NO, NON E’ GIUSTO PUBBLICARLI
Recentemente, come riportato anche da Repubblica (edizione milanese) alcune organizzazioni studentesche della Facoltà di Scienze Politiche dellUniversità Statale di Milano, hanno richiesto la pubblicazione delle valutazioni espresse dagli studenti sui loro Professori. Nel campo favorevole a questa proposta si distinguono due argomentazioni reiteratamente espresse: i docenti che vengono valutati male avranno un incentivo a migliorare; i docenti che praticano lassenteismo saranno smascherati. Non voglio,qui, entrare nel merito della validità di queste specifiche motivazioni, riservandomi di farlo altrove. Piuttosto, mi preme esprimere alcune considerazioni di carattere etico-politico.
Credo che sia un dovere di ciascuno avere ben chiaro quali siano i limiti che unorganizzazione, come lUniversità, lo Stato, o anche unimpresa, sia essa pubblica o privata, deve porsi nella ricerca di strumenti di controllo e di stimolo della produttività. Una volta fissati tali limiti è lecito cercare il modus operandi più efficace. Il provvedimento in questione è, chiaramente, fondato sullidea seguente: un docente che privatamente prenda visione della bassa valutazione da parte dei suoi studenti non ha un incentivo sufficiente a migliorarsi, mentre se la sua posizione relativa, sottolineo, relativa, rispetto al resto del corpo docente è resa pubblica, il suo atteggiamento cambierà. Sarebbe quindi la vergogna di essere stato esposto come meno abile a fungere da stimolo. Può darsi che, a mio avviso imprudentemente, la pubblicazione dei voti avvenga in alcune Facoltà in Italia (a me non risulta), ma ciò non dovrebbe indurre allimitazione.
Sottolineo che, naturalmente, è il provvedimento che va rifiutato, non lintenzione di migliorare lefficienza dei docenti. In un approccio di Economia Politica è ben noto che il raggiungimento dellefficienza, talora, è in conflitto con altre considerazioni, quali lequità o la morale. Per fare un esempio estremo: la legge, rispettando la visione morale prevalente nella società, per fortuna, vieta che i donatori di organi siano pagati, eppure il mercato dei trapianti di reni potrebbe funzionare in modo più efficace se i donatori venissero compensati pecuniariamente (lequilibrio sul mercato porterebbe a un prezzo che uguaglia domanda e offerta). Questo è un caso in cui lefficienza, giustamente, viene sacrificata alla morale.
Nel caso della pubblicazione dei voti ai docenti vi è un serissimo, seppur meno tragico ed eclatante, problema morale di salvaguardia della dignità umana, di quella sfera di riservatezza e, oserei dire, di fragilità della persona umana. Credo che il rispetto della persona sia un punto fermo della nostra legislazione proprio perché i cittadini hanno diritto a non vedere invase certe sfere che possono fare della loro fragilità uno strumento di abuso, ricatto, pressione, sofferenza psichica.
Purtroppo duole constatare che proprio su queste leve fa perno lidea che la pubblicazione dei voti possa migliorare lefficienza dellinsegnamento.
A mio avviso, questo provvedimento è, in un Paese sempre più borderline come il nostro, uno di quei distratti passi verso la barbarie che è necessario a tutti i costi evitare.
Che si usino strumenti accurati di valutazione del rendimento individuale è una necessità oramai acclarata e imprescindibile in tutte le Istituzioni che servono interessi pubblici, necessità sulla quale concordo pienamente. Nessuno è intoccabile e non devono esistere caste privilegiate né dentro né fuori delle Università. Ma, mentre la valutazione dellistituzione o delle sue articolazioni può, come avviene sempre più di frequente, essere resa pubblica, quella individuale deve restare ad uso interno. Naturalmente facendo in modo che questo uso interno ci sia davvero e sia efficace. Che tutti debbano essere messi alla gogna affinché gli scansafatiche siano smascherati è un procedere incivile, con un costo sociale (il costo sociale è la somma di tutti i costi privati) che supera di gran lunga i benefici. E auspicabile che si cerchino strade meno rozze per risolvere un problema così rilevante.
Naturalmente, immagino che chi è favorevole alla pubblicazione abbia un punto di vista etico diverso da quello qui espresso. Favorirebbe il dibattito vederne articolate le argomentazioni per poterle apprezzare.
