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Le elezioni in Francia, Grecia, Italia e Germania hanno messo in evidenza che nell’Europa in crisi gli elettori premiano chi si oppone ai tagli di bilancio. Ma la revisione delle politiche di rigore di bilancio auspicata dalla maggioranza degli elettori incontra un importante vincolo oggettivo: i governi a cui gli elettori oggi chiedono maggiore spesa pubblica sono quelli nei quali la spesa pubblica è salita di più negli ultimi dieci anni. Alle difficoltà di oggi non cè via di uscita alternativa a quella di praticare le riforme con anche maggiore decisione rispetto a quanto fatto in passato.
I vertici UE servono a tranquillizzare i mercati oppure contribuiscono a peggiorare la situazione? Se guardiamo la misura della temperatura della crisi più conosciuta, lo spread tra i titoli decennali del Tesoro greco, italiano, spagnolo e francese con i Bund tedeschi, nessun vertice è riuscito a fermare la corsa al rialzo (nel grafico le barre verticali segnalano le più importanti riunioni del Consiglio europeo o dellEcofin, le riunioni dei ministri delle Finanze). Anzi, per quanto non si possa dedurre dal grafico alcun nesso di causalità, si può notare come nel 2011 alla vigilia dei vertici lo spread tendesse a scendere, segno di aspettative positive sullesito del summit per poi risalire subito dopo, probabilmente per la delusione dei mercati rispetto alle decisioni effettivamente prese. Alcune volte la risalita dello spread è molto rapida, come in seguito ai vertici di giugno e luglio 2011 e soprattutto a quelli del 26 ottobre o del 9 dicembre scorso, entrambi presentati come il momento verità per lUnione, ma conclusi in un nulla (o poco) di fatto. Solo da inizio gennaio 2012 lo spread per Italia, Spagna e Francia ha cominciato lentamente a scendere, contestualmente alla firma del nuovo trattato e (forse soprattutto) allazione della BCE e alla liquidità a basso tasso offerta da questa alle istituzioni bancarie europee (LTRO). Le nuove incertezze di questi giorni, però, rischiano di vanificare anche questo relativo miglioramento.
Il grafico fa parte di un breve saggio sulla comunicazione delle istituzioni europee in tempi di crisi La sauna di Olli. O dellinutilità della propaganda UE pubblicato nel Quaderno Speciale di Limes, intitolato “Media come armi” uscito il 26 aprile.
La campagna elettorale del primo turno ha evitato ogni discussione sui problemi fondamentali che affliggono la Francia. E probabilmente non se ne parlerà neanche in vista del secondo turno. Ma il futuro presidente dovrà affrontarli. Il debito pubblico è insostenibile e va ridotto. Tanto più che la disciplina di bilancio non è un concetto antitetico a quello di crescita. Non va poi contestato il Fiscal compact, ma bisogna portare in Europa idee nuove e forti. Quanto alla questione cruciale della disoccupazione, per risolverla serve una seria riforma del mercato del lavoro.
La sopravvivenza dell’euro è davvero condizionata alla realizzazione di un’unificazione politica, probabilmente prematura? Se l’unione politica stenta, non è detto che spezzare l’unità monetaria accresca il benessere dell’area. I problemi di competitività di alcuni paesi hanno cause che non dipendono dal cambio. Essenziale è invece l’unione della finanza e delle sue regole. E il sistema finanziario europeo dovrebbe essere meno banco-centrico. Mentre servirebbe una procedura comunitaria ufficiale per gestire eventuali ristrutturazioni ordinate dei debiti pubblici.
Mentre i dati congiunturali di fine 2011 e inizio 2012 certificano un peggioramento della congiuntura economica europea, il superindice Ocse suggerisce che le cose andranno meglio nel secondo semestre 2012. Non per tutti allo stesso modo. Per ora le prospettive di miglioramento riguardano Germania e Regno Unito, non Italia, Francia e Spagna. Ma le differenze di prospettive in Europa sono anche una sfida a cogliere le opportunità che la ripresa degli altri presenta anche a chi ancora non vede l’uscita dal tunnel.
Credo che la BCE abbia fatto il massimo per allentare la crisi delleuro. Essa si trova al centro di una situazione oggettivamente conflittuale: ad esempio, per la Germania sarebbe opportuna una rivalutazione delleuro mentre per gli altri paesi (Francia inclusa) una svalutazione aiuterebbe a recuperare competitività. Se la BCE intervenisse acquistando valuta estera, indebolendo così il cambio e creando nuova base monetaria, i rapporti già difficili con la Bundesbank potrebbero diventare incendiari. E difficile poi negare che esistano notevoli rischi per i saldi Target 2. Non si vede come le banche irlandesi o greche (o italiane?) potranno riuscire a rimborsare, tra meno di tre anni, i prestiti ricevuti dalla BCE. In via di diritto eventuali perdite delleurosistema devono essere coperte pro quota da tutte le BCN azioniste della BCE. Tuttavia, nella sostanza, la Bundesbank si trova con un credito di 500 miliardi verso gli altri paesi dellUME e chi può dire cosa succederebbe a questo credito se qualche grosso paese fosse costretto ad uscire dalleuro?
Il largo ricorso alla deposit facility presso la Bce non è segno dell’inerzia delle banche a erogare credito. È il corrispettivo dell’eccesso di liquidità presente nel sistema, l’unico modo per garantire l’equilibrio del bilancio della banca centrale. Il problema non è tanto che la liquidità torni nei forzieri della Bce. Quanto il fatto che, per le particolari dinamiche della crisi finanziaria, alcune banche hanno necessità di chiedere fondi in eccesso alla Bce. E questo eccesso, dopo tutte le transazioni giornaliere sui mercati, finisce sistematicamente presso altre banche.
Gli squilibri nelle bilance dei pagamenti di parte corrente dei paesi europei non sono stati un problema finché i mercati finanziari hanno ritenuto che l’appartenenza stessa all’area euro garantisse la solvibilità degli stati membri. Tutto è cambiato con la crisi finanziaria. Gli interventi della Bce hanno riportato la calma, ma la possibilità di ricorrere all’Eurosistema ora sembra esaurita. Nel lungo termine la sopravvivenza dell’euro dipende dal superamento degli squilibri strutturali e dunque dalla riduzione del divario di competitività accumulato con Germania e Olanda.
Alla Bce sarebbe bastato un annuncio per mettere fine alla crisi del debito sovrano. Quello con cui si impegnava a mantenere lo spread tra i titoli di Stato dell’Eurozona entro un determinato limite. Ma non era una soluzione politicamente praticabile. E perciò Mario Draghi ha optato per le due operazioni di rifinanziamento a lungo termine, che hanno avuto il merito di rimuovere lo spettro di una crisi bancaria di proporzioni enormi. Non potevano però far ripartire l’economia reale. Restano dunque irrisolti molti problemi. E restano le ambiguità della Germania.
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