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La cancellazione del debito? Un placebo

Dopo quindici anni, i risultati del programma per la riduzione del debito dei paesi poveri sono deludenti. In particolare, non sembra aver prodotto alcun effetto positivo sul tasso di crescita del Pil, né un boom degli investimenti. Semplicemente perché spesso il debito estero non è la causa della povertà, che va ricercata invece nella fragilità delle istituzioni. E intanto cresce l’importanza del debito domestico. Meglio sarebbe se istituzioni internazionali e paesi donatori aiutassero i paesi debitori nello sviluppo di una prudente gestione macroeconomica, soprattutto fiscale.

 

L’Europa di Tommaso Padoa – Schioppa

L’entusiasmo nelle sfide

Ci eravamo sentiti qualche giorno fa; avevo chiesto a Tommaso Padoa-Schioppa di contribuire con un articolo a una nuova collana di commenti su temi di politica economica internazionale che avevo avviato. Scusandosi per non poter accettare subito aveva (quasi) promesso di farlo in futuro, un po’ forse per non deludere l’entusiasmo di un collega più giovane, ma anche per quel riflesso irrefrenabile che lo portava a lanciarsi in qualunque nuova sfida che gli sembrasse giustificare la sua presenza. Combattivo fino all’ultimo.

DALLA BANCA D’ITALIA AL MINISTERO, PASSANDO PER L’EUROPA

Mi sono trovato, in parte per caso, a condividere alcuni momenti della sua vita professionale negli ultimi anni. Il primo ricordo risale agli anni della Banca d’Italia. Per lui, già esponente autorevole del Direttorio, erano anni frenetici e fecondi, con l’Europa monetaria che prendeva forma: il rapporto Delors, il mercato unico, poi il trattato di Maastricht, infine, di segno contrario ma ugualmente intensa, la crisi del sistema monetario e della lira. Ma anche la riforma del sistema finanziario italiano: la regolamentazione delle banche e la vigilanza, l’impegno capillare sul sistema dei pagamenti. Io aiutavo, ma soprattutto guardavo e imparavo. L’entusiasmo di Tommaso lo portava a intervenire quasi su tutto, dalla conduzione quotidiana della politica monetaria all’organizzazione interna, dai temi strutturali dell’economia reale nel nostro paese a quelli della finanza globale. Sempre -allora era meno scontato! – coinvolgendo i giovani in prima linea, chiedendo loro di formarsi un’opinione e di avere il coraggio di difenderla.
Dopo la breve parentesi della Consob, lo sbarco a Francoforte, nel consiglio della Banca centrale europea appena costituita. Un’istituzione che Tommaso sentiva appartenere a lui più che agli altri membri designati in consiglio; correttamente nella sostanza, anche se non nella forma. L’entusiasmo e l’energia erano quelli di sempre, così come l’interesse per tutte le aree di responsabilità della banca. Era inevitabile che la sua tendenza a muoversi orizzontalmente su temi diversi sollevasse qualche sopracciglio, scompigliasse regole interne e convenzioni. Una visita al sito internet della Bce, nella sezione in cui sono conservati i discorsi del comitato esecutivo, mostra che non c’è area di responsabilità della Banca in cui egli non abbia lasciato il segno. Un contributo intellettuale e di comunicazione pubblica, ancor prima che decisionale, nonostante la natura esecutiva dell’incarico.
Il biennio del ministero è stato quello più complesso e sofferto, oltreché controverso. Ogni giudizio in merito non può che attendere il filtro del tempo. La difficoltà era, per lui più che per ogni altro, far valere l’autorevolezza tecnica in un contesto e in un tempo che richiedevano anche un deciso impegno politico. La generosità e lo slancio lo hanno a volte indotto, nel bilanciare queste esigenze in contrasto, a mettere in gioco la propria persona più di quanto alcuni amici e colleghi avrebbero desiderato. Ma lui non esitava. Come ha scritto poco prima di assumere l’incarico: “Mi rendo conto che sto per mettere a repentaglio quel po’ di reputazione che ho accumulato in una vita di lavoro.
Coloro che credono nella possibilità e nel dovere di tenere l’Italia nel novero dei paesi civilizzati e autorevoli, in Europa e nel mondo, da oggi sono un po’ più soli. Ma anche consapevoli di portare sulle spalle una responsabilità un po’ più grande.”

Clima: quanto è lontana Cancun da Kyoto!

Moltissimi commentatori si sono sforzati di comprendere se il bicchiere servito a Cancun dalla Conferenza sui cambiamenti climatici fosse mezzo pieno o mezzo vuoto. In realtà, l’accordo raggiunto è ricco di luci e ombre. Intanto si ricuce la lacerazione di Copenaghen. E anche se i risultati possono apparire deboli, o comunque insufficienti, bisogna cogliere gli aspetti positivi e quelli politici. Chi ha a cuore il tema deve guardare e lavorare per il meeting del 2011 in Sudafrica con ottimismo, determinazione e speranza. Non tutto è perduto. Non ancora.

 

Come Las Vegas

Tra i 314 nomi dei parlamentari che hanno votato il 14 dicembre la fiducia al Governo ce n’è uno che non avremmo proprio voluto vedere. Non è quello del colorito Scilipoti, né quello della Polidori, in odore di Cepu. Non intendiamo infatti entrare nelle complesse transazioni che hanno attraversato il mercato della politica nell’ultimo scorcio di tempo. E’ il nome di Giuseppe Vegas, già sottosegretario al ministero dell’Economia e neo presidente della Consob. Non lo avremmo voluto vedere poiché quel ruolo, cui è chiamato chi il mercato lo deve controllare, avrebbe consigliato di astenersi dal partecipare alla votazione. La nomina del presidente Vegas, al di là dei meriti tecnici che in modo bipartisan gli sono stati riconosciuti, ha sollevato perplessità nell’osservare il passaggio, senza soluzione di continuità, da un ruolo politico a un delicatissimo ruolo di arbitro dei mercati di borsa. Per quanto Vegas sia formalmente ancora parlamentare in attesa di nomina nel nuovo prestigioso ruolo, avremmo apprezzato da lui un gesto di sensibilità che segnalasse, astenendosi dal partecipare alla votazione, che il candidato si sente già soggetto super partes e non, fino all’ultimo momento utile, soggetto politico in attesa di nuovo incarico.

Un vero esame per le banche europee

Le crisi bancarie sistemiche sono sempre difficili da risolvere. Se un sistema bancario malato rappresenta un serio ostacolo alla ripresa, ancor più grave è il fatto che costringe la zona euro a optare in modo sistematico per il salvataggio, invece che per la ristrutturazione, ogni qual volta un suo membro si trova in difficoltà. La soluzione passa per l’analisi della situazione patrimoniale delle banche, la ricapitalizzazione o l’eventuale ristrutturazione. Un processo forse traumatico. Ma rinunciarvi significa mettere in pericolo la stessa Unione Europea.

 

La morale della favola irlandese

Ci sono insegnamenti da trarre dalle recenti vicende dell’Irlanda. Intanto, non basta considerare quanto un paese cresce, occorre anche considerare perché cresce, poiché da questo dipende la sua capacità di onorare i suoi impegni finanziari. La crescita finanziata prevalentemente dal capitale estero si rivela intrinsecamente fragile. E certo, gli Ide sono meno facili da smobilitare, ma proprio per questo la necessità di remunerarli può essere una zavorra per un sistema economico per parecchio tempo.

 

My name is Bond, Eurobond

La proposta Tremonti-Juncker di istituire una nuova agenzia europea con il compito di creare un debito europeo che sostituisca gradualmente i debiti pubblici nazionali è una buona idea per realizzare infrastrutture e aumentare la liquidità dei mercati. Per essere politicamente realizzabile, richiede però la rinuncia alla sovranità fiscale. Il punto dolente è che diverrebbe operativa dopo il 2013: rischierebbe così di accelerare il default di tutti i paesi a rischio. Non è dunque una soluzione per la crisi di debito dell’Europa.

 

Quel patrimonio da salvare

Sulla difesa e valorizzazione del patrimonio culturale del nostro paese si contrappongono due visioni ideologiche: quella dei fautori della gestione pubblica e quella di chi vede con favore una transizione alla gestione privata e decentrata. Sono entrambe sbagliate e hanno portato a gravi fraintendimenti. La sfida sembra invece essere la costruzione di un nuovo umanesimo e delle condizioni istituzionali che lo consentano. Una questione che riguarda insieme, seppur in modi diversi, il pubblico e il privato e che pone alle scienze umane e all’economia un problema di pensiero.

 

Sulle regole è tempo di realismo

A Seul con l’adesione del G20 all’accordo di Basilea 3 si è simbolicamente chiuso il ciclo di discussioni iniziato due anni prima a Washington. La dura realtà del mondo post-crisi lascia poco spazio alla retorica della rifondazione radicale del sistema finanziario. Bisogna invece concentrarsi su tre direttrici: dare maggiore rappresentanza alle economie emergenti nelle istituzioni internazionali, intensificare l’integrazione del mercato dei capitali, favorire il monitoraggio del sistema finanziario. Un’agenda certo più limitata. Ma rispettarla sarebbe già un successo.

 

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