rimuoverne gli extra‑costi e le iniquità sopra spiegate. Potrebbe quindi preludere a una flessibilità a carattere universale che rada al suolo l’attuale foresta di requisiti anagrafico‑contributivi differenziati in base a condizioni soggettive opinabili, come la data e l’età d’inizio dell’attività lavorativa, l’usura o la gravosità del lavoro svolto, l’inabilità propria o dei familiari, la disoccupazione, il genere, il numero dei figli e chi più ne ha più ne metta. I requisiti richiesti dall’assegno universale dovrebbero essere un’anzianità contributiva sufficiente a garantirne l’adeguatezza e un’età sufficiente a limitarne la durata onde prevenire rimborsi eccessivi, forieri di scalini fra l’assegno stesso e la successiva pensione.

Su tale sentiero virtuoso si è incamminata Inarcassa (cassa autonoma degli ingegneri e architetti), il cui sistema contributivo supera quello pubblico anche sotto altri aspetti. Per mettere ordine in quest’ultimo, non servono governi “ragionieri”. Occorre invece alzare lo sguardo oltre la successiva finanziaria per progettare riforme intelligenti e, all’occorrenza, audaci, cioè pronte a farsi carico di costi recuperabili nel lungo periodo. Forse l’Europa saprebbe riconoscere l’intelligenza e perdonare l’audacia.

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38 commenti

  1. Savino

    Da questi spunti bisognerebbe partire anche per valutare ciò che è incostituzionale e ciò che non lo è; ciò che lede il “patto” tra lo Stato e il cittadino e ciò che non lo lede, anche con effetti retroattivi. Se viene fuori che dal 1973 al 1995 ci sono stati cittadini italiani che sono stati pesati più cittadini di altri cittadini, assunti dopo, o nati dopo, è sacrosanto dirlo.

  2. Daniele

    Non riesco a capire perche` si faccia sempre finta che chi ricevera` la pensione lo fara` grazie al montante accumulato.
    Nel nostro sistema, ripartitivo, indipendentemente da quanti soldi avremo versato come contributi, prenderemo una pensione che dipendera` da quanti soldi sono correntemente versati nelle casse dell’INPS.
    Forse per garantire una pensione alle persone non bisogna farle andare in pensione sempre piu` tardi, ma bisognerebbe garantire politiche di sviluppo del lavoro.
    Altra cosa che non riesco a capire e` perche` non ci si muova lentamente verso un sistema di previdenza in cui veramente sara` il nostro montante a garantirci una pensione (com’e` per esempio con i fondi di categoria, tipo Cometa dei metalmeccanici).

    • paolo

      In realtà il sistema di calcolo dell’assegno è contributivo, quindi l’assegno dipende esattamente da quanto si è versato. Questo articolo spiega le regole usate e evidenzia alcuni limiti dei valori scelti. Ma il sistema rimane contributivo. La transizione verso un sistema a contribuzione pura richiederebbe decine di miliardi di euro per pagare le pensioni di oggi in modo da accantonare. In particolare poi nessun sistema pubblico è a contribuzione, sono tutti a ripartizione.

  3. Fausto Tagliabue

    La verità è che non è la spesa pensionistica fuori controllo ma quella assistenziale.

    • Moreno

      Concordo pienamente con Fausto. Ha azzeccato in pieno il problema, mentre la politica e l’INPS fanno finta di non sapere, peggio, fanno i finti ciechi o sordi.

    • paolo

      L’articolo menziona squilibri che comportano indebitamento e carico sulla fiscalità generale delle pensioni, che però non ci sono. In Italia il gettito contributivo è superiore alle pensioni versate, e l’assegno medio continua a calare. Questo rischio non c’è e se la tendenza rimane questa (pensione sempre più basse) diminuirà nel tempo.

    • Carlo

      Avendo un montante X si può andare in pensione anche a 15 anni pur di accettare le regole del calcolo attuariale.
      Trovo confondente questo discorso ed alquanto scorretto per le regole della matematica, della statistica e del calcolo finanziario.
      Il sistema assicurativo previdenziale si sostiene e si bilancia perfettamente con le attuali regole tra l’altro a suo favore e quindi ripeto si può andare in pensione a qualsiasi età pur di accontentarsi.

