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L’AUSTERITÀ VISTA DA SINISTRA

Il rigore di bilancio sembra essere una strada obbligata per paesi indebitati come il nostro. Ma nella gestione del bilancio pubblico si possono adottare strategie diverse, che portano comunque a un controllo della spesa. Per esempio, per garantire la sostenibilità dei sistemi pensionistici, si punta all’adeguamento dell’età pensionabile alle aspettative di vita. Che però è una misura regressiva: colpisce di più i più poveri. Si potrebbe invece pensare a un tetto per le pensioni più elevate. Insomma, le scelte tecniche o inevitabili non esistono.

IL 5 PER MILLE: FACCIAMONE BUON USO

 

Assieme alla dichiarazione Irpef è tornato il 5 per mille. È la terza volta, dal 2009, che l’Associazione La Voce compare nell’elenco degli enti a cui si può volontariamente destinare il 5 per mille della propria Irpef.  

IL 5 PER MILLE DEL 2009

Si sa che il 5 per mille va in larga parte a una ristretta cerchia di beneficiari grandi e famosi. Dai dati disponibili, del 2009, emerge che, nel settore dove è inclusa anche l’Associazione La Voce, nove enti ricevono, ciascuno, il 5 per mille dell’Irpef di più di 100 mila contribuenti e che 24 enti ricevono importi che vanno da 1 milione a 10 milioni di euro.
Vi è però anche grande frammentazione: gli enti che si contendono il 5 per mille sono complessivamente più di 40 mila, di cui più di 28 mila nello stesso settore dell’Associazione La Voce. Qui, l’80 per cento circa dei beneficiari è stato scelto da non più di 250 contribuenti e il 45 per cento da non più di cinquanta. Guardando agli importi ricevuti dagli enti, l’85 per cento per cento non supera i 10 mila euro e il 72 per cento riceve non più di 5 mila euro.
L’Associazione La Voce non è certo tra i pochi grandi enti che ricevono milioni, ma i risultati del primo anno sono incoraggianti. Ci hanno dato il 5 per mille della loro Irpef 375 contribuenti (grazie!), per un importo totale di più 26 mila euro. È una somma importante, sia nella distribuzione del 5 per mille, sia per il nostro bilancio. Assieme ai fondamentali contributi dei lettori, ci consente di continuare a vivere.
Noi de lavoce.info possiamo fare di più, anche per migliorare la qualità degli interventi e offrire nuovi servizi. Occorre però che un numero crescente di lettori, di collaboratori, di nostri amici e parenti si ricordi, pagando l’Irpef, di questo numero di codice fiscale: 97320670157.

A VOLTE RITORNANO: L’IRI

La nostalgia per il ritorno del capitalismo di Stato è oggi forte in Italia. Tanto da sfociare in un decreto che consente alla Cassa depositi e prestiti di assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale. L’attuale irresistibile desiderio di italianità delle imprese porta però alla riproposizione di un’Iri tutta particolare, perché le sue risorse derivano dalla raccolta postale. Forse, bisognerebbe provare a raccontare la realtà anche dalla parte di chi acquista i prodotti e utilizza i servizi.

QUANDO GALLIANI DÀ LEZIONI DI CONFLITTO DI INTERESSI

Curiosa polemica tra il Ct della Nazionale italiana, Cesare Prandelli e il vicepresidente esecutivo del Milan, Adriano Galliani. Prandelli, in un’intervista, aveva dichiarato che quest’anno avrebbe visto con favore una vittoria del Napoli nel campionato di serie A. Galliani, coinvolto con la sua società nella lotta scudetto, si è molto risentito e ha chiamato il diretto superiore di Prandelli, il presidente della Fgci, Giancarlo Abete, dicendo che era inammissibile che il Ct tifasse per qualcuno. Prandelli ha fatto subito retromarcia, dichiarando di essere stato frainteso dai media. Ma perché il Ct non può tifare per qualcuno? Che danni può arrecare alla regolarità del campionato? Al massimo può far giocare in Nazionale qualche partita in più ad alcuni giocatori rispetto ad altri. Dato che il contributo del Milan alla Nazionale italiana è al momento limitato, Prandelli può fare ben poco per cambiare i valori in campo. Si dirà: non importa il numero di giocatori del Milan in Nazionale, è una questione di principio. Benissimo. Sorprendente però che questa difesa di sani  principi provenga da Galliani, che ha rivestito il ruolo di Presidente della Lega calcio dal 2002 al 2006. La Lega calcio, per chi non lo sapesse, organizza i tornei come la serie A e la Coppa Italia, stabilendo, ad esempio, anticipi e posticipi e vendendo anche alcuni diritti televisivi. La cosa notevole è che Galliani, nel periodo in cui è stato Presidente della Lega, ha mantenuto il ruolo di numero uno (almeno di fatto) del Milan. Quindi aveva, almeno in teoria, una capacità di incidere sullo svolgimento dei tornei ben più elevata di quella del Ct, a favore della sua squadra. Qualcuno obietterà: ma Galliani è stato eletto dai presidenti delle società che sapevano del suo conflitto di interesse. Poiché tutti sapevano del suo conflitto di interesse, Galliani non poteva fare nulla a favore del Milan. Chissà perché, questa mi pare di averla già sentita usare da qualcun altro.  

GIÙ AL NORD

E così la Lega dei Ticinesi è il primo partito del Cantone, con un balzo di 8 punti e una campagna elettorale concentrata sul contrasto ai transfrontalieri italiani ("i ratti" nel nobile frasario utilizzato), rei di rubare il lavoro agli autoctoni. Una notizia che fa il paio con le cronache di questi giorni dedicate alla rigida politica di contenimento dei passaggi attuata dal governo francese al valico di Ventimiglia per fermare il flusso di migranti tunisini diretti oltralpe. Come dire, una replica in salsa francese del "fora di ball" incautamente pronunciato da Umberto Bossi sulle scogliere di Lampedusa.
Insomma, sembra proprio che questi episodi segnalino un tema comune, che dalla banalità della geografia suggerisce una saggia cautela alla politica: a parte le calotte artiche, c’è sempre qualcuno più a nord di te. E costruire una identità e una politica sulla propria “norditudine” ti espone alla immediata ritorsione di chi, appresa la lezione, ha il vantaggio di stare qualche parallelo più a nord.

PRODUZIONE INDUSTRIALE

 

UN’OCCUPAZIONE SEMPRE PIÙ PRECARIA

I lavoratori precari riescono a organizzare per la prima volta una manifestazione nazionale, sabato 9 aprile. Anche perché sono sempre di più. A due anni e mezzi dall’inizio della crisi e dopo un 2009 disastroso per l’occupazione, il mercato del lavoro italiano attende ancora un’effettiva inversione di tendenza, benché la dinamica nel 2010 sia stata meno negativa rispetto all’anno precedente. La crescita debole delle assunzioni per gli under 30 e il peso decrescente di quelle con contratti a tempo indeterminato segnalano che l’occupazione è sempre più precaria e che le conseguenze della crisi gravano sempre più sui giovani.

