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Pac, è vera riforma?

Nonostante le indiscutibili riforme apportate negli anni Novanta, il flusso di trasferimenti dai cittadini europei generati dalla Pac verso i produttori agricoli per unità di lavoro non cala. In ogni caso, anziché accontentarsi del miglioramento recente, i politici europei dovrebbero darsi da fare per ridurre drasticamente sussidi che portano a uno sviluppo tuttora patologico, con notevoli sprechi di risorse. Una situazione che ora si estende ai nuovi paesi Ue. Ma ciò che davvero stupisce è che nessuno si senta in dovere di discutere della Pac e di spiegare almeno i suoi paradossi più evidenti.

Petrolio: le cose non dette

La folle corsa estiva del prezzo del petrolio, non ancora terminata, è stata seguita da vicino e tutti ne parlano. Il dibattito ha dimenticato o non ha sottolineato in modo sufficiente alcuni elementi, ad esempio che il prezzo reale del petrolio è molto minore oggi che nel 1973-74. Li offriamo al lettore in forma di pillole, più o meno indigeste, partendo dalle analisi tradizionali dei problemi delle risorse naturali fino a considerare il maggior costo del petrolio anche in relazione al sistema ambientale.

Confronto di competitività

A parte il picco post-svalutazione nel 1994-95, negli anni Novanta l’Italia ha perso ininterrottamente quote commerciali. Mentre altri paesi che come noi hanno sempre fondato sulle esportazioni la crescita economica sono riusciti a mantenerle sostanzialmente invariate (la Francia) oppure le hanno addirittura incrementate (la Germania). La perdita di competitività dell’Italia non è quindi interamente attribuibile all’euro forte. Gli elementi discriminanti sembrano risiedere nelle dinamiche dei prezzi domestici e della produttività dei fattori.

Europei oziosi?

Gli europei lavorano meno degli americani? E gli italiani meno degli altri lavoratori europei? Perchè ci sono differenze così grandi fra paesi in termini di ore lavorate? Si tratta di attitudini che rendono i lavoratori di alcuni paesi più “pigri” che in altri stati, oppure di istituzioni che tengono fuori dal mondo del lavoro molte persone?  Mentre in Francia si abbandonano le 35 ore e in Germania si raggiungono accordi aziendali che prevedono un incremento degli orari di lavoro, riproduciamo per i nostri lettori gli interventi di Olivier Blanchard, Tito Boeri, Michael Burda, Jean Pisani-Ferry, Guido Tabellini, Charles Wyplosz e una scheda di Domenico Tabasso.

Il costo della vita nelle grandi città

La diffusa percezione in vasti strati della popolazione di una perdita di potere di acquisto dovuta a prezzi più elevati si spiega col fatto che spese importanti nel bilancio famigliare, come gli affitti, sono aumentate considerevolmente. Il patto fra Governo e commercianti non servirà ad affrontare questo problema.  Al contrario, rievoca vecchie filosofie di controllo della dinamica dei prezzi che non hanno mai funzionato. Lasciamo ai commercianti la libertà di fare saldi a piacimento e anche di allungare gli orari di apertura: di questo non possono che beneficiarne i consumatori. E garantiamo piena libertà di ingresso nel settore.

Un Dpef leggero, ma realistico

Il Dpef 2005-8 è uno dei più brevi della storia. Presenta un quadro realistico della situazione economica del Paese perché non nasconde il peggioramento strutturale dei conti pubblici, ma mostra l’assenza di una politica economica da parte del governo. Si comprende che ci saranno nuove “una tantum”, sia nella manovra finanziaria per il 2005, che in quella per l’anno successivo. Al nuovo ministro dell’economia la Redazione de lavoce.info, Riccardo Faini e Francesco Giavazzi chiedono un impegno chiaro: queste “una tantum” non devono includere altri condoni.

Un vantaggio per il Sud?

Vincenzo Visco commenta la lettura del DPEF fornita da Riccardo Faini e Francesco Giavazzi per quanto riguarda gli aiuti al Sud. È giusto l’impegno ad aprire le ostilità con Bruxelles sulla differenziazione regionale delle aliquote sui profitti?  

A proposito di povertà e disuguaglianza

Nelle indagini di Istat e Banca d’Italia su consumi e reddito delle famiglie le misure aggregate di disuguaglianza e povertà non indicano alcuna tendenza al peggioramento tra la metà degli anni Novanta e il 2002. Le distribuzioni dei redditi e dei consumi appaiono sorprendentemente stabili, nonostante i cambiamenti che hanno interessato l’intera economia italiana. Da questo punto di vista, le fonti statistiche non sembrano confermare l’impressione diffusa di un arretramento dello standard di vita italiano.

L’impegno che chiediamo al ministro dell’Economia

Il Dpef presenta un quadro realistico della situazione economica del Paese perché non nasconde il peggioramento strutturale dei conti pubblici, ma mostra l’assenza di una politica economica da parte del governo. Si comprende che ci saranno nuove “una tantum”, sia nella manovra finanziaria per il 2005, che in quella per l’anno successivo. Dal nuovo ministro dell’economia chiediamo un impegno chiaro: queste “una tantum” non devono includere altri condoni.

Se il cambiamento è relativo

Negli ultimi anni, alla sostanziale stabilità delle misure distributive aggregate, è corrisposto un mutamento delle posizioni relative delle diversi classi sociali. La quota delle famiglie operaie a basso reddito è aumentata, mentre quella delle famiglie dei lavoratori autonomi è diminuita. Inoltre, anche se la dinamica del reddito disponibile reale delle famiglie è stata superiore a quella delle retribuzioni, rimane grande il contrasto tra l’esperienza recente e quella dell’espansione degli anni Ottanta.

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