Le riforme strutturali non possono più essere rinviate. Il Patto di stabilità e crescita puo’ essere un ostacolo alla loro realizzazione perché molte riforme, soprattutto quelle pensionistiche, costano nel breve periodo e pagano nel lungo. Secondo Boeri e Tabellini, nel rivedere il Patto e’ utile introdurre nuovi parametri oggettivi che tengano conto di questi benefici di lungo periodo, come il debito implicito dei sistemi pensionistici. Vito Tanzi, tuttavia, osserva tuttavia che nei paesi che hanno attuato importanti riforme negli ultimi anni il livello della spesa pubblica si è sempre ridotto. Perché spesso la spesa improduttiva è tale da consentire drastiche “cure dimagranti”. Segue la controreplica degli autori.
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La riforma delle pensioni appena varata non eÂ’ strutturale e rischia di far lievitare la spesa previdenziale da qui al 2008 incoraggiando le fughe anticipate verso lÂ’anzianitaÂ’. Ma vi eÂ’ di peggio. Si discute della possibilitaÂ’ di trasferire una parte cospicua del Tfr direttamente allÂ’Inps. Gli effetti di questa operazione su imprese, lavoratori, e lo sviluppo dei fondi pensione rischiano di essere largamente negativi. LÂ’unico beneficio certo sarebbe quello, di breve periodo, per i conti pubblici, al costo peroÂ’ di un loro futuro deterioramento.
Il rinvio dellÂ’entrata in vigore della riforma al 2008 lascia aperta la possibilità che si verifichino consistenti “fughe” verso il pensionamento da parte dei lavoratori preoccupati di venir bloccati da regole più restrittive quanto all’età di pensionamento. Una recente indagine della Fondazione Rodolfo Debenedetti permette di valutare lÂ’entità di questi timori e di stimare il rischio di fughe comportato dall’”effetto annuncio”.
Il ridimensionamento delle domande di pensioni di anzianità è dovuto al puro effetto meccanico di regole più restrittive e non a scelte individuali. E’ infatti aumentato di un anno il requisito di accesso per i dipendenti privati, mentre per i dipendenti pubblici si sono alzate età anagrafica e anzianità contributiva. Se si tiene conto dellÂ’innalzamento dei limiti, si scopre che in realtà le richieste di pensionamento da parte dei lavoratori sono cresciute di circa il 4 per cento. Un fenomeno che continuerà fino al fatidico 2008.
Nei prossimi anni aumenterà la dimensione delle coorti dei grandi anziani e crescerà di conseguenza la domanda di cure e assistenza. Che ha nella famiglia la sua collocazione naturale. Ma il declino delle nascite ridurrà il numero di chi queste cure presta, quasi sempre le donne, fino a rendere insostenibile il carico. Occorre perciò ridefinire la divisione di genere dei ruoli. La sostenibilità economica futura delle politiche sociali passa infatti per un rilancio delle politiche di equità .
Nelle residenze sanitarie assistite il tasso di mortalità è decisamente più alto rispetto a quello indicato nelle tavole della sopravvivenza, a parità di età . Agisce un effetto selezione: si ricoverano gli anziani con perdita di autonomia funzionale superiore allo standard. Ma anche un effetto prodotto dal processo di istituzionalizzazione. Si mantiene così un equilibrio tra domanda e offerta, ma la sovramortalità istituzionale è una questione che le politiche per gli anziani dovrebbero affrontare.
La riforma delle pensioni permetterà di investire il trattamento di fine rapporto nei fondi pensione. Ma questo avrà importanti effetti anche sul mercato del lavoro. Il Tfr non potrà più essere utilizzato come finanziamento a costi inferiori a quelli di mercato e le piccole imprese in particolare perderanno l’incentivo ad allungare la durata del rapporto di lavoro. Così aziende e lavoratori (che dovrebbero considerare tutti i rischi impliciti nelle diverse scelte) potrebbero avere un interesse comune nel non aderire alle possibilità aperte dalla riforma.
Le simulazioni effettuate da Tito Boeri e Agar Brugiavini indicano che una riforma delle pensioni più graduale, ma che partisse subito, sarebbe più equa e otterrebbe risparmi maggiori dell’ultima proposta governativa. Vincenzo Galasso si chiede perchè allora c’è questo rinvio: forse dipende dalla dislocazione territoriale delle pensioni di anzianità e del voto alla Lega, che si è battuta accanitamente per rinviare ogni intervento a dopo il 2008, e che sta chiedendo ulteriori ritocchi alla proposta forse per salvaguardare altre generazioni di lavoratori soprattutto in Lombardia.
Per contribuire in modo costruttivo al dibattito sulla riforma previdenziale, abbiamo simulato gli effetti della riforma proposta del Governo. Si ottengono risparmi inferiori allo 0,7 per cento del Pil e rimane un forte inasprimento della normativa nel 2008. Non sarà più uno scalone, ma non è neanche uno scalino. Stravolta la filosofia responsabilizzante della riforma Dini: ci sarà molta meno libertà di scelta su quando andare in pensione.
Con “quota 96” non è possibile raggiungere risparmi neanche lontanamente vicini allo 0,7 per cento del Pil. A risultati simili si può arrivare con un intervento sui requisiti anagrafici minimi e facendo partire subito la riforma. La riduzione della spesa pensionistica potrebbe così essere ottenuta in modo più graduale, più efficace e più equo. E si potrebbero finalmente finanziare anche i sempre più necessari ammortizzatori sociali. Come dimostrano le simulazioni su una ipotetica riforma che ponga quattro “traguardi” anagrafici