Lavoce.info

Categoria: Stato e istituzioni Pagina 76 di 89

IL FEDERALISMO COSTA SOLO SE FALLISCE

Il federalismo fiscale promette un risparmio, non maggiori spese. Perché il riferimento al costo standard elimina le inefficienze insite nella spesa storica. Il risparmio atteso sarà comunque quantificabile solo quando i decreti legislativi preciseranno le norme operative. Si trasformerà in costo solo in caso di fallimento della riforma e quindi di duplicazioni di funzioni e burocrazie o di irresponsabili sanatorie, come purtroppo già successo in passato. Il quesito di oggi riguarda quindi non le cifre, ma la probabilità di successo o di fallimento del progetto.

POTERI SULLA BILANCIA

La Costituzione consente al Governo di adottare provvedimenti provvisori con forza di legge in casi straordinari di necessità e urgenza. Affida al Capo dello Stato un potere di controllo e di veto sospensivo, al Parlamento la decisione definitiva e alla Corte costituzionale il compito di sindacarne la costituzionalità, dopo la conversione in legge. Il sistema è ispirato a equilibrio e saggezza e non sembra esserci l’esigenza di ripensarlo. Semmai si potrebbe prevedere una ulteriore limitazione del potere di decretazione: la prassi ha mostrato più tendenze all’abuso che limiti eccessivi al suo impiego.

QUESTO FEDERALISMO NON HA I NUMERI

In un immaginario dialogo, un discepolo ingenuo pone al suo illuminato Maestro alcune domande all’indomani dell’approvazione in Italia di una importante legge delega. Si scopre così che il federalismo fiscale è un elettrone, che aspetta di essere osservato. E per questo, il grande sacerdote si rifiuta di dare i numeri. Mentre le vie dell’opposizione sono imperscrutabili come le stelle. Ma la grande riforma risponde perfettamente alle esigenze della comunicazione politica.

ELEZIONI EUROPEE: QUI NON C’E’ CONCORRENZA

Con l’avvicinarsi delle elezioni europee, torna d’attualità la discussione sulla legge elettorale. Si parla di correggere la legge in vigore con l’introduzione di una soglia di sbarramento e di liste bloccate. Quest’ultimo è un meccanismo che ha effetti perversi nella selezione dei candidati e impedisce ogni forma di concorrenza all’interno dei partiti. Le primarie sono un buon punto di partenza, ma non la panacea. Occorre anche ridurre al minimo le barriere d¹entrata e concentrare i dibattiti interni sui contenuti. Ed evitare che il Parlamento europeo non diventi una via di fuga per gli amministratori locali che hanno operato male.

UN FEDERALISMO DA AVVIARE SUBITO

Il rinvio di tutte le misure sul federalismo fiscale all’approvazione dei decreti legislativi, tra circa tre anni, rischia di fare il gioco degli antifederalisti. Possono così continuare tranquilli ad accumulare squilibri e inefficienze, che indeboliscono la capacità effettiva di cambiare rotta e richiederanno comunque soluzioni transitorie ancora più lunghe e costose. Perché invece non avviare subito la politica premiale per le unioni e fusioni di comuni prevista nel Ddl? E perché non decidere subito le sanzioni per gli amministratori che non rispettano i vincoli di bilancio?

EQUIVOCI DA COSTI STANDARD

Il Ddl sul federalismo fiscale si presta a molti equivoci nella definizione dei costi standard. Non è sempre vero che chi spende meno in sanità è più efficiente. Bisogna calcolare i fabbisogni di salute, diversi da Regione a Regione. Una soluzione sta in una formula composta da due parti: la prima che riflette i bisogni oggettivi di salute. E la seconda che assegna le risorse secondo un costo standard per malattia. Quindici patologie sono responsabili dell’80 per cento della spesa.

FEDERALISMO E CONCORRENZA FISCALE

La proposta di introdurre forme di fiscalità di vantaggio a favore delle Regioni meridionali gioca un ruolo rilevante nel disegno di legge Calderoli sul federalismo fiscale. Ma l’Unione Europea accetta simili ipotesi solo a condizione che non ci sia compensazione delle perdite di gettito da parte del governo centrale. E’ dunque possibile immaginare uno scenario in cui le Regioni del Sud decidano di abbassare le aliquote dei tributi loro assegnati con l’obiettivo di attrarre investimenti dall’esterno. Si tratterebbe però di concorrenza fiscale.

