Lavoce.info

Categoria: Argomenti Pagina 713 di 1091

VENDITE ALLO SCOPERTO: LA TRASPARENZA FA BENE

L’imposizione da parte della Consob di regole di trasparenza sulle vendite allo scoperto, nell’attuale momento di fortissimo stress del mercato mobiliare, è condivisibile. Importante che non si vada oltre imponendo il divieto di questo tipo di contratti, come venne fatto dalla Consob e dalle autorità di altri paesi nel 2008 dopo il fallimento di Lehman Brothers. I danni che ne derivarono alla liquidità del mercato e l’inutilità ai fini di sostegno del mercato sono documentati in un intervento pubblicato su questo sito nel 2010 e che riproponiamo.

SALVIAMO DALLA POLITICA IL DIRIGENTE ESTERNO

La dirigenza in quota esterna nella pubblica amministrazione può ancora rivelarsi fattore di innovazione e stimolo al cambiamento interno. A patto che si limitino gli aspetti clientelari o di scarsa trasparenza. L’obbligo di pubblicazione dei curricula è un deterrente alla nomina di figure professionalmente deboli. E la necessità di una esplicita motivazione circoscrive la discrezionalità. Tuttavia, occorre una riscrittura della norma per porre chiari paletti alla politica insieme a un regolamento che disciplini il momento di selezione e individuazione del profilo.

TORNA LA SPENDING REVIEW, MA INDEBOLITA *

È in discussione un decreto legislativo che rende permanente e sistematica per l’amministrazione centrale la revisione della spesa avviata dal ministro Padoa-Schioppa. È un fatto positivo, ma c’è il pericolo che una struttura troppo rigida e chiusa freni la capacità di generare proposte. Per contrastarlo, si consiglia allora una maggiore apertura al mondo esterno, con inserimento di esperti e audizioni di operatori.

I CONTI PUBBLICI: UN FATICOSO RIENTRO

In allegato la presentazione tenutasi, il 4 luglio 2011, al convegno a porte chiuse per i sostenitori de lavoce.info

ECCO I VERI NUMERI DELLA MANOVRA

Per azzerare il deficit entro il 2014 occorre una correzione di circa 2,3 punti di Pil, più o meno 40 miliardi. Gli aggiustamenti previsti dal Governo hanno efficacia solo dal 2013 in poi (prima il saldo è zero) e per più di un terzo sono affidati a una delega fiscale il cui contenuto è tutt’altro che definito. A conti fatti, si tratta di una manovra che grava soprattutto sulle entrate contrariamente agli impegni presi dal nostro Governo in Europa. Il contributo delle entrate sarà ancora maggiore se Regioni, province e comuni aumenteranno le imposte locali per rifarsi dei tagli ai trasferimenti. Nessuna misura per lo sviluppo.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringrazio Andrea Torricelli che, nel sostenere una tassa che colpisca anche l’ingombro dell’auto, ricorda che un veicolo largo fa saltare lo standard urbanistico del posto auto tipico. I casi in cui un largo Suv rende inutilizzabile il posto auto contiguo fanno effettivamente parte dell’esperienza quotidiana. Analogamente ringrazio Paolo Manasse che ricorda come sia dimostrata la molta maggiore pericolosità dei veicoli pesanti in caso d’incidente. La proposta degli autori che egli cita, che invocano una tassa basata su peso e chilometraggio, presenta già applicazione nei pedaggi autostradali. A generalizzarla, tuttavia, sorgono difficoltà applicative (rischia di essere una norma "criminogena", inducendo a manipolare il chilometraggio nel momento in cui questo diventasse ex post una parte dell’imponibile fiscale). Meglio quindi accontentarsi della proxy da me proposta che aggiunge all’accisa sulla benzina una tassa fissa annua correlata anche al peso. Non codivido, invece, le tesi di chi (Bruno e Paolo) auspica l’abolizione del bollo auto, compensata sotto il profilo del gettito dall’aumento dell’accisa, con forti risparmi nei costi di esazione e controllo. Rispetto all’obiettivo della semplificazione che le ispira, ritengo prevalente lo stimolo alla riduzione dei costi esterni.
Più problematico il tema della vetustà sollevato nei commenti di Fradetti e Paolo. L’età dell’auto ne fa indubbiamente diminuire il valore e quindi richiederebbe una riduzione della componente fiscale legata alla capacità contributiva, ossia al valore stesso o alla potenza come sua proxy, con la benefica conseguenza di ridurre la frequenza del rinnovo e le spese di rottamazione. E la tesi risulta ancora più convincente per chi ritiene, come nel commento di Progitto, che il tempo non faccia diminuire il livello di protezione contro l’inquinamento quale risulta certificato all’inizio e confermato nelle revisioni periodiche. La mia proposta, che non considera il tempo, ipotizzava una quasi compensazione tra i due aspetti del tempo stesso – caduta di valore e aumento di potere inquinante e pericolosità – e apprezzava la semplificazione connessa con il tener conto solo delle caratteristiche costruttive. Benvenuti comunque approfondimenti che consentano di essere più precisi nella definizione dell’imponibile, senza dimenticare, peraltro, che nell’imposizione di massa il meglio può essere nemico del bene.