      • giampietro

        ottimo commento.. hai ragione il problema è al contrario 43 anni e sei mesi di lavoro prendo 916 euro di pensione mi accontento col vecchi sistema retributivo avrei preso 1500

    • Salvatore

      Il sistema pensionistico italiano basato sui contributi versati, rispetto agli altri Paesi europei, è un sistema “drogato”, perché:
      a. le retribuzioni non vengono sistematicamente adeguate all’inflazione reale, con gravi ripercussioni sui contributi accumulabili e in grado di garantire per il futuro una dignitosa pensione;
      b. nelle altre nazioni europee (quelle con cui l’Italia deve rapportarsi, non certamente quelle dell’est, inserite ad hoc in certe statistiche farlocche per “raccontarla”), dove il costo della vita è simile al nostro ma le cui retribuzioni dei lavoratori sono di gran lunga superiori alle nostre, si riesce a riconoscere una pensione dignitosa perché le retribuzioni durante la vita lavorativa sono state via via adeguate;
      c. il sistema della contrattazione italiano va cambiato immediatamente, considerato che negli ultimi 25 anni tutti i contratti dei lavoratori pubblici e privati sono stati “a perdere”, significa mai firmati rispettando i termini di rinnovo, ma soprattutto non hanno mai garantito il recupero dell’inflazione reale.
      Merita una profonda riflessione quanto successo durante l’ultimo incontro annuale del WEF a Davos (Svizzera), durante il quale è emerso che i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.
      Al riguardo la politica italiana dovrebbe assolutamente assumere un ruolo centrale, intervenendo concretamente nel porre un freno alle disuguaglianze crescenti e garantendo una redistribuzione equa della ricchezza.
      Come è noto, oggi sono troppe le persone che non si sentono più rappresentate dalla classe politica perché fattivamente questa non ha saputo far fronte ai reali bisogni della gente e non ha saputo contrastare l’aggravarsi delle disparità sociali che rischiano di arrivare pericolose derive.
      In conclusione, però, è bene precisare che non bisognerà aumentare le tasse per redistribuire la ricchezza. Piuttosto bisognerà puntare sul lavoro e sui lavoratori:
      1. diminuendo le ore di lavoro a parità di stipendio (es. riducendo di 8 ore settimanali le famose 40 ore di lavoro, si potrebbero incrementare del 20% i posti di lavoro, permettendo un incremento immediato dei contributi previdenziali e il contemporaneo avvio di una equa redistribuzione della ricchezza);
      2. riconoscendo aumenti retributivi nel tempo in grado di compensare almeno l’incremento del costo della vita e allo stesso tempo permettendo un accumulo di contributi previdenziali bilanciato.

      Gli effetti non potrebbero che essere utili:
      – per una vita più sana dei singoli soggetti, meno sfruttati fisicamente e psichicamente dal punto di vista lavorativo e, forse, meno soggetti alle malattie degenerative da affaticamento;
      – per le famiglie, in seno alle quali sarebbe possibile dedicare più tempo ai figli; l’attuale crisi della famiglia potrebbe avere radici legate allo sconvolgimento degli equilibri di un tempo;
      – per l’economia e per il lavoro di ritorno, perché l’aumento delle disponibilità economiche e di tempo libero creerebbe un circuito virtuoso e conseguentemente incremento di ulteriori posti di lavoro;
      – per accontentare i super ricchi che, almeno da quanto è emerso durante i lavori del WEF a Davos a gennaio 2024, cominciano a sentirsi in colpa, ma, soprattutto, temono future e disastrose ribellioni in grado di sconvolgere il loro attuale stato sociale di privilegiati.

      • giampietro

        Hai ragione Salvatore ma noi stiamo pagando il cambio euro lira e forse non abbiamo ancora capito che affrontare le salite in 5° marcia e difficile e a volte impossibile.. spero che tu mi abbia capito

    • Donatello

      Non si può fare paragoni con la Svezia perché il sistema sanitario i servizi per gli anziani e la qualità della vita è completamente a loro favore. Le considerazioni devono essere fatte nel mondo reale , il nostro ,dove se lavori 42/43 anni a prescindere dall’età dovresti avere un premio e non essere dopo, un peso per il sistema.

