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Categoria: Infrastrutture e trasporti Pagina 40 di 58

FS RISPONDONO ALL’ARTICOLO DI BOITANI E SCARPA*

Gentile redazione,

lo scorso 15 maggio il Vostro giornale ha pubblicato un intervento sulle Ferrovie dello Stato firmato dai due professori di economia Andrea Boitani e Carlo Scarpa. Il tono di alcune espressioni lascia francamente perplessi ma è solo questione di forma. E’ sul contenuto che è necessario soffermarsi per evidenziare e rettificare una serie d’inesattezze, talvolta anche rilevanti.
Gli autori parlano di una “campagna di comunicazione” di FS in cui si afferma che “le FS oggi non gravano più sulla collettività”: secondo gli autori tutto questo “grida vendetta”, mentre “i costi gravano sui contribuenti”. Diciamo subito che non si è trattato affatto di una campagna pubblicitaria ma di un’informazione diffusa attraverso comunicati stampa e i media istituzionali di gruppo (FS News, la Web-radio, il magazine Riflessi), come di rito in tutte le società in occasione dell’approvazione del bilancio da parte del Consiglio di Amministrazione. Nessuna campagna pubblicitaria, nessun costo.
Il merito. Confermiamo e ribadiamo: con il ritorno al pareggio, FS non pesa più sui bilanci dello Stato come è stato invece in passato a causa delle pesanti perdite di esercizio. Difficile disconoscere i meriti di una società pubblica con i bilanci in attivo grazie alla gestione industriale.
Ricordiamo che solo due anni fa, nel 2006, il Gruppo FS chiudeva i conti con una perdita di oltre due miliardi, i libri contabili di Trenitalia erano in procinto di finire in tribunale. Questo Paese sa quanto pesi il fallimento di una grande azienda nazionale. Non vale la pena di ricordare le esperienze recenti e più antiche, italiane o straniere. Oggi, dopo una cura molto pesante ma priva di traumi sociali, il Gruppo FS è di nuovo in attivo e si è mostrato capace di essere efficiente, fare utili, competere all’estero, guadagnarsi il primato di ferrovia più sicura nel mondo. E’ ingannevole evidenziare questa realtà?
Gli autori sostengono che il risultato si debba ai “contributi pubblici che FS tuttora riceve copiosi”. Non è così. Intanto non di “contributi” si tratta. I 3 miliardi cui si fa riferimento nell’articolo sono per oltre due terzi “corrispettivi”, cioè pagamenti a fronte dei servizi resi da Trenitalia. Lo stesso importo sarebbe stato corrisposto a qualsiasi altro operatore privato, nazionale o straniero, che li avesse prestati al posto di FS.  Sappiano però, i due professori (lo abbiamo comunicato numerose volte, quindi i lettori già ne sono a conoscenza), che i pagamenti che Stato e Regioni versano al Gruppo FS sono di gran lunga inferiori a quanto ricevono le maggiori imprese ferroviarie in Europa. Come riferisce, fra l’altro, una recentissima analisi pubblicata dall’autorevole Studio Ambrosetti.
Poco meno di un terzo si riferisce all’attività prestata da RFI per il mantenimento in efficienza della rete, a vantaggio di tutti gli operatori ferroviari che la usano.
Il bilancio è tornato in attivo grazie all’aumento di oltre il 16% dei ricavi operativi (rispetto al 2006) e, soprattutto, all’azione esercitata sui costi, tagliando gli sprechi e riorganizzando i processi produttivi.
I due professori affermano: chi assicura il contribuente “che il nostro operatore ferroviario operi ai minimi costi possibili” ? Approfondendo un po’ l’indagine e facendo un benchmark europeo (ma non solo), si rileverebbe che FS presenta costi in linea (su certe voci, anche inferiori) con quelli dei nostri maggiori competitor, SCNF (l’operatore francese) e DB (quello tedesco). Quanto poi all’affermazione “FS si sente libera di fare quello che vuole, e nessuno le dice nulla” rassicuriamo i lettori: il CdA viene nominato dal Ministero dell’Economia, ogni decisione importante del management viene condivisa con questo e con il Ministero delle Infrastrutture; una società di revisione certifica ed un collegio sindacale controlla. Per Legge, come si sa, le riunioni del CdA vedono la partecipazione di un magistrato della Corte del Conti, delegato al controllo sulla gestione finanziaria di FS, e le Autorità per la Regolamentazione del Mercato e quella di Vigilanza sui Contratti, come si può facilmente rilevare dai giornali, sono altrettanto attente all’attività dell’azienda.
I due professori definiscono poi le FS “uno staterello nello Stato”. Bizzarra perifrasi per definire una Società per Azioni, con diritti e doveri stabiliti dal codice civile.
Da anni FS – contrariamente a quanto scritto – non riceve conferimenti di capitale ma soltanto contributi in conto impianti per investimenti che l’azionista ritiene indispensabili per lo sviluppo della rete infrastrutturale, così come di altre reti come quella stradale, e come avviene anche all’estero. Quando gli autori dicono che “il costo dell’Alta Velocità è interamente a carico dello Stato”, parlano di un asset, i binari, sui quali, come è noto a tutti, dal 2011 si svilupperà la concorrenza di altre imprese ferroviarie che pagheranno lo stesso pedaggio di Trenitalia. Naturalmente il costo relativo al servizio è invece interamente a carico di Trenitalia e, com’è altrettanto noto, non è a carico dello Stato neppure per un centesimo di Euro. E’ quantomeno curioso non averne trattato nell’articolo.
In un altro passo dell’articolo si accusa “la maggioranza dei parlamentari italiani” di aver garantito a FS “un bel prolungamento dei contratti di servizio regionali”, ed FS di aver “convinto un manipolo di parlamentari italiani di proporre una deroga alle norme che prevedono l’affidamento tramite gara” dei servizi regionali. Se ne conclude che FS “rimarrà di fatto un monopolista per il traffico passeggeri (e anche nelle merci non c’è gran concorrenza)”. I due professori si riferiscono alle novità introdotte da un comma del Decreto Incentivi. Precisiamo intanto che la durata minima dei contratti è di sei e non di dodici anni, come ricordavano in modo errato. E riguardo al trasporto ferroviario regionale, né si chiedono né spiegano perché le gare promosse fino ad oggi dalle Regioni siano andate deserte, e Trenitalia sia rimasta di fatto, l’unico grande operatore (naturalmente ferme restando le altre 22 società ferroviarie regionali). Valeva la pena farsi questa semplice domanda: non sarà forse perché il mercato nasce soltanto laddove ci siano le condizioni per aver un ritorno dagli investimenti ed in presenza di regole certe ed esigibili? A qualunque imprenditore la risposta. Certo viene da domandarsi, alla luce di tali considerazioni, quale sia il giudizio dei due professori sulle Regioni che hanno già firmato in nuovi contratti di servizio trovandoli, al contrario, assai vantaggiosi in termini di nuovi investimenti in treni e in conseguente qualità del servizio. Però sarebbe un inutile esercizio speculativo, noi ci limitiamo a dire che le novità introdotte dal Decreto Incentivi sono ispirate a quanto richiesto dalla Corte dei Conti lo scorso anno nella sua Relazione (“..richiedere certezza e rispetto degli impegni nei rapporti tra Stato e Gruppo FS, soprattutto quanto a entità, tempi, modalità e garanzie di erogazione dei trasferimenti contrattualmente dovuti, cui è inevitabile si provveda con puntualità e senza deroghe non concordate”, ndr Relazione sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria di Ferrovie dello Stato S.p.A. per gli esercizi 2005-2006). Grazie a queste novità le Regioni continueranno – al contrario di quanto denunciato dagli autori – ad essere libere di indire gare ma finalmente avranno la ragionevole speranza di vedervi anche partecipare qualcun altro oltre le FS. Perché adesso tutte le imprese, private e pubbliche, nazionali ed estere che siano, avranno un quadro certo e sufficientemente stabile su cui incentrare il proprio rischio imprenditoriale e, come recita il Decreto, effettuare un’ “efficace pianificazione del servizio, degli investimenti e del personale”. Lo testimonia la stipula dei recenti contratti e gli accordi con alcune regioni, cui stanno per seguirne altre.
Le FS sostengono il processo di liberalizzazione, perché laddove c’è l’interesse del mercato significa che c’è la possibilità del ritorno dagli investimenti e l’opportunità di far profitti. Le FS oggi puntano anche a questo, a tutto vantaggio dell’azienda, che è patrimonio del Paese, e di un servizio sempre migliore ai clienti.
Per le merci, poi, quello italiano è addirittura uno dei mercati ferroviari più liberalizzati in Europa. Laddove il mercato è in grado di esprimere profitti, cioè in Val Padana e su alcuni valichi, operatori privati e imprese estere detengono già oggi oltre il 30%. Stupisce un po’ non leggere una riga su questo aspetto e sul fatto che sotto la Val Padana, proprio per l’assenza di profittabilità, non esiste nessuna azienda a capitale privato di trasporto ferroviario merci.
In un altro passaggio i due professori accusano FS di prendere “per i fondelli la gente” perché “sbandiera i suoi biglietti low cost”, dopo aver fatto “esplodere i prezzi anche degli Eurostar”. Non capiamo bene a cosa i due professori si riferiscano: d’altra parte i prezzi dei servizi a mercato sono rimasti congelati dal 2001 al 2007, e hanno conosciuto un adeguamento solo negli ultimi due anni pur restando ancora molto al di sotto della media europea. Ci domandiamo: come potrebbero essere definiti le centinaia di migliaia di posti offerti a 33 euro per viaggiare tra Roma e Milano in 3 ore e mezza e di 35 euro tra Napoli e Milano? Non ci pare ingannevole definirlo un servizio “low cost”. Da quando è stata lanciata l’Alta Velocità i viaggiatori del segmento di gamma alta sono aumentati del 40%. Sono dati che rispondono da soli sull’apprezzamento dei nostri clienti.
L’articolo si chiude con una considerazione: “Care FS non avete davanti alcune regole chiare, …un sistema politico degno di questo nome e quindi fate quello che volete”. Quanto alle regole è quello che da tempo stiamo insistentemente chiedendo, anche pubblicamente. Sulle valutazioni dei due professori in merito alla  dignità sistema politico ovviamente non entriamo nel merito. Quanto al “fate quello che volete” è opportuno dire questo: FS vuole fortemente corrispondere alle attese dell’azionista e dei clienti, e i recenti innegabili risultati positivi vanno esattamente in questa direzione. Si tratta di successi, come quello dell’Alta velocità, riconosciuti anche a livello internazionale, e che hanno visto l’impegno di tutti i ferrovieri ma anche delle imprese italiane coinvolte.
Risalta il fatto che nell’articolo di tutto questo non ci sia traccia.
Lasciamo comunque che siano i nostri legali ad intraprendere ogni azione a tutela dell’immagine del Gruppo FS.

Vive cordialità

* Federico Fabretti
(Direttore Centrale Relazioni con i Media di Ferrovie dello Stato

LA REPLICA DI BOITANI E SCARPA A FS

Federico Fabretti ha deciso di inviare a lavoce.info la sua lunghissima replica a un breve articolo pubblicato quasi un mese fa. La stessa prolissa missiva era stata inviata anche a Finanza & Mercati (3 giugno), che il 19 maggio aveva ripreso l’articolo che tanto dispiace a Fabretti. Qui di seguito, i lettori potranno trovare la nostra risposta, già pubblicata su Finanza & Mercati del 5 giugno.
Omettiamo di rispondere “a tono” e con la stessa estensione per non annoiare i suoi lettori. Ci limitiamo a osservare che, poiché il presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del mercato, Catricalà (1), dice sostanzialmente quanto diciamo noi – anche se in modo assai più articolato, data la natura del documento della Autorità – immaginiamo ci troveremo querelati al suo fianco.
I dettagli si possono trovare nel documento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, disponibili sul sito della stessa Autorità. In realtà, su certe cose l’Antitrust è stata assai più pesante di noi, anche perché il nostro intento non era certo di scrivere un atto di accusa complessivo a FS, ma di lamentarne alcuni specifici aspetti della comunicazione. Comunicazione che – detto per inciso – abbiamo letto su una intera pagina dedicata su un noto foglio della free press nazionale, che a quanto ci consta vive dei contributi dei suoi inserzionisti; a noi non pare che questi quotidiani siano da annoverare tra i “i media istituzionali” del gruppo FS.
Sulle gare, l’Autorità antitrust dice che il provvedimento da noi stessi richiamato finisce per “sottrarre ad ogni confronto concorrenziale il settore, ben oltre la data limite del 31 dicembre 2010 prevista dalla riforma dei servizi pubblici locali, di fatto almeno fino al 2015 – se non al 2021”, che è esattamente quanto dicevamo noi. Le ragioni per le quali finora le gare sono state poco efficaci sono ampiamente spiegate nello stesso documento, nel quale si chiede poi che venga riveduta la recente normativa approvata dal Senato e ora in discussione alla Camera, perché minaccia di rendere di fatto impossibile l’adozione delle gare da parte delle regioni. Strano che FS – a suo dire tanto impegnata a favore del processo di liberalizzazione ferroviaria – non si lamenti pubblicamente per norme che, secondo l’antitrust, minacciano seriamente di far scomparire la già pallida concorrenza nel settore.
Quanto al denaro pubblico versato a FS, ci limitiamo a sottolineare come il documento dell’Antitrust lamenti che questo denaro pubblico viene pagato a FS a fronte di servizi mal (o mai) definiti, tanto che non si escludono sussidi incrociati (“il riconoscimento di corrispettivi a fronte di una mancata individuazione del confine fra l’ambito di mercato e quello del servizio universale … non esclude in linea di principio che Trenitalia possa trascinare parte dei sussidi a suo vantaggio nel mercato concorrenziale”). Allora, paghiamo questi soldi a FS come “contributi” o come “corrispettivi”? Come si vede, anche secondo l’antitrust il confine è assai labile. E comunque si tratta sempre di denaro pubblico che viene dato a FS, e dubitiamo che ai contribuenti italiani faccia una gran differenza che li si chiami “contributi” o che li si chiami “corrispettivi”. Tanto più che, in assenza di meccanismi competitivi di affidamento, nessuno sa se quei “corrispettivi” siano i minimi possibili, dato il servizio prestato. Allo stesso modo, la distinzione tra conferimenti di capitale e contributi in conto impianti (tanto cara al nostro interlocutore) è interessante dal punto di vista contabile (con evidenti riflessi sugli ammortamenti) ma poco cambia: è altro denaro pubblico che fluisce nelle casse di FS.
La cosa che veramente fatichiamo a capire è per quale ragione gli esponenti di FS si adombrino se qualcuno lo rileva. Non è colpa di FS se lo Stato e le regioni decidono di porre a carico dei contribuenti una parte del costo del servizio. È una decisione politica, non è di FS, e – detto per inciso – ci pare anche una decisione opportuna, che difendiamo. E che difenderemmo ancora di più se i soldi venissero dati, in modo trasparente, a chi ha vinto una gara realmente competitiva. Ma perché scrivere che FS non grava più sui contribuenti, se così non è?
Infine, sempre il documento dell’Autorità antitrust sottolinea ripetutamente come FS operi in un campo in cui le regole non sono bene definite, in cui non si capisce quale sia l’ambito del mercato e quello del servizio universale, e che – nelle more di tale definizione – tenga comportamenti che l’Autorità antitrust teme interferiscano con la concorrenza, danneggino i consumatori, coprano inefficienze. Ovvero, ci dice l’antitrust, abbiamo un pezzo dell’amministrazione pubblica (organizzato in forma di SpA controllata dallo Stato al 100%, e quindi da considerarsi un pezzo dell’amministrazione pubblica ai sensi di diverse Direttive Comunitarie) che opera senza chiare regole e senza che si sappia dove e se i soldi pubblici finanziano attività di servizio pubblico o attività “in concorrenza”. Difficile pensare a una definizione migliore di “Stato nello Stato”…
Il fatto che poi l’Autorità antitrust esprima anche timori che il comportamento di FS in realtà danneggi in vari modi la collettività aggiunge solo ulteriori preoccupazioni. Alla quale speriamo che FS vorrà rispondere con i fatti.
Per conto nostro, poiché FS è una impresa al 100% dello Stato e che gestisce miliardi di denaro pubblico, crediamo di avere il diritto, ma anche il dovere, di continuare a pretendere comportamenti e comunicazioni al pubblico che siano rispettose del denaro che i cittadini mettono in questa impresa.

(1) Segnalazione AS528 del 1 giugno 2009

 

ITALIA A TUTTO GAS

Il gas naturale è diventato in questi anni la fonte di energia di riferimento in Italia. Il balzo dei consumi è stato molto elevato, con un tasso medio di crescita di oltre il 4 per cento. Ancora oggi, nonostante la crisi e la sbandierata volontà di virare sul nucleare, esistono diversi progetti d’investimento che riguardano il metano. E’ dunque arrivato il momento di ragionare sul futuro dell’approvvigionamento di energia nel nostro paese, per impostare una politica energetica e industriale che decida davvero quali fonti sono prioritarie.

UN TRENO CARICO DI SUSSIDI

La socialità dei servizi di trasporto è una scelta politica. E infatti molti paesi non li sussidiano. L’Italia invece ha tariffe molto basse e servizi capillari. Anche per i treni. Ma il concetto di servizio ferroviario universale è tecnicamente privo di senso. Per essere giustificato, ha bisogno di flussi di domanda molto consistenti, presenti nelle aree e sulle relazioni dense, ma non in quelle periferiche. Tuttavia, a nessuno interessa verificarne la socialità, nonostante che alle sole ferrovie regionali vadano 1.500 milioni di euro di risorse pubbliche.

FS: QUI L’INFORMAZIONE DERAGLIA

La campagna di comunicazione di Fs racconta che oggi le “Ferrovie dello Stato oggi non gravano più sulla collettività”. La verità è che Fs resta l’ultimo monopolista non regolato. Dal 2000 in media ha ricevuto in conto corrente circa 3 miliardi di euro all’anno da Stato e Regioni. Oltre naturalmente ai contributi in conto capitale per la realizzazione della rete ad alta velocità. Quanto ai biglietti low cost, si tratta di una vera presa in giro. L’aumento dei prezzi non serve a coprire costi che sono comunque dello Stato. Serve solo a far quadrare un bilancio.

UN ANNO DI GOVERNO: INFRASTRUTTURE

 

I PROVVEDIMENTI

Con il decreto del luglio 2008 dedicato alla prima manovra economico finanziaria, il nuovo governo ha resuscitato le concessioni ai general contractors per le tratte non ancora avviate dell’alta velocità ferroviaria: Milano-Genova, Milano-Verona e Verona-Padova. Le concessioni, affidate a suo tempo senza alcuna procedura competitiva, erano state già revocate dai governi di centrosinistra nella XIII e XV legislatura e riportate alla luce dal centrodestra nella XIV legislatura.
In uno dei primissimi provvedimenti approvati dal governo (il Dl 59/2008) è stata inserita una disposizione che rinnova automaticamente e senza gare le convenzioni tra Anas e le concessionarie autostradali. In autunno, il ministro Tremonti ha avuto parole dure nei confronti dei concessionari autostradali, rei di non aver eseguito gli investimenti nei tempi previsti e aver nel frattempo intascato pedaggi giustificati proprio con la necessità di finanziare quegli investimenti. Da tanta severità è però emerso solo un rinvio degli aumenti tariffari in programma (ormai scattati) e una forma semplificata per gli adeguamenti tariffari futuri, con una nuova regola valida per 10 anni, e non più 5, che stravolge sostanzialmente il metodo del price cap. Tanto, per come lo si era applicato per i 10 anni precedenti…
Il cosiddetto “Collegato infrastrutture” al Dpef, sempre del luglio 2008, metteva bene in chiaro che il nuovo governo avrebbe puntato molto, almeno a parole, sulle grandi opere infrastrutturali. Viene rilanciato alla grande il ponte sullo Stretto di Messina. Altrettanto bene chiariva come del faraonico elenco di opere inserite nella Legge obiettivo del 2003 si era realizzato relativamente poco. Ma soprattutto si ammetteva come molte delle opere non avessero ancora trovato finanziamento, come il coinvolgimento dei privati fosse rimasto molto al di sotto di quanto a suo tempo sperato e come quindi assai più consistente avrebbe dovuto essere l’esborso di denaro pubblico in futuro. Al tempo stesso, si prevedeva un’ulteriore riduzione delle risorse destinate a investimenti pubblici (-11,5 per cento), al fine di risanare la finanza pubblica.
Il Dl 152 dell’11 settembre 2008 corregge, per la terza volta, il Codice dei contratti pubblici dando nuovo rilievo, per il project financing, alla gara “bifasica” con diritto di prelazione. Essa prevede che, nella prima fase, si competa sulla qualità del progetto e nella seconda sul prezzo. Il progetto del “promotore” che si è aggiudicato la prima fase viene posto a gara nella seconda, in cui, tuttavia il promotore stesso gode di un diritto di prelazione che gli attribuisce uno straordinario vantaggio e quindi può scoraggiare la partecipazione alla seconda fase della gara. Dato che è nella seconda fase che si fa il prezzo sarebbe proprio qui che si vorrebbe una partecipazione ampia e, dunque, una concorrenza accanita.
Con l’inasprirsi della crisi economica, alle grandi opere vengono attribuite taumaturgiche virtù anticongiunturali e si annuncia un massiccio finanziamento. Il primo “rifinanziamento” della Legge obiettivo, con il decreto anticrisi, è però modesto: 2,3 miliardi. Il 6 marzo 2009, finalmente, il Cipe stanzia altri fondi, peraltro ancora una volta in misura cospicua prelevati dal Fondo aree sottoutilizzate (Fas). Tale fondo ha un vincolo di destinazione: l’85 per cento al Sud e il 15 per cento al Centro-Nord. In gran parte sono fondi necessari a completare opere già cantierate da tempo e sulla via di battere nuovi record in materia di lentezza della realizzazione. 1,3 miliardi sono destinati al ponte sullo Stretto, mentre si ammette che l’opera non potrà essere avviata prima di 12-18 mesi. Le risorse destinate all’edilizia scolastica – che negli ultimi anni non solo ha mostrato le crepe ma ha fatto dei morti – sono briciole.

GLI EFFETTI

Non è semplice valutare gli effetti macroeconomici immediati delle misure adottate. È certo però che gli annunci, da soli, hanno scarsi effetti e i fondi “freschi” stanziati, e non semplicemente spostati da qualche altra destinazione, sono di dimensione assai ridotta. Sul piano metodologico, va rilevato che, ancora una volta, il Cipe, per approvare un maggior numero di progetti, ricorre allo stratagemma del “finanziamento parziale”, che permette forse di aprire più cantieri, ma non di completare le opere fino alla loro piena funzionalità. Come ha rilevato la Corte dei conti nel 2007, questa abitudine ha spinto alla frammentazione di progetti per lotti, spesso assai poco “funzionali”, al fine di massimizzare la probabilità di ottenere fondi dal Cipe, pregiudicando però la programmazione generale e finendo per accrescere i costi delle opere complessive, oltre che per allungarne i tempi di realizzazione.
Il governo ha inserito all’articolo 20 del decreto anticrisi norme per velocizzare le procedure esecutive dei progetti del quadro strategico nazionale e per modificare il relativo regime di contenzioso amministrativo. Non è ancora dato di sapere se tali misure abbiano già avuto qualche effetto positivo e, naturalmente, se l’avranno in futuro. Resta tuttavia il dubbio che tale “velocizzazione” non riesca a incidere sui lunghissimi tempi per la progettazione, le conferenze dei servizi, ecc. che caratterizzano la gestazione delle grandi opere italiane.
Il giudizio sul ripristino dei vecchi contratti per l’alta velocità lo affidiamo alle parole pronunciate da Mauro Moretti, amministratore delegato di Fs, nel corso di un’audizione al Senato della Repubblica, in cui cercava di spiegare il fatto che un chilometro di Av in Italia costa circa il triplo che in Francia. “I contratti sottoscritti in Italia per la realizzazione della direttrice To-Mi-Na fanno riferimento alla convenzione Tav-Gc del 1991, che prevede la negoziazione diretta tra committente e general contractor nell’ambito di un affidamento sostanzialmente già effettuato. In tale caso, la congruità del prezzo che viene esperita prima dell’affidamento dal soggetto tecnico che supporta la committenza deve necessariamente tenere conto, oltre che dei costi di costruzione diretti, anche degli oneri organizzativi e finanziari, degli attrezzaggi e delle prestazioni previsti dall’affidatario in termini ed entità difficilmente contestabili. In un affidamento mediante gara, invece,  tali oneri incidono generalmente di meno, poiché gli stessi concorrenti, per poter aggiudicarsi l’affidamento,operano nel proprio ambito imprenditoriale specifiche ottimizzazioni organizzative e gestionali, tenendo conto di capacità, risorse, attrezzature già di loro proprietà, sinergie operative ed economiche realizzabili nell’esecuzione delle opere. Il ricorso ad una gara ad evidenza  pubblica avrebbe sicuramente comportato una riduzione dell’ordine del 14 ÷ 20 per cento”.
Infine, dai provvedimenti presi, la concorrenza non emerge come una delle principali preoccupazioni dell’esecutivo e anzi sembra essere vista, col plauso del quotidiano della Confindustria, come un ostacolo al “fare”. Chi cerca di difenderla è additato come un paladino del “non fare”. Eppure è ampiamente riconosciuto che la concorrenza costituisce un potente antidoto alla corruzione, che è notoriamente molto diffusa, e non solo in Italia, proprio nel settore dei lavori pubblici: l’evidenza empirica sul punto è ampia e univoca. Ed è altrettanto noto che la corruzione è non solo nemica del fare, ma anche nemica del fare bene e a costi ragionevoli..

UN ANNO DI GOVERNO: EDILIZIA ABITATIVA

 

I PROVVEDIMENTI

In questo suo primo anno di vita, non solo l’azione del governo nel settore dell’edilizia abitativa non ha permesso la posa di una sola prima pietra per la costruzione di una qualche nuova casa, ma il timbro tondo con la scritta “fatto”, che Berlusconi si procurò all’epoca del suo primo governo, non è stato neanche apposto su un qualche programma cartaceo. Di idee e di propositi ne sono stati annunciati e illustrati diversi e sono state poste anche le basi normative per la successiva predisposizione di piani e programmi. Di definitivo, però, è stato prodotto poco e niente è ancora giunto a una fase della procedura che faccia intravedere un avvio operativo di attività. I propositi del governo sono tutti all’insegna dell’urgenza di alimentare la domanda di lavoro, di merci e di servizi nel settore dell’edilizia abitativa, considerata un volano, per i suoi elevati effetti moltiplicativi, per uscire dalla crisi.
Volendo sintetizzare l’azione svolta dal governo in materia di politica per la casa, si può dire che, finora, non solo non si è fatto ma si è disfatto o si è tentato di disfare.
Da giungo dell’anno scorso il governo ha annunciato ben quattro iniziative nel settore dell’edilizia residenziale, tutte etichettate come piani casa, anche se la loro finalità non è l’aumento dell’offerta di alloggi per le famiglie più deboli, l’obiettivo dei piani del passato.
Il piano casa “padre” è quello proposto con l’articolo 11 del decreto legge 118 del 25 giugno 2008, con lo scopo di “incrementare il patrimonio immobiliare ad uso abitativo (…) promuovendo edilizia residenziale anche sociale”. Non è stato scelto un buon momento per accrescere l’offerta di alloggi di edilizia libera. Per ora, il piano è alla ricerca di finanziamenti: per raccogliere i pochi che sono stati finora messi a disposizione non si è trovato di meglio che annullare un programma di edilizia residenziale pubblica di immediata fattibilità, già finanziato con circa 550 milioni di euro dal precedente governo. Ora è in attesa dell’emanazione di un decreto del presidente del Consiglio dei ministri che lo deve rendere operativo, e della pronuncia della Corte Costituzionale, alla quale molte Regioni si sono rivolte, ritenendo le norme lesive della loro potestà legislativa in materia di edilizia residenziale pubblica.
Dal giudizio della Corte dipende anche la sorte del piano casa numero due, quello che in applicazione dell’articolo 13 dello stesso decreto legge 118/2008, darebbe il via alla svendita del patrimonio delle cosiddette case popolari, la cui proprietà, peraltro, è delle Regioni e dei comuni. Sulla pronuncia dei giudici costituzionali non ci sono dubbi: le nuove norme sono le stesse di quelle già bocciate due legislature fa, quando il presidente del Consiglio era lo stesso di oggi. Anche sui ricavi dell’alienazione di questo patrimonio si faceva affidamento per finanziarie il “piano padre”.

GLI EFFETTI

Gli ultimi due progetti, partoriti questa primavera, ancora meno degli altri possono essere etichettati come piani casa. Si tratta, di fatto, di due corpi di provvedimenti con i quali si spera di stimolare un flusso di investimenti privati nel settore dell’edilizia, residenziale e non, e contrastare così la drammatica congiuntura economica.
Sulla proposta di legiferare a livello statale sugli incrementi di volumetrie (tra il 20 e il 35 per cento) degli immobili esistenti, il governo ha dovuto arretrare e rinviare alle leggi che ogni Regione approverà in autonomia. Poiché a seguito di un accordo tra le Regioni ed il governo, sottoscritto nei primi giorni di aprile, quest’ultimo si è riservato l’esercizio di un potere sostitutivo nel caso di Regioni inadempienti, è molto probabile che entro i primi di luglio la materia sarà regolamentata da norme regionali. Sull’impatto economico delle volumetrie premiali la valutazione è complessa.
Quell’accordo prevedeva che entro dieci giorni dalla data della sua sottoscrizione, il governo avrebbe dovuto emanare un decreto legge per snellire e rendere più celere le procedure amministrative in materia di attività edilizia, con un ampliamento della lista degli interventi costruttivi per la cui realizzazione non sarà più richiesto un titolo abilitativo. Da allora di giorni ne sono passati circa quaranta, del decreto legge sono circolate le bozze di diverse versioni, ma finora nessuna è stata approvata dal Consiglio dei ministri.