IL PROCESSO DI RISTRUTTURAZIONE DEL SISTEMA PRODUTTIVO ITALIANO

In allegato la presentazione tenutasi, il 4 luglio 2011, al convegno a porte chiuse per i sostenitori de lavoce.info

UN FISCO DA RIPENSARE

In allegato la presentazione tenutasi, il 4 luglio 2011, al convegno a porte chiuse per i sostenitori de lavoce.info

L’IMPOSTA DI BOLLO SUI CONTI TITOLI

Il grafico mostra il gettito derivante dall’aumento dell’imposta di bollo sui conti titoli, portata a 120 euro per i depositi sotto i 50 mila euro ed a 380 euro sopra i 50 mila.
Nel 2011 e nel 2012 sosterrà da sola quasi l’intero onere della manovra e nel 2013 vi contribuirà per oltre un sesto raccogliendo la cifra record di oltre 3,6 miliardi. Si tratta di una vera e propria tassa patrimoniale sulla ricchezza mobiliare.
Secondo l’Abi il numero di conti correnti è circa 40 milioni e il 26 per cento dei correntisti, secondo l’Eurisko, ha un conto titoli.

LE RAGIONI DEL DIVARIO PRODUZIONE INDUSTRIALE-FATTURATO

Il problema di divergenze sistematiche tra andamento della produzione industriale e quello del fatturato del medesimo settore, opportunamente depurato dell’effetto della dinamica dei prezzi (cioè deflazionato), si pone da ormai qualche anno e, in particolare, da quando l’Istat ha completato la copertura degli indici dei prezzi alla produzione, includendo anche quelli relativi al mercato estero. Questa disponibilità di più informazioni e punti di vista sul medesimo fenomeno ha arricchito l’informazione, ma ha esposto l’Istituto alle critiche da parte di chi preferirebbe un quadro univoco, del tipo di quello che sembra prevalere (ma la lettura superficiale inganna) nel panorama tedesco.

UN CONFRONTO EUROPEO

Va messo subito in chiaro che la situazione italiana non è atipica, ma simile a quella di altri importanti paesi europei in cui i due indicatori sono misurati in maniera indipendente, come dimostra il seguente esercizio sui dati aggregati del fatturato del settore manifatturiero, deflazionato con gli indici dei prezzi alla produzione totali, per i quattro maggiori paesi europei e per l’aggregato dell’area euro (Uem). (1)

Tra i quattro paesi, quello con la maggiore coerenza è la Germania, dove i due indicatori sono calcolati sulla base di una stessa indagine. Ciò che colpisce è, semmai, che anche utilizzando un metodo così “internamente coerente” le divergenze non si evitano: nel 2010 la crescita annua della produzione supera quella del fatturato deflazionato di oltre un punto percentuale e, nel confronto tendenziale relativo ai primi quattro mesi del 2011, il divario si amplia a circa 2,5 punti percentuali. Il fatto che il differenziale sia a favore della produzione industriale non rassicura, in quanto conferma una tendenza comune a tutto il periodo: in questo paese, cioè, la produzione fornisce sempre un segnale più favorevole (distorto verso l’alto?).

Nel caso della Spagna le differenze sono ampie ma non sistematiche, alternandosi spesso di segno; riguardo al periodo recente risalta il fatto che la ripresa del 2010 sia quantificata in maniera molto diversa dai due indicatori: +2,1 per cento il fatturato deflazionato, +0,6 per cento la produzione.  

Infine, la situazione francese e quella del nostro paese sono per molti versi simili: il fatturato mostra una performance sistematicamente migliore e in alcuni anni il divario è molto ampio; in assoluto, le differenze sono significativamente maggiori per la Francia, con un massimo di quasi 7 punti percentuali nel 2009 (anno che segna il massimo anche per l’Italia con 4,6 punti).

Per l’area Uem si ripete il consueto (per gli statistici) “miracolo dell’aggregazione”: sommando paesi con differenze tra i due indicatori di ampiezze difformi e segni opposti, si giunge a un segnale complessivo che in termini di media annua è molto coerente.

IL CASO ITALIANO

Sgomberato il campo dalla tesi della “anomalia italiana”, è comunque necessario capire meglio se ci sia un problema e come affrontarlo. Per verificarlo è necessario operare un confronto il più accurato possibile: per questo la deflazione del fatturato va operata al livello di massima disaggregazione (3 cifre della Ateco, disponibili a tutti gli utilizzatori) ed escludendo le componenti (circa il 10 per cento) per le quali non esiste una sovrapposizione nei due indici. (2) L’esercizio conferma la crescita più rapida del fatturato (figura 1), anche se fino al 2008 le differenze nei tassi di variazione sono piuttosto contenute (0,7 decimi di punto nel 2007, 0,9 nel 2008). Nel 2009, invece, l’impatto della crisi viene misurato in maniera diversa: in media d’anno la produzione cala del 19 per cento mentre il fatturato reale del 15 per cento. Sebbene ciò non metta in alcun modo in dubbio l’ampiezza della recessione, la differenza è significativa ed è probabilmente da attribuire a due fattori: un marcato calo ciclico delle scorte e il fatto che alcune componenti del fatturato (quelle più connesse alle attività terziarie incorporate nel settore industriale) ne hanno attenuato la caduta. Per converso, nella prima fase della ripresa, misurata dalla variazione media del 2010, produzione e fatturato reale segnano crescite assolutamente allineate (6,9 per cento per entrambi). La forbice si riapre nella parte finale del 2010, portando a un marcato divario. In tale fase la differenza tra i due indicatori è spiegabile in parte dal ciclo delle scorte, che, riducendosi, avrebbero alimentato la crescita maggiore del fatturato rispetto alla produzione.

QUALCHE CONCLUSIONE

Come abbiamo visto la divergenza tra i due indicatori esiste (in Italia come in altri paesi), ma è tornata significativa solo nei dati più recenti (ultimi 6-8 mesi). Se questa differenza sarà circoscritta nel tempo, con un effetto analogo a quello di altri episodi specifici che si individuano sia negli indicatori italiani, sia in quelli degli altri paesi (ad esempio, la differenza di segno opposto, registrata nei dati tedeschi dell’ultimo anno) resteremmo nella fisiologia del confronto tra strumenti di misurazione differenti. Se invece persistesse una dinamica differenziale si aprirebbe un problema più serio ed è per questo che l’Istat sta, preventivamente, approfondendo l’analisi a livello settoriale fine e a livello di dati di impresa.

Ad esempio, l’Istat sa bene che unrinnovo annuale del campione di prodotti e imprese (innovazione recentemente apportata per gli indici dei prezzi industriali) potrebbe aiutare a superare alcune rigidità dei

metodi basati su basi fisse quinquennali, quale quello applicato alla produzione industriale, ma prima di cambiare metodologia occorre esplorare con attenzione tutti i pro e i contro di una tale soluzione, coscienti che gli utilizzatori sarebbero i primi a criticare qualsiasi discontinuità non pienamente motivata e verificata. D’altra parte, se è vero che l’indice di produzione può risentire di un’eccessiva rigidità dovuta alla definizione quinquennale del campione di prodotti da seguire, va considerato che il fatturato tende ad incorporare componenti di attività di servizio, e in particolare di attività commerciali, che non possono (correttamente) essere riflesse nella produzione industriale. D’altra parte, nel caso di imprese multinazionali italiane, il fatturato può risentire di vendite contabilizzate dalla “casa madre” collocata in Italia per produzioni realizzate all’estero: data l’espansione dell’attività delle multinazionali italiane documentata dalle rilevazioni dell’Istat questo fenomeno potrebbe contribuire a spiegare una divergenza sistematica e crescente nel periodo più recente tra i due indicatori, inducendo a privilegiare, per l’analisi congiunturale dell’industria, l’indicatore della produzione e non quello del fatturato.

In conclusione, la molteplicità dell’informazione determina certamente minore coerenza immediata ma arricchisce il quadro e, tramite l’integrazione, conduce a una misurazione più completa. In questa ottica, la produzione industriale e il fatturato deflazionato debbono essere considerate delle proxy dell’evoluzione dell’attività produttiva che vanno poi integrate dalle statistiche strutturali per trovare, infine, coerenza nei conti nazionali. Ad esempio, dall’analisi integrata di tutti questi indicatori emergono fenomeni di “spiazzamento” della produzione nazionale sul mercato interno: in altri termini, come documentato nel Rapporto annuale (pag. 22-23), proprio i settori nei quali la produzione industriale è ancora oggi su livelli prossimi a quelli, minimi, del 2009, hanno visto un fortissimo aumento delle importazioni. Sembra quindi utile non solo cercare spiegazioni “statistiche” alla scarsa performance dell’industria manifatturiera, ma approfondirne anche le motivazioni “economiche”, magari per identificare politiche industriali più adeguate ai casi dove le imprese italiane incontrano maggiori difficoltà.  

(1) Operare la deflazione a livello del totale invece che a livello disaggregato costituisce ovviamente un’approssimazione, ma il confronto con il secondo metodo, presentato più avanti per i dati italiani, indica che i risultati sono molto vicini.

(2) Più precisamente, sono comprese nell’indagine del fatturato, ma non in quella sulla produzione industriale, le classi: 051, 061, 082, 089, 091, 142, 182, 237, 266, 267 e 304. Viceversa, fanno parte del campo di osservazione dell’indice della produzione industriale, ma non del fatturato, le classi 351 e 352.

Pagina 713 di 1091

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén