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SE ANCHE CONSOB DIFENDE L’ITALIANITÀ

Il presidente della Consob esprime alcune preoccupazioni sulle regole che disciplinano le Opa. La prima ha a che vedere col fatto che in questo momento le aziende europee, e in particolare le italiane, hanno meno liquidità di quelle asiatiche. La seconda riguarda la soglia oltre la quale scatta l’obbligo di Opa. Se per rivitalizzare il mercato finanziario italiano, occorre renderlo più attraente, non si vede che utilità possano avere provvedimenti volti a ridurre la contendibilità delle imprese e a mantenerne l’italianità.

E ORA TOCCA AL PORTOGALLO

È arrivato il turno del Portogallo per la richiesta di aiuto all’Fmi e all’Unione Europea. Non è certo una buona notizia per la zona euro. Anche perché se Grecia, Irlanda e Portogallo non ricominceranno a crescere, prima o poi arriveranno a un parziale ripudio del debito. Servirebbe dunque un piano per ridurre al minimo i rischi di contagio dopo una simile decisione. Ma ufficialmente nessuno ne vuol sentire parlare, tantomeno Francia e Germania. Si preferisce attendere un miracolo, invece di agire prima che la situazione si deteriori.

UN’OCCUPAZIONE SEMPRE PIÙ PRECARIA

I lavoratori precari riescono a organizzare per la prima volta una manifestazione nazionale, sabato 9 aprile. Anche perché sono sempre di più. A due anni e mezzi dall’inizio della crisi e dopo un 2009 disastroso per l’occupazione, il mercato del lavoro italiano attende ancora un’effettiva inversione di tendenza, benché la dinamica nel 2010 sia stata meno negativa rispetto all’anno precedente. La crescita debole delle assunzioni per gli under 30 e il peso decrescente di quelle con contratti a tempo indeterminato segnalano che l’occupazione è sempre più precaria e che le conseguenze della crisi gravano sempre più sui giovani.

I CONTRATTI DEI GIOVANI

 

L’ITALIANITÀ, DA PARMALAT A FIAT

La scalata a Parmalat era ampiamente annunciata. E fra un anno, dovremo fare i conti con la fusione Fiat-Chrysler. Se ci sono operatori finanziari italiani interessati al progetto, si facciano avanti subito. Si lavori ora su un piano condiviso, discutendo direttamente con l’azionista di controllo e con il management. Soprattutto, si mettano sul tavolo i soldi per accrescere la dotazione di capitale di rischio della Fiat. In caso contrario, lasciamo che la vicenda segua il suo corso e risparmiamoci altre sceneggiate a difesa dell’italianità.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

L’articolo si concentra sulla gravità della (reiterata) mancanza di un’analisi seria dietro decisioni che fissano sussidi, in presenza di obiettivi quantitativi già condivisi a livello politico (politica comunitaria 2020). Prima di preoccuparsi del sussidio infatti occorre fissare le modalità e le azioni con cui si vuole conseguire l’obiettivo. Un percorso che deve essere delineato dal legislatore: in quanto correlato alla strategia energetica e ambientale complessiva (se ce ne fosse una!) e al fine di rappresentare gli interessi di tutti (in quanto collettività e non nella somma di interessi). Quindi un’analisi che necessariamente richiede una valutazione analitica dell’efficienza, dell’efficacia e degli effetti redistributivi delle misure di incentivazione. Solo a valle di questa valutazione è possibile selezionare gli strumenti migliori sotto il profilo pubblico.
Ribadisco che nella valutazione è necessario analizzare tutte le produzioni (solare, eolico, bioenergie, geotermia, idro) ma soprattutto tutte le applicazioni con l’obiettivo di promuovere l’efficienza energetica delle produzioni e degli usi e quindi il risparmio di energia primaria e secondaria (gamba fondamentale del tavolo della politica energetica).
In merito al sussidio, cioè l’extracosto rispetto al prezzo dell’energia all’ingrosso, l’articolo vuole mettere in luce la schizofrenia dell’impostazione legislativa in materia di promozione alle rinnovabili elettriche, non solo per i numerosi cambiamenti delle regole del gioco, ma anche per la limitata attenzione ai costi delle tecnologie e ai meccanismi di formazione del sussidio. Il sussidio al solare fotovoltaico e il prezzo di ritiro dei CV in eccedenza sono esempi di come questa scarsa attenzione caratterizzi ancora una volta la legislazione nazionale.
Rispondo, infine, ai commenti sul dato relativo al prezzo di ritiro dei CV in eccedenza su cui probabilmente l’articolo è stato poco chiaro. Per effetto del decreto Romani, il prezzo di ritiro sarà nel periodo 2012-2015 pari al 78% della differenza tra 180 e il prezzo di vendita dell’energia rinnovabile e co-generativa fissato annualmente dall’Aeeg ex art. 13 D.lgs. 387/03. Questa differenza rappresenta anche il prezzo di vendita dei CV nella titolarità di GSE, quindi il prezzo massimo di offerta dei CV o prezzo di riferimento. Prezzo pari nel triennio 2009-2011 a 88,66; 112,82 e 113,1 €/MWh (il 78% di questo prezzo di riferimento è indicato in tabella).
Il prezzo di ritiro fino al 2011, con le regole in vigore prima del decreto Romani è pari al prezzo medio ponderato risultante dagli scambi dei CV nel mercato nel triennio precedente. Prezzo pari nel triennio 2009-2011 ai valori in tabella. La legge 122/10, anche ai fini del contenimento del costo del sussidio, prevedeva il passaggio (dal 2011) al 70% del valore attuale, quindi a valori – riferiti al triennio 2009-2011 indicati in tabella.
Ancora una volta regole che si modificano ma anche meccanismi di formazione dei prezzi che  cambiano senza un approccio analitico e con una visione di breve termine (i periodi transitori).