    • Fortunato Lacopia

      Ma come si fa a compiere calcoli di questo tipo su un fondo strutturato perché tale è il cucuzzolo INPS a cui nel tempo si sono aggiunti capitoli di spesa della spesa corrente dello stato a volte messo a garanzia per spese Dell ordinario?? La parte Inps assorbe solo il 18 – 20 % di tale fondo con accantonamenti da più di 60 anni.. Se la mettete così date la stura a chi sta cercando di dimostrare il contrario inculcando che ci sia un rapporto 1:1 tra versamenti e prestazioni mentre nell ottica di un fondo puro come quello pensionistico è a prescindere dall era e amenità varie si sta all i circa a 1:19…. E in più nel tempo Inps ha investito e ha immobilizzazioni pari a un terzo del fondo, fatevi dare i libri contabili dello stato, anche i secretati e poi ne riparliamo

    • Fottiti

      Fausto non credi che tanti ( politici ecc ecc rubano pensioni e vitalizzi senza aver versato il dovuto?) non hanno titolo a percepire il di più?

  4. Roberto

    Ma in Svezia hanno altri stipendi, qui l’assegno pensione medio è 900 /1000 euro .
    qui signori miei è il terzo mondo per gli stipendi figuriamoci poi per la pensione.
    Mio papà è andato a 58 anni dopo 42 anni di lavoro come operaio ma prendeva un assegno di 1000 euro.
    Insomma a noi conviene puntare sul reddito di cittadinanza

  5. giovanni

    Come si fa a tener conto solo dell’aspettativa di vita, e non si tenga conto dell’aspettativa di morte quando ad arrivare in pensione ci vai a 67 anni e 42 di contributi ai raggiunto anche quota 109 come nel mio caso, e a altri hanno goduto di quota 100. Io di sicuro a quell’età con le stampelle non mi potrò permettere il tanto desiderato sogno di poter fare una vacanza tranquilla senza dover rientrare a lavoro per dare il cambio ai colleghi, meno male che la vita è una sola se ci va bene.

  6. Alberto Marella

    Un’altro aspetto che meriterebbe più attenzione è quello della tassazione. Se con il metodo retributivo poteva anche essere tollerata una tassazione simile a quella applicata ai lavoratori (più elevata, comunque, a quella applicata nel resto del continente) è alquanto deleterio che venga fatta a quella calcolata con il metodo contributivo in cui le stesse sono già state pagate in precedenza. Le stesse dovrebbero essere nell’ordine del 10 – 15 %. Ma si sa qua vengono presi provvedimenti dall’Europa che sono sempre penalizzanti nel confronti della gente comune.

  7. Sono nato il 1/1/1958 ho una pensione categoria io ho un invalidita al 100% percepisco l’accompagno posso chiedere la pensione di vecchiaia ho anticipata grazie

  8. Savoldi Mario

    Ho iniziato a lavorare in carpenteria meccanica a 14 anni e a 57 raggiungerò 43 anni di contributi contunuativi. Non pensate che mi merito una pensione? E senza tagli. C’è da tener conto di chi ha iniziato presto.

  9. Vincenzo Magi

    Ma voi sapete quanto ha versato all’Inps un lavoratore nato nel 1960 e che ha iniziato a lavorare a 24 anni? Dove sono finiti tutti questi soldi? Forse in Italia fare il proprio dovere, pagare tasse e contributi e lavorare è un’onta da punire con pensioni da fame. Era meglio fare il punkabbestia! E non parlate di merito!

  10. Irene Facchetti

    Non è la spesa pensionistica fuori controllo ma, a mio intendimento, la spesa assistenziale.

    • Angelo

      Ciao Amedeo, non credo sia il posto giusto per queste info. Vai in un patronato.
      Comunque per le tue domande hai 3 possibilità:
      APE sociale se hai 30 anni di contributi.
      Anticipata, devi passare una commissione INPS e 20 anni di contributi.
      Vecchiaia a 67 anni.

  11. Emiliano

    Quindi io, nato nel dicembre 1971 e che ho iniziato a lavorare in regola e con continuità dal novembre 1987 (quindi precoce di oltre 3 anni prima dei 19), e che nel 2024 maturo 36 anni di contribuzione con 52 anni di età, mi spiegate se devo aspettare il compimento dei 67 anni di età per andare in pensione?
    No, perché in tal caso dovrei lavorare altri 15 anni cumulando in totale ben 36+15=51.anni di lavoro.
    Ditemi che non sarà così.