CIÒ CHE VORREMMO POTER SCRIVERE SUL DOPO GERONZI

Abbiamo scritto su questo sito di Cesare Geronzi quando nessuno osava parlare di lui (Boeri, Bragantini, Guiso, Boeri). Oggi che tutti tracciano profili biografici del personaggio – omettendo, ad eccezione del Financial Times, trascorsi giudiziari e procedimenti pendenti – vogliamo invece guardare avanti, occuparci del dopo Geronzi.
Vorremmo poter scrivere che d’ora in poi ci sarà una sanzione sociale per chi viola le regole, che la reputazione conterà nella corporate governance in Italia. Purtroppo non è così. I trascorsi di Geronzi non hanno giocato alcun ruolo nella sua uscita di scena. A voltargli le spalle sono stati gli stessi che gli avevano permesso per anni di concentrare su di sé un potere immenso, guidando banche  nonostante avesse subito un’interdizione giudiziaria temporanea dall’attività bancaria a opera del Gip di Bologna in relazione all’inchiesta sul crac Parmalat, fosse indagato per il crac della Cirio, per il caso Parmalat-Ciappazzi e per la vicenda Eurolat, con un rinvio a giudizio con l’accusa di concorso in bancarotta e usura, avesse già subito una condanna in primo grado per concorso in bancarotta nel caso Italcase Bagaglino a un anno e otto mesi di reclusione e fosse stato dichiarato temporaneamente inabile all’impresa commerciale e agli uffici direttivi.
Vorremmo poter scrivere che d’ora in poi si allenterà la stretta della politica sulla corporate governance. Purtroppo non è affatto detto che sia così. L’uscita di scena di Geronzi coincide con il cambiamento dello statuto della Cassa depositi e prestiti, volto a permettere interventi su società quotate e non solo su piccole imprese. È possibile che si tratti della solita boutade di Tremonti, per intenderci un’altra Banca del Sud su cui guadagnarsi qualche titolo di giornale e nascondere il proprio immobilismo in un paese impaludato. Ma c’è anche il rischio che il fondo strategico sia il preludio di un rinnovato ruolo dello stato nell’economia, magari sempre attraverso Mediobanca. Più che l’operazione Cdp in quanto tale, ciò che preoccupa è mancanza oggi in Italia di una cultura politica che sappia porre un argine a un governo che voglia tornare ad essere protagonista dei cambiamenti nella struttura proprietaria delle grandi aziende.
Vorremmo poter scrivere che ha vinto l’internazionalizzazione sugli intrecci tra politica e finanza. Geronzi è stato l’incarnazione delle ingerenze della politica nella finanza, che permettono ad aziende strutturalmente in perdita di sopravvivere creando attorno a loro un ampio consenso politico. Prodotto e insieme artefice della cosiddetta “finanza romana” è riuscito anche per qualche tempo a proporsi come il centro di gravità della finanza del Nord. Ma i vincitori nello scontro di potere sembrano ancora tutti appartenere al capitalismo relazionale italiano: si passa solo da una costellazione all’altra. Nuovi giochi di palazzo al posto dei vecchi. Ritorna in gioco Unicredit che, con Profumo, si era tirata fuori da Mediobanca e Generali. E ritorna in gioco Mediobanca.
Vorremmo poter scrivere, come qualcuno ha fatto, che è una vittoria degli amministratori indipendenti. Lo è solo in parte: si è trattato di minoranze organizzate, dipendenti da altri o "indipendenti di maggioranza", l’ossimoro che gira in molti consigli, piuttosto che espressione di investitori istituzionali e piccoli azionisti. Non è dunque l’inizio di un nuovo capitalismo, né il primo passo verso il decollo delle public company in italia. Quello che accadrà ora è molto legato agli sviluppi in Mediobanca e Unicredit, dunque alle Fondazioni bancarie. Conta poco chi sostituirà Geronzi, soprattutto dopo che la scelta è ricaduta su Gabriele Galateri di Genola. Speriamo solo che un management più giovane, voglia, come ha dichiarato di voler fare, allentare il blocco dei patti di sindacato, semplificando e rendendo più trasparente la struttura di controllo delle società quotate, a partire da Mediobanca. Sempre che la Consob non si metta di mezzo. Sconcertante che il suo nuovo presidente dichiari di voler fare di tutto per diminuire la contendibilità delle società quotate, “proteggendo le imprese e non gli investitori”. Vegas ha votato la fiducia a Berlusconi dopo essere stato nominato ai vertici della Consob. Oggi sembra il miglior interprete del capitalismo all’italiana: capitalisti che non vogliono metterci i capitali, persone che vogliono controllare senza investire.

I CONTRATTI DEI GIOVANI

 

EMERGENZA UMANITARIA TRA IPOCRISIE E REALTÀ

Un paese di 60 milioni di abitanti, con il 12 per cento della popolazione europea, collocato nel cuore del Mediterraneo, può davvero pensare di non fare i conti con il fenomeno dei richiedenti asilo? Ma è tutto il sistema dell’accoglienza che non funziona e che necessita di una legge organica, con una chiara ripartizione di competenze tra centro e periferia, un coinvolgimento degli enti di tutela e una programmazione degli interventi. Quanto alle risorse, basta ricordare che l’accordo Italia-Libia costa 250 milioni di dollari l’anno, per venti anni.

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