Continuano ad arrivare brutte notizie sui conti pubblici. Malgrado le continue rassicurazioni fornite dall’esecutivo, nel giro di pochi giorni sono state varate due manovre correttive: una relativa all’anno in corso e una, annunciata solo oggi, relativa al 2006. Non erano infondati quindi i nostri calcoli e i nostri timori; in particolare quando avevamo ripetutamente segnalato come nel tendenziale fossero occultate entrate di natura temporanea per diversi miliardi.
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La mancanza di alcuni diritti fondamentali spiega molto poco del basso costo del lavoro in Cina e della competitività dei suoi prodotti. L’obiettivo condivisibile di migliorare le condizioni dei lavoratori nei paesi in via di sviluppo non può tradursi in misure protezionistiche, che avrebbero il solo effetto di far crescere la loro povertà. Lo stesso problema si pone anche nel caso estremo del lavoro dei bambini. Un miglioramento si può avere solo attraverso la crescita del reddito nei paesi poveri, dunque aumentando le esportazioni di merci ad alta intensità di lavoro.
Un disegno di legge “rivoluzionario” dicono i promotori. In realtà, quello sull’università si riduce a una confusa accozzaglia di norme contraddittorie e inapplicabili. I suoi paventati effetti non ci saranno. Il Ddl non apporta alcun contributo alla soluzione dei serissimi e annosi problemi del sistema universitario italiano. Si teme la “soppressione” della figura del ricercatore, ma nel breve periodo potrebbero essere banditi moltissimi nuovi posti per questo ruolo. Mentre i professori ordinari e associati non avrebbero alcun incentivo a optare per il nuovo stato giuridico.
Il disegno di legge sull’università contiene le disposizioni per il reclutamento dei professori. Ne fissa i “principi e criteri direttivi”. Che però sono incoerenti perché discendono dal tentativo di far convivere due orientamenti antitetici. Da un lato, si vuole ricondurre le procedure a una dimensione nazionale. Dall’altro, sopravvivono prescrizioni che assicurano un ruolo autonomo alle singole università. Determinare il numero massimo di soggetti che possono conseguire idoneità diventa un problema matematico irresolubile. Come dimostra un esempio numerico.
Le tasse universitarie sono aumentate considerevolmente negli ultimi anni. Ma laurearsi rimane un ottimo investimento. Le tasse e i contributi universitari incidono in misura minima sui costi di frequenza. Per chi paga la cifra massima, il rendimento dell’investimento è di circa il 9,5 per cento annuo. E resterebbe alto anche se il contributo medio per studente fosse portato a 5mila euro annui. Sussidiare così l’istruzione superiore beneficia soprattutto le famiglie più ricche.
La crisi dell’università italiana dipende dalla mancanza di incentivi e da una mentalità assistenziale. Alimentata, quest’ultima, dal valore legale della laurea, dalla dipendenza finanziaria degli atenei e dai troppi vincoli legislativi. Ma gli obiettivi fondamentali da perseguire per migliorare la qualità della ricerca e della didattica non compaiono nella legge approvata al Senato. Soprattutto, non si affronta il nodo di una gestione autonoma delle risorse guidata principalmente da interessi corporativi. E la Crui si oppone alla riforma per i motivi sbagliati.
Nell’indagine Pisa 2003 dedicata alla matematica, i quindicenni italiani si piazzano al venticinquesimo posto tra i paesi Ocse. Le differenze territoriali e fra i vari tipi di scuola sono però molto rilevanti. Al Sud si registrano risultati preoccupanti ed è forte la discrepanza tra la percezione delle proprie competenze e i risultati effettivamente ottenuti dagli studenti. Per migliorare la qualità dell’apprendimento si deve intervenire anche sul contesto economico, sociale e culturale. Ed è necessario intensificare l’integrazione tra scuole e territorio.
I risultati di una ricerca sulle carriere accademiche degli economisti italiani rivelano l’assoluta irrilevanza della qualità o quantità di pubblicazioni e quindi della produttività scientifica in qualsiasi modo essa venga misurata. Un esito inaspettato per un settore a forte internazionalizzazione. Occorre garantire maggiore trasparenza ai processi di selezione degli accademici definendo alcuni requisiti scientifici minimi, misurabili oggettivamente con tabelle non modificabili e predisposte in autonomia dai settori scientifici disciplinari.
Oggi alla Camera si vota per la riforma costituzionale del Polo. E’ il secondo passaggio. Dopo resta solo l’approvazione definitiva da parte del Senato. Ma non è chiaro se la riforma sarà mai applicata.
In attesa del vaccino, per contrastare l’influenza aviaria i Governi hanno un solo strumento: dotarsi di scorte diversificate e quantitativamente sufficienti di antivirali. L’offerta è però limitata. Gli organismi sovra-nazionali dovrebbero perciò assumersi la responsabilità diretta della produzione. Avrebbero così l’occasione per verificare la capacità di risposta tempestiva delle strutture internazionali a emergenze sanitarie e umanitarie mondiali. Non farlo significa rendere più probabili gli scenari peggiori, con costi, anche economici, altissimi.