  12. Fausto

    Secondo me bisogna tagliare le pensioni dei politici.dei manager di qualsiasi settore e a chi ha contributi figurativi tipo amianto ecc.ecc.e dare una pensione equa a chi nella sua vita lavorativa ha versato 43 / 44..anni di versamenti ..

  13. Mario Favaro

    In Svezia è stato ed è facile fare riforme pensionistiche. Loro sono rimasti fuori dall’euro e dal vincolo esterno che deprime l’Italia; di conseguenza la loro economia ha continuato a crescere e così non c’è molta differenza tra pensioni retributive e contributive a parità di lavoro età e versamenti. In Italia la differenza tra lavoratori è tragica.

  14. Patrizia

    Sono vent’anni che devono dividere previdenza da assistenza , ovviamente assistenza finanziata con la fiscalità generale ,
    Ma Italia è il paese con la più alta evasione fiscale .

    • Manu

      54 anni di età con 35 anni di contributi stando alle tabelle andrò in pensione a 64 anni con un lavoro nella grande distribuzione non definito usurante ma faticoso vista p età…non sarebbe meglio differenziare le tipologie di lavoro e fare uscire prima dal lavoro chi ha già dato tanto…largo ai giovani

  15. Franz

    Se volete portarci a fruire di un sacrosanto DIRITTO quando ormai saremo concime organico basterebbe dirlo apertamente anziché proporre paragoni inutili con taluni paesi e non altri. Ci sarà sicuramente una reazione tipo Francia….

  16. Impossibile andare a ritroso per correggere errori ed iniquità commessi; si guardi avanti seguendo due direttrici: tutti versino i contributi sul reddito lordo dichiarato senza esclusioni di nessun tipo;
    Abolizione dei trattamenti minimi salvo che per i casi di invalidità o inabilità ed infine soglia massima di importo pensionistico liquidazione.

  17. bob

    “La Svezia ha scelto di farlo senza rinunciare alla flessibilità. Infatti, i lavoratori svedesi possono andare in pensione fra 66 anni e 69. ”
    Nessun dice che in Italia una percentuale non minima è stata posta in pensione o con vitalizi vari a 45-50 anni.
    Per non parlare della vergognosa vicenda Enasarco/INPS dove agenti di commercio sono stati letteralmente presi in giro per non dire truffati

  18. Luca Sensolini

    Mi piacerebbe sapere con che soldi vengono pagate le pensioni dei lavoratori statali , che fino a qualche anno fa lo stato non versava un centesimo erano tutti figurativi . Forse con i nostri versamenti ?

  19. Tifotto

    Vi rendete conto che il tutto è finalizzato a impoverire ogni individuo?

  20. PAOLO

    L’ARTICOLO È SICURAMENTE INTERESSANTE E ARGOMENTA IN MANIERA ESAUSTIVA IL PROBLEMA DELLA SOSTENIBILITÀ DEL SISTEMA PENSIONISTICO ITALIANO, PERÒ QUANDO SI TENTA DI “COLPEVOLIZZARE”ALCUNE ANNATE PERCHÉ VANNO IN PENSIONE ANTICIPATA,SI OMETTE DI RICORDARE CHE COSTORO NON GODONO DI PRIVILEGI,MA SEMPLICEMENTE HANNO INIZIATO A LAVORARE IN GIOVANE ETÀ (14-16 ANNI) E SPESSO NON ESSENDO IN POSSESSO DI TITOLO DI STUDIO SUPERIORE, HANNO SVOLTO MANSIONI ANCHE PESANTI E DISAGIATE, QUINDI ANDARE IN PENSIONE COME SUCCEDE ORA CON 42 ANNI E 10 MESI DI CONTRIBUTI VERSATI (CHE DIVENTANO 43 ANNI E 1 MESE; VISTO CHE L’INPS PER 3 MESI NON PAGA NULLA) RITENGO CHE SIA DIGNITOSO E PER NULLA UN PRIVILEGIO!
    MAGARI POTREMMO RIVEDERE LE NORME CHE CONSENTONO AI POLITICI DI AVERE DIRITTO ALLA PENSIONE DOPO SOLTANTO UNA LEGISLATURA,DI POTERE LASCIARE LÀ REVERSIBILITÀ OLTRE CHE AL CONIUGE ANCHE AI FIGLI E RIDURRE GLI IMPORTI DI ALCUNI PENSIONATI ILLUSTRI CHE GUADAGNANO OGNI MESE DECINE DI MIGLIAIA DI EURO!

  21. Pasquale

    I nostri parlamentari continuano ad aumentarsi la propria pensione mentre noi cittadini stiamo subendo la loro incapacità a controllare il male di questo paese. Per questo la nuova generazione sicuramente a settantanni si troverà con una pensione di miseria. Vorrei , poi una risposta dai nostri sindacati: non è incostituzionale la riforma pensionistica per chi anni addietro ha firmato un contratto di lavoro dove era stabilito l età per andare in pensione. Infine è arrivata l ora di separare la pensione assistenziale da quella lavorativa. L assistenza è un servizio giusto ma essa va controllata molto severamente

  22. Enrico

    Non nascondiamoci dietro un dito. L’unico sistema previdenziale davvero “sostenibile” nel lungo periodo prevede la fissazione di una quota annuale del Pil da ripartire tra i pensionati in base ad un criterio qualsiasi (dal montante dei contributi versati corretti per una stima dei versamenti futuri, fino all’aggancio all’ultima retribuzione). All’interno di un simile tetto sarebbe ammissibile qualsiasi pensionamento “anticipato” (rispetto a qualsiasi criterio), che andrebbe semplicemente ad erodere le risorse dispiaciuti per gli altri pensionati. Che ciò produca iniquità e abusi è un altro discorso. Quanto all’allungamento dell’età minima per la pensione, mi chiedo quale impresa e quale cliente accetterebbero i servizi di un over 60 (fatte poche eccezioni, alcune delle quali mostrate senza pietà a San Remo e nelle istituzioni non solo italiane). Norme troppo restrittive sul pensionamento produrrebbero solo disoccupati e sotto-occupati anziani poco produttivi e senza alcun potere contrattuale. Sfido l’autore a trovare una sola offerta di lavoro decente riservata a personale over 40 (a cominciare dalla PA). E lo sfido anche a viaggiare su un mezzo guidato da un 65enne per recarsi in un ufficio a discutere con un settantenne.

  23. Gabriele Grassetti

    Bisogna eliminare l’assistenza a caduta oggi fuori controllo, eliminare i privilegi Ele pensioni ereditarie a differenza delle reversibilità. Ma questo non verrà mai fatto perché non genera consensi elettorali e va contro i privilegi dei politici

  24. Flavio

    Ma perché non si parla di diritto acquisito come la pensione di anzianità che a forza di riformucole e finte lacrime ,hanno tolto diritti avuti al momento dell’ inizio dell’ attività lavorativa .direi che siamo stati frodati dallo stato

  25. bob

    “Ci sono centinaia di migliaia di persone “con età avanzata” che hanno versato 18-19 anni di contributi presso la cassa di previdenza integrativa ENASARCO (+ gli anni versati all’ INPS), e che oggi vivono con indignitose pensioni erogate dall’INPS, costretti a rivolgersi ai servizi sociali per avere dei supporti di sopravvivenza, pur avendo versato ingenti somme di denaro nelle casse della previdenza integrativa, senza avere la corresponsione in diritto”.
    Questa tematica non è complessa come si vuol far credere; allungando i tempi per la risoluzione del caso, farà un danno alle casse dello Stato, se le istituzioni non interverranno immediatamente; perché questo problema verrà certamente riconosciuto nel diritto. Secondo i bilanci tecnici 2014-2017 della fondazione Enasarco, i soggetti silenti tra quelli in vita e gli eredi sono 692.000, che hanno versato nelle casse previdenziali ENASARCO circa 9,2 miliardi di euro, somme che lo Stato se ne farà carico in base all’arti. 28 della Costituzione. ”
    9,2 miliardi di euro è una finanziaria di Stato. Quale credibilità può avere un Paese come questo?

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