Tabella: prezzo di ritiro CV nelle diverse fasi legislative

prezzo di ritiro CV con regole ex legge 244/07

(€/MWh)

2009 98,00  
2010 88,91
2011 87,38

prezzo di ritiro CV con regole ex legge 122/10

(€/MWh)

2009 68,60  
2010 62,23
2011 61,16

prezzo di ritiro CV con regole decreto Romani

(€/MWh)

2009 69,16  
2010 87,99
2011 88,22

FEDERALISMO REGIONALE: LA RIVOLUZIONE PUÃ’ ATTENDERE

Il federalismo regionale segna un passo avanti nel percorso di attuazione della legge delega. Ma resta incompiuto negli aspetti più delicati: sanità a parte, non è stata risolta la questione delle spese essenziali. Né quella della perequazione. La norma dimostra anche che l’elevata solidarietà giustamente imposta dalla Costituzione non consente rivoluzioni rapide e forti nei rapporti Nord-Sud. Il cambiamento sarà lento e non vistoso. Attenti quindi alle delusioni dei leghisti.

I PRINCIPI IAS RILETTI DAL MILLEPROROGHE

Il decreto Milleproroghe si occupa, tra l’altro, dei principi contabili Ias. Ma le modifiche agli International Accounting Standars di ordine civilistico rappresentano una mezza marcia indietro rispetto al 2005, producono un bilancio Ias all’italiana e sembrano solo preparare il terreno per una completa retromarcia. La possibilità di rettificare i risultati Ias a fini tributari è una norma in bianco utilizzabile per aggiustare il reddito d’impresa alle politiche di bilancio dell’occasione. Insomma, meno chiarezza e meno certezza del diritto.

SE ATENE PIANGE, LISBONA NON RIDE

Tocca ora al Portogallo soffrire una crisi del debito sovrano che sembra inevitabilmente condurre verso un nuovo bail-out. Ma la cattiva gestione della finanza pubblica non è l’unico problema. Negli ultimi dieci anni il paese ha infatti registrato una crescita assai debole e un forte aumento del debito privato: in termini lordi è quasi quattro volte il Pil e cinque volte la dimensione del debito pubblico. Senza dimenticare i deficit delle partite correnti. Necessarie quindi riforme per recuperare competitività ed efficienza. Per ora, nessun rischio contagio.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Grazie dei commenti, tutti molto pessimisti nel descrivere la situazione dell’economia italiana. Solo due dei lettori (Dario Q. e Lugi Zoppoli) ricordano che ci sono perdenti anche dalle non riforme. Gli altri, con accenti diversi, sono concordi nel sottolineare i costi delle riforme. Antonio Ferrara e Luciano Galbiati sono i più nichilisti nei confronti degli esiti delle riforme.
Bob, Angelo e Pasquale Bolli suggeriscono implicitamente la scarsa efficacia delle riforme liberali nel tirarci fuori dai pasticci e argomentano che il vero problema italiano sia l’iniqua distribuzione del reddito e della ricchezza. Come si fa a non essere d’accordo? Il punto però è: come si rende la ricchezza e il reddito più equamente distribuiti? Io credo che in un paese come il nostro in cui i diritti individuali sono così poco rispettati in favore dei diritti che derivano dall’appartenenza (ad un gruppo o gruppetto dotato di qualche potere di ricatto) o dalla “conoscenza” (del fornitore del servizio di turno), le riforme liberali sono un primo passo irrinunciabile per ottenere una maggiore uguaglianza di opportunità. Non credo viceversa ad altri interventi statali per aumentare l’uguaglianza ex-post (patrimoniali & c.).
L’introduzione delle riforme liberali causa perdenti perchè sottrae rendite a chi fino a ieri beneficiava dell’assenza di concorrenza (lavoratori garantiti, tassisti, professionisti con tariffe minime). Come osserva Mario Brandi, ricompensare i perdenti sarebbe in definitiva un costo modesto rispetto al beneficio delle maggiori libertà economiche da ottenere con le riforme. Ma il dibattito pubblico mi pare che oscilli tra il colbertismo di Tremonti che finisce per negare i benefici delle riforme liberali e l’illusione delle riforme a costo zero diffuso da noi economisti (anche su questo sito). Sarebbe meglio dire che le riforme producono benefici, ma non sono a costo zero, per poi quantificare con precisione i costi delle varie riforme e presentare il costo di ognuna delle riforme o del “pacchetto” in modo che si sviluppi un dibattito pubblico informato sull’argomento.
Maurizio Sbrana sceglie tra le varie riforme quella fiscale come quella più appropriata per rilanciare i consumi. Riferendosi allÂ’articolo 53 della costituzione: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Credo che la sua idea sia quella di una riforma fiscale che riduca lÂ’evasione, riducendo le aliquote e semplificando il sistema fiscale. EÂ’ quello che – per lÂ’ennesima volta – ha annunciato anche il ministro dellÂ’Economia: vuole una riforma che renda il sistema fiscale “progressivo, competitivo e semplice”. “Competitivo” per me vuol dire che, data la mobilità del capitale finanziario, non si possono fare le patrimoniali nè alzare le aliquote sui redditi da capitale. La tassazione del consumo è solitamente regressiva ma semplice. Quella sul reddito è di solito progressiva – ma solo in un paese dove tutti pagano le tasse – e spesso più complicata. In ogni caso, la riforma fiscale, per non spaventare i consumatori e i mercati, deve evitare di causare voragini di debito. E quindi anche una riforma fiscale che riduca lÂ’onere della tassazione non è a costo zero, ma implica che si tagli la spesa pubblica più di quanto sia stato fatto finora.

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