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Variante italiana per la ricetta Zapatero

Come importare il meglio dell’accordo concluso in Spagna tra governo e parti sociali sulla lotta alla precarietà? Si può fare attraverso una strategia di riforma in due mosse, che prima sfoltisca la selva di contratti atipici e individui due sole tipologie di lavoro temporaneo. E poi incentivi la conversione dei contratti temporanei in contratti a tempo indeterminato con costi di licenziamento ridotti. Ma che preveda anche quello che gli spagnoli hanno “dimenticato”: il monitoraggio degli strumenti adottati e l’estensione degli ammortizzatori sociali ai lavoratori flessibili.

Elogio postumo dei co.co.co

Apparsi verso la metà degli anni Novanta, i co.co.co sono il prodotto di un progressivo adattamento alle normative esistenti e hanno risposto relativamente bene alle esigenze sia delle imprese che dei lavoratori. Hanno sopperito ai bisogni di flessibilità in entrata e in uscita del mercato del lavoro. Gli abusi della formula hanno interessato più la pubblica amministrazione che il settore privato. Non era necessario, quindi, farli scomparire. Anche perché le collaborazioni a progetto, previste dalla Legge Biagi, sono meno flessibili e più a rischio di contestazione.

Un uovo di Colombo per i flussi migratori

La scelta del Governo di emanare un secondo decreto-flussi per il 2006 permette di accogliere le domande giacenti. E’ una soluzione corretta in attesa di una riforma complessiva della materia. Se le domande possono essere presentate durante tutto il corso dell’anno, e sono considerate pendenti una volta raggiunta la quota fissata, si ottengono molti vantaggi: dalla riduzione del periodo di soggiorno forzatamente illegale allo svuotamento del problema della repressione dell’immigrazione illegale, che dovrebbe riguardare i criminali, più che colf e badanti.

Collaboratori molto subordinati

I dati sembrano confermare che la gran parte delle collaborazioni nasconde rapporti di lavoro subordinati. Molte imprese si avvalgono di questa possibilità non per contrastare eventuali cali della domanda o per rispondere a esigenze di flessibilità produttiva, ma per ridurre il costo del lavoro. E’ davvero questo il terreno su cui misurarsi? Un’accorta politica economica dovrebbe, al contrario, spingere le aziende italiane verso gli elementi chiave della competizione globale: investimenti, riorganizzazione produttiva, innovazione, formazione.

L’onda lunga degli immigrati

Nel primo trimestre del 2006 l’occupazione totale in Italia è cresciuta dell’1,7 per cento. L’incremento interessa le donne, i giovani, i lavoratori ultra cinquantenni. E riguarda tutte le parti d’Italia, Mezzogiorno compreso. Ma più del 60 per cento dei nuovi lavori sono dovuti alla componente straniera. Sono individui a tutti gli effetti già occupati nel mercato del lavoro, lentamente evidenziati dalle statistiche nazionali. Comunque, i dati riflettono un mercato in salute e in continua crescita. Mentre il tasso di disoccupazione scende al 7,4 per cento.

Toglietemi tutto, ma non il cuneo fiscale

Il cuneo fiscale ha tre componenti. Una è relativa all’Irpef, e una sua riduzione non è all’ordine del giorno. Poi ci sono i contributi sociali, per i quali forse c’è spazio per una riduzione, ma certamente non consistente. Cosa rimane per il famoso taglio di 5 punti percentuali? I contributi previdenziali. Ma questi sono parte integrante della retribuzione del lavoratore. Se l’obiettivo è risolvere i problemi di competitività delle imprese italiane, la soluzione migliore non può essere quella di chiedere a tutti i cittadini di aiutare le aziende a pagare gli stipendi.

Come superare il dualismo del mercato del lavoro

L’opzione congressuale della Cgil per il superamento del dualismo del diritto e del mercato del lavoro può costituire la via giusta per un “superamento” non regressivo della legge Biagi; a condizione che la nuova “rete di sicurezza” universale, uguale per tutti, preveda un accesso graduale al regime di stabilità piena, per sdrammatizzare lÂ’atto dellÂ’assunzione in azienda e consentire a ciascuno di trovare più facilmente la collocazione in cui può dare il meglio di sé. Tre progetti indicano altrettanti modi in cui questa strada può essere realisticamente battuta dal nuovo Governo.

Ragioniamo sui dati

A tre anni dalla sua approvazione, non si hanno ancora informazioni sufficientemente dettagliate per valutare gli effetti della legge Biagi sul mercato del lavoro. Un’indagine di Confindustria indica, nel 2004, un utilizzo poco più che marginale delle forme contrattuali nuove, quali lavoro a chiamata, staff leasing e lavoro condiviso, e del contratto dÂ’inserimento. Le nuove assunzioni sono avvenute nel 50 per cento dei casi con contratti a tempo indeterminato. E poco meno della metà dei contratti a termine è passata a tempo indeterminato.

Un sentiero verso la stabilità

I problemi strutturali del nostro mercato del lavoro sono tutti legati all’ingresso e al rientro: per i giovani in cerca di prima occupazione, per le donne dopo la maternità, per chi sceglie un “periodo sabbatico”. Invece deve essere possibile entrare, uscire e poi rientrare nel mercato del lavoro, senza trovarsi ogni volta di fronte a ostacoli pressoché insormontabili. Per il primo impiego si può concepire un percorso a tre fasi: la prova, l’inserimento e la stabilità. Affiancato da altri due provvedimenti: salario minimo e contributo previdenziale uniforme.

Dagli slogan all’agenda politica

La questione della precarietà va senz’altro affrontata. Ma i veri nodi sono sul come potenziare gli ammortizzatori sociali e sul come regolare le flessibilità. Bisogna definire sussidi, e schemi di finanziamento, che ne scoraggino l’uso prolungato e ripetuto nel tempo, da parte delle imprese e da parte dei lavoratori. E stabilire come regolare il sistema. L’uso della flessibilità potrebbe essere per esempio calmierato da un costo aggiuntivo che tenga conto del maggior ricorso ad ammortizzatori sociali insito nel lavoro a termine.

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