I DUBBI RISPARMI DELLO SPOSTAMENTO DEL G8

La scorsa settimana il Governo ha deciso di spostare la sede del G8 di giugno dall’isola della Maddalena all’Aquila. Il Presidente del Consiglio ha motivato la sua scelta con il fatto che il trasferimento “permetterà di risparmiare soldi, che potranno essere usati per la ricostruzione” delle aree terremotate. Tale spiegazione desta qualche perplessità. Abbiamo chiesto i dati sui costi del G8 alla protezione civile, ma dopo ripetute insistenze abbiamo ricevuto soltanto le due tabelle allegate.  Speriamo che nei prossimi giorni vogliano darci informazioni adeguate per una valutazione dei costi della riunione e del suo spostamento a l’Aquila. Per il momento è comunque possibile svolgere le seguenti considerazioni. Ipotizziamo, per assurdo, che fino ad oggi in Sardegna non sia ancora stato speso un euro. Perché la scelta dell’Aquila dovrebbe consentire risparmi di risorse? Nel capoluogo abruzzese ci sono esigenze edilizie e/o logistiche più limitate rispetto alla Sardegna? Ma, va da sé, mancando meno di due mesi all’evento, una parte significativa dei lavori previsti in Sardegna è già stata avviata. Berlusconi ha assicurato che tutte le opere in cantiere saranno concluse. Quindi, perché vi siano dei risparmi, è necessario che all’Aquila si spenda meno della differenza fra quanto previsto inizialmente per la Maddalena e l’ammontare delle risorse da destinare alle opere già in fase di realizzazione. Ipotizzando, prudenzialmente, che sia in corso di esecuzione il 40% degli interventi previsti, rimarrebbe a disposizione il restante 60%. Poiché, come si può evincere anche dalle disposizioni contenute nel decreto approvato dal Governo il 23 aprile, i lavori che saranno effettuati in Abruzzo comporteranno un maggiore esborso a causa dell’urgenza, e supponendo di utilizzare tutte le risorse stanziate per la Sardegna, si potranno realizzare meno della metà delle opere inizialmente previste. Ma perché vi possano essere degli effettivi risparmi, gli interventi che verranno attuati dovranno essere ancor più essenziali. Quindi, delle due l’una: o i risparmi non ci saranno oppure la cifra inizialmente stanziata era in buona parte ingiustificata. Si può da ultimo sottolineare che, se l’obiettivo principale era quello del contenimento dei costi, la strategia più efficace sarebbe stata quella di tagliare una parte delle opere superflue previste in Sardegna e non ancora completate. Quella dei risparmi è forse una motivazione di copertura per altre, più sostanziose, questioni: per esempio ragioni di sicurezza che il Governo non vuol lasciar trapelare? O semplice desiderio di spettacolarizzare ancora di più il dramma dell’Abruzzo?

COME ASSICURARSI DALLE CALAMITA’ NATURALI

Si torna a parlare di un’assicurazione obbligatoria contro i danni provocati dalle calamità naturali. Si avrebbe così una distribuzione uniforme del costo dei rischi. Le tecniche assicurative consentirebbero una stima equa dei danni e dei risarcimenti. I danni privati verrebbero coperti da un’industria privata, lasciando all’intervento dello Stato le spese di primo soccorso e di ripristino dei luoghi pubblici. Le compagnie di assicurazione punterebbero a ridurre i risarcimenti futuri attraverso un’opera di monitoraggio e di incentivo all’applicazione di misure preventive.

PIANO CON LA CASA

Governo e Regioni hanno raggiunto l’accordo sul Piano casa. L’impianto normativo è cambiato rispetto alla prima stesura e le Regioni mantengono autonomia in materia. Nel frattempo, anche il tragico terremoto dell’Abruzzo ha indotto qualche ripensamento. Ed è stato aggiunto l’obbligo per il progettista di verificare il rispetto della normativa antisismica in caso di ampliamenti. Resta difficile stabilire l’impatto economico del piano perché non si è ancora in grado di stimare il numero di edifici residenziali a cui si potrà applicare l’incremento di volumetria.

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