Paolo Garella
PERCHE’ E’ NECESSARIO PUBBLICARLI
Raccolgo l’invito del Signor Garella ad argomentare alcune ragioni a favore del provvedimento. Non essendo un esperto del settore, mi è difficile trovare dati aggiornati, perciò faccio quello che posso con numeri che dovrebbero essere a sfavore della mia tesi (divertente che quando uno cita dei numeri un altro riesca sempre a dimostrare che sono sbagliati). La retribuzione media dei lavoratori italiani è pari a circa 22000 EUR (anno 2007, da varie fonti che citano un rapporto Eurispes), mentre la retribuzione dei professori universitari italiani (di seguito PUI) al livello piú basso (anno 2004, [1]) è pari a circa 47600 EUR, per la prima fascia, e circa 36000 EUR per la seconda; spero di non sbagliare i calcoli ma: 47600/22000 = 2.16… e 36000/22000 = 1.63… [1] A fianco di questo confronto osservo che non mi risultano: un numero di incidenti sul lavoro dei PUI significativo rispetto a quello di altre categorie; PUI in cassa integrazione, in mobilità o in esubero; PUI costretti riqualificarsi completamente; PUI licenziati perché l’ateneo è in crisi finanziaria; PUI licenziati perché l’ateneo viene acquistato, svuotato del valore, infine lasciato fallire; PUI licenziati perché l’ateneo ristruttura e taglia cinquantenni e sessantenni. In piú, i PUI possono continuare l’attività fino a 70 anni godendo della massima retribuzione nell’ultimo periodo (forse non il piú produttivo). I PUI di prima fascia vivono un oggettivo potere nell’ambiente lavorativo, che consente loro un certo agio nell’affrontare le proprie "sofferenze psichiche". Accoglierò volentieri delle smentite. Nel complesso il trattamento dei PUI è non male per un’istituzione che deve "porsi dei limiti". Mettere nella stessa pentola della trasparenza delle prestazioni istituzioni pubbliche e aziende private è fuori luogo; l’Università, poi, è proprio un’altra categoria. Chiedo: qual’è il ruolo dell’Università a finanziamento pubblico? La mia opinione: quello che non può essere ricoperto dai privati, vincolati a seguire il mercato reale: creare e difendere un ambiente in cui le idee circolino liberamente e che ponga al centro di tutto la competizione libera e onesta sulla materia. Il lavoro dell’universitario a finanziamento pubblico deve essere di tipo imprenditoriale in uno speciale mercato a parte: si concede a una persona la possibilità, per un numero di anni non infinito, di sviluppare e trasmettere le proprie idee, finché è in grado di farlo con qualità comprovata. Le prestazioni sul "mercato" si manifestano in tre modi principali: qualità delle pubblicazioni, quantità di finanziamenti privati raccolti, valutazione della didattica. Questo mercato deve essere presente ovunque, tra gli atenei e all’interno dello stesso ateneo; il buon universitario deve essere disposto alla competizione aperta su tutto. La classificazione "università di ricerca" e "università di insegnamento" non può essere presente (in Italia) se il finanziamento è pubblico; lo dimostrano vicende di splendore assoluto come quella di Sviluppo Italia. Ciò deve valere anche per gli studenti: essere studente universitario significa vivere il diritto/dovere di competere onestamente sulla materia, esporre coraggiosamente le proprie idee originali, dimostrando ciò che si è capaci di fare. Una didattica di scarsa qualità è un impedimento enorme alla propria capacità di competere. Chi cerca di dimostrare le proprie capacità, implicitamente si mette in competizione con tutti; i PUI come accolgono il confronto? Heh… che differenza con quanto scrisse il Professor Rota[2], al punto che l’impostazione stessa del rapporto PUI/studenti è un falso ideologico; e non è un problema di soldi. [2] La pubblicazione delle valutazioni degli studenti è uno dei pochi strumenti, complementare alla formazione di un piano degli studi personalizzato, a disposizione per difendere la propria capacità di competere; si deve almeno sapere chi insegna male, chi è poco in aula e si fa sostituire da dottorandi e assegnisti impreparati, chi non accetta il confronto su approcci alternativi alla materia. Invece di secretare i risultati della valutazione, essa dovrebbe essere estesa in modo da essere maggiormente centrata su competenze e autonomia raggiunte al termine del corso. In piú occorrerebbe la possibilità di partecipare, anche negli anni successivi e post-laurea, a un dibattito sulla formazione dei programmi dei corsi, per poter dire la propria su quanto gli argomenti svolti si siano dimostrati validi o meno. Servono altri strumenti nello stesso spirito: se un barbiere mi taglia male i capelli: vado da un altro; se un professore insegna male: perché, una volta scelto un indirizzo di laurea, sono costretto a seguire il suo corso quando nello stesso ateneo quel corso è offerto anche da altri docenti? Chi insegna male deve restare senza studenti, non ci devono essere quote garantite. E chi decide quali corsi sono retribuiti? Il rifiuto della pubblicazione delle valutazioni rientra nell’ottica: non si deve sapere perché cosí chiudiamo la porta e aggiustiamo le cose tra di noi. Questa è la negazione della competizione aperta e onesta. Purtroppo, in conseguenza di un costume che nei fatti è principio di non responsabilità, gli studenti possono trovarsi in situazioni di vulnerabilità che diventano "uno strumento di abuso, ricatto, pressione"; situazioni che possono invadere la vita privata (!) e quindi diventare un "problema morale di salvaguardia della dignità umana, di quella sfera di riservatezza e, oserei dire, di fragilità della persona umana." Chiedo perdono per l’esposizione rozza: gli studenti pagano le tasse; i PUI mangiano (anche) con quei soldi. Allora perché uno studente deve svolgere lavoro nero? Ad esempio redazione ed editoria elettronica per pubblicazioni, didattiche e non, che alla fine vedranno il nome del PUI sulla prima pagina? E chi resta a rispondere al telefono del Dipartimento in Agosto? Mh, non c’è un tesista? La proposta di pubblicazione delle valutazioni è stata avanzata anche nella recente campagna elettorale studentesca al Politecnico di Milano; si vedrà se le intenzioni dichiarate diventeranno azioni…
Marco Maggi
* Ex studente Politecnico di Milano