I GIOVANI E LA LEZIONE AMERICANA*

Le elezioni americane hanno premiato la forza e il coraggio del cambiamento, due qualità che scarseggiano nel nostro Paese. Le spinte maggiori verso il cambiamento arrivano dalle nuove generazioni. Non per nulla Walter Benjamin definì la gioventù, per la sua naturale tensione innovatrice, come il “centro in cui nasce il nuovo”. Il giovane non ha interessi costituiti che lo vincolano a seguire una direzione piuttosto che un’altra e può dunque più facilmente orientare la propria sensibilità verso i nuovi problemi della comunità. Quando, in particolare, nasce l’esigenza di cambiare, il maggior sostegno proviene generalmente proprio dalle nuove generazioni.
Non può quindi meravigliare il fatto che due giovani americani su tre abbiano votato per Obama, come risulta dai dati degli exit pool riportati con ampia evidenza sui giornali d’oltreoceano. La preferenza nei suoi confronti diventa ancor più forte al diminuire dell’età, fino a superare il 70% tra chi ha votato per la prima volta. Una bella spinta quella data dalle nuove generazioni per il successo del candidato democratico nato negli anni sessanta, anche perché negli States i giovani hanno un peso consistente. Gli americani sotto la soglia dei 35 anni costituiscono il 47% della popolazione, mentre sono appena il 38% in Italia. Secondo le previsioni dell’U.S. Census Bureau da qui al 2020 tale quota rimarrà sostanzialmente stabile negli USA, mentre scenderà a poco più di uno su tre nel nostro Paese (immigrati compresi). Il peso degli under 35 sul totale dell’elettorato è di oltre il 30% negli States mentre arriva a malapena al 25% in Italia ed è destinato ulteriormente a scendere al 21,5% (www.demo.istat.it).
Questi dati non significano certo che "we can’t change", suggeriscono però che da noi il cambiamento è destinato ad avere vita più dura, data la minor consistenza demografica delle forze che per propria natura sono più aperte al nuovo. La forza (nei numeri) più ridotta richiederebbe allora d’essere compensata da un maggior coraggio. Meno difesa delle posizioni raggiunte da parte delle vecchie generazioni, meno cooptazione, più disponibilità a confrontarsi e ad essere messi in discussione. Ma richiede più coraggio anche da parte delle nuove generazioni nel guadagnare il proprio spazio. Obama è arrivato dal nulla e ha scalato i vertici della politica americana metro dopo metro, senza timori reverenziali verso nessuno. I Clinton e i Bush, le caste che hanno gestito il potere dalla caduta del muro di Berlino ad oggi, alla fine hanno dovuto farsi da parte.
La vittoria di Obama insegna che nulla è impossibile in America. In Italia, invece, tutto è più difficile. Certo, aiuterebbe togliere del tutto gli assurdi limiti anagrafici di accesso al Parlamento. Abbassare l’età del voto a 16 anni, quantomeno per le amministrative, sarebbe poi un segnale importante, che consentirebbe di contenere l’ulteriore perdita di peso delle nuove generazioni nei prossimi anni. L’effervescenza di questo ultimo mese nei Licei e nelle Università smentisce, del resto, chi considerava i giovani italiani apatici, poco interessati alla politica e al loro futuro. Aiutiamoli a contare di più, diamo qualche speranza in più al cambiamento anche da questa parte dell’Oceano.

(*) L’articolo è presente anche su www.neodemos.it

MA REGIONI E COMUNI NON SONO LA STESSA COSA

Uno dei punti più controversi del disegno di legge sul federalismo fiscale è certamente quello del sistema di finanziamento e perequazione dei comuni e dei suoi rapporti con lo Stato e le Regioni. Il progetto impernia la finanza comunale su funzioni fondamentali e non, sul modello di quanto previsto per le Regioni. Ma è un parallelismo poco convincente. Una parte degli interventi dei comuni non ha un valore equitativo così rilevante da farli necessariamente ricadere tra le materie tutelate dai livelli essenziali delle prestazioni.

QUALE LEGGE PER LE EUROPEE

La legge elettorale per il parlamento europeo dovrebbe garantire una rappresentanza universale e al contempo efficace in una complessa dinamica politica in cui si incrociano la dimensione di appartenenza partitica con quella nazionale. L’attuale sistema italiano assicura il massimo della universalità nella scelta, ma in termini di efficacia lascia a desiderare. Va dunque rivisto. La lista bloccata, abbinata a collegi su base regionale, è stata adottata da molti paesi. Potrebbe funzionare anche da noi, se accompagnata da un adeguato meccanismo di selezione dei candidati.

Pagina 76 di 89

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén