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Categoria: Rubriche Pagina 85 di 257

Il Punto

Sono scesi a 53 miliardi (erano 91 nel 2012) i debiti della pubblica amministrazione verso i fornitori. E, grazie a una direttiva Ue recepita dal governo Monti, si sono anche ridotti i tempi medi di pagamento. In tutto questo – come ricordato anche da Christine Lagarde – nulla c’entrano i minibot, l’arma di distrazione di massa della settimana.
A Osaka il prossimo G20 sotto la presidenza giapponese prova a rilanciare il multilateralismo picconato tutti i giorni da Donald Trump. Un’impresa da samurai. È giusto chiedersi se e quanto possa fare il forum dei 20 decisori che rappresentano oltre l’80 per cento del Pil e del commercio mondiale e due terzi della popolazione del mondo. In ogni caso, l’Italia è ultima del gruppo nel rispetto degli impegni condivisi.
All’età di 79 è mancato Martin Feldstein, a lungo professore ad Harvard, capo dei consulenti economici del presidente Reagan, pioniere nell’uso dei dati per analizzare questioni di politica economica. Rimarrà come rifondatore del National Bureau of Economic Research, un modello per gli istituti di ricerca di tutto il mondo.
Dei 40 miliardi all’anno che oggi lo stato spende per l’istruzione, 12 o 13 saranno trasferiti a Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna che vogliono il federalismo differenziato anzitutto nella scuola e università. A meno che non si ridiscuta la devoluzione di tale materia per alcuni buoni motivi economici, sociali e culturali.

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Il Punto

Nell’ultimo anno lo spread tra i tassi sui titoli pubblici italiani e tedeschi è salito più di 100 punti base. Per ora famiglie e imprese – malgrado le perdite di valore dei loro portafogli – non ne hanno sentito gli effetti sul costo del denaro perché le banche, quando prestano, usano la liquidità immessa dalla Bce. Ma la tassa occulta c’è e verrà fuori. Peccato perché proprio adesso il sistema bancario tira un po’ il fiato dopo gli anni neri dei crediti inesigibili, come ha spiegato il governatore di Bankitalia Ignazio Visco. Per risolvere il problema servono operatori specializzati che si impegnino in una gestione attiva dei crediti, senza limitarsi al loro recupero. Due esperienze europee indicano come fare.
Concluso il secondo turno elettorale di una parte piccola ma significativa dei comuni italiani, vedremo se anche stavolta si è ripetuto il solito fenomeno: solo un quarto degli elettori utilizza l’opzione di voto con doppia preferenza differenziata per genere. Così le donne elette rimangono minoranza. Abbiamo invece dati freschi dell’Agcom (Autorità per le comunicazioni) sui tempi televisivi delle liste in corsa per il Parlamento Ue. Sorpresa: i due partiti di governo mostrano un indubbio vantaggio. E poi la legge sulla par condicio sta diventando un colabrodo nell’era dei social network.
I governatori che reclamano per le loro regioni il federalismo differenziato partono dal presupposto che oggi Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna siano penalizzate in termini pro capite nell’allocazione della spesa pubblica. Un’analisi accurata dell’universo dei dati regionali mostra che ciò non è poi così vero.

Pietro Ichino risponde ai commenti al suo articolo “La Cassazione e il Jobs act”.

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Il dibattito tra i giuslavoristi sulla job property

Nama: il dopo-bolla in Irlanda

L’esperienza irlandese

Per salvare il sistema bancario dell’Irlanda dal dissesto finanziario conseguente allo scoppio della bolla che si era creata sul mercato immobiliare, nel 2009 il governo promosse la costituzione di una bad bank denominata National Asset Management Agency (Nama). L’attivo di Nama era costituito principalmente dai crediti deteriorati delle banche, che derivavano dalla mancata restituzione dei finanziamenti concessi nel settore immobiliare agli operatori economici e agli acquirenti degli immobili.

Gestione imprenditoriale

Il consiglio di amministrazione di Nama ha gestito il loro recupero con un’ottica imprenditoriale, dandosi un orizzonte pluriennale. La strategia di valorizzazione del patrimonio della bad bank si è concretizzata in una pluralità di attività, iniziative e comportamenti.

Un fattore particolarmente importante è il ruolo attribuito ai suoi debitori e il coinvolgimento degli operatori immobiliari nei suoi progetti. Questo consente a Nama di non affidarsi solo alle procedure esecutive per la vendita degli immobili, ma permette anche la prosecuzione delle attività delle imprese che non sono riuscite a restituire i finanziamenti ricevuti, per salvaguardare l’occupazione e, per quanto possibile, creare nuovi posti di lavoro.

In sostanza, Nama gestisce le singole situazioni in collaborazione con i debitori e con i curatori fallimentari delle imprese con l’obiettivo di contenerne il costo per tutti i soggetti coinvolti. Per questo, è autorizzata a svolgere attività analoghe a quelle di un operatore immobiliare che agisce sul mercato e anche a svolgere le funzioni di una banca “buona”. Direttamente o indirettamente, può finanziare perfino soggetti che sono già suoi debitori morosi. Per esempio, può decidere la concessione di un nuovo credito a un operatore o a un curatore fallimentare per consentirgli di completare la realizzazione di un immobile, se si valuta che la sua successiva vendita darà un ricavo sufficiente a saldare tutti i debiti.

La benedizione europea

L’attività, anche imprenditoriale, svolta da Nama sul mercato immobiliare e i finanziamenti a favore di beneficiari che individua discrezionalmente hanno spinto alcuni operatori a presentare un esposto alla Commissione europea ritenendo che essa operi in una condizione di vantaggio rispetto ai concorrenti. Secondo chi ha presentato il ricorso, Nama beneficerebbe di informazioni riservate, di relazioni privilegiate con le amministrazioni che rilasciano le licenze edilizie, di esenzioni fiscale, garanzie statali sui crediti (che perciò ottiene a tassi inferiori a quelli di mercato) e via di seguito. Gli effetti di queste condizioni di maggior favore sarebbero trasferiti agli operatori immobiliari che lavorano con la bad bank, con la concessione di nuovi crediti a bassi tassi di interesse senza sufficienti collaterali e con loan to value vicino al 100 per cento. Le argomentazioni con le quali lo stato irlandese ha rigettato tutte le accuse sono state accolte dalla Commissione europea. Con una decisione dell’inizio del 2018 ha stabilito che gli aiuti ricevuti dalla bad bank non sono illegittimi e che il sostegno dato agli operatori supportati da Nama non costituisce un aiuto di stato, dato che Nama “has acted as a private market operator would have done” (ha agito come avrebbe fatto un operatore di mercato privato).

I risultati

L’elasticità con la quale è stata amministrata Nama ha permesso di raggiungere importanti obiettivi sul versante finanziario e su quello fiscale, eliminando il rischio di far pagare ai contribuenti irlandesi il prezzo del salvataggio del sistema finanziario. Con tre anni di anticipo rispetto al termine del 2020 inizialmente concordato con la Commissione europea, è stato completato il rimborso delle obbligazioni senior di 30,2 miliardi di euro, garantite dallo stato, emesse per l’acquisto di crediti deteriorati. Entro il 2020 si prevede di rimborsare anche la residua somma di 1,6 miliardi di euro di obbligazioni subordinate e di riscattare le quote del capitale sociale della bad bank detenute dai suoi soci privati: Dopo di che, inizieranno a essere trasferiti all’erario i 3,5 miliardi di euro di profitti che si stima produrrà fino alla cessazione dell’attività.

Nama aveva acquisito 355 complessi residenziali ancora in costruzione come collaterale degli attivi; sarebbe stato molto difficile collocarli sul mercato senza completarli. Alla fine del 2017 solo cinque erano ancora nella condizione iniziale. Dal 2014 fino a marzo del 2018 è stata pianificata, completata o avviata la realizzazione di circa 19 mila abitazioni per il mercato, oltre a 2.500 alloggi di edilizia popolare. La vendita in tempi brevi degli immobili, posti a garanzia dei prestiti deteriorati, avrebbe fatto incassare alla bad bank 10 miliardi di euro in meno della somma pagata per rilevarli dalle banche.

Sareb, un’opportunità per il settore immobiliare spagnolo

L’esperienza spagnola

Nel novembre 2012 per acquisire, e successivamente liquidare, il portafoglio di attività finanziarie e immobiliari che appesantivano i bilanci delle banche salvate con i soldi dei contribuenti spagnoli, è stata creata in Spagna la Sareb (Sociedad de Gestión de Activos Procedentes de la Reestructuración Bancaria). Allora era ancora possibile e l’Unione Europea concesse al governo spagnolo un prestito di 100 miliardi di euro per risollevare le sorti di quelle attività. Alla bad bank furono trasferiti 200 mila attivi, per un valore complessivo di 50,7 miliardi di euro, costituiti per il 20 per cento da immobili pignorati a famiglie e la restante parte da prestiti a operatori economici che non erano riusciti a onorare i loro impegni a causa della crisi del mercato immobiliare.

Un gioco a somma positiva

Le strategie messe in atto da Sareb per la gestione degli attivi che avevano come collaterali immobili hanno alcune similitudini con quelle della bad bank irlandese Nama. Fin dal l’inizio della sua attività, al ricorso alle procedure giudiziali, Sareb ha affiancato la sperimentazione di percorsi extragiudiziali per recuperare i suoi crediti. Particolarmente importante è stata la promozione, nell’ottobre del 2013, del Plan de oportunitad 2013. Lo strumento è restato operativo per pochi mesi, ma ha contribuito a impostare quello che sarebbe stato il modus operandi della bad bank anche per il prosieguo della sua attività. L’applicazione del piano dava, a un operatore immobiliare di dimensione piccola o media, l’opportunità di proporre alla bad bank (che però avrebbe potuto rifiutare l’offerta) l’estinzione del suo debito pagando in un’unica rata un importo maggiore di quello sborsato da Sareb per acquisirlo. I fondi necessari li avrebbe ricavati vendendo a un prezzo scontato, rispetto al loro valore di mercato, gli immobili che costituivano il collaterale del finanziamento inizialmente ricevuto dalla banca.

Al di là della perdita accusata dalla banca nel trasferire a Sareb i suoi crediti deteriorati per cifre inferiori a quelle registrate a bilancio, per il resto le operazioni concluse ricorrendo a quello strumento configurano un gioco a somma positiva, in cui tutti i giocatori traevano un vantaggio: le piccole e medie imprese del settore costruzioni potevano salvarsi e chiudere le loro esposizioni con Sareb con uno sconto rispetto agli importi dei debiti accumulati con le banche; Sareb recuperava i suoi crediti in tempi molto più rapidi di quelli che avrebbe impiegato con le procedure esecutive, incassando cifre più altre di quelle pagate alle banche e probabilmente più alte anche di quelle che avrebbe ricavato con le vendite all’asta; gli acquirenti acquistavano le abitazioni a prezzi più convenienti; e poiché erano prezzi più bassi di quelli di mercato, le operazioni acquisivano anche un’impronta sociale in quanto consentivano l’accesso alla casa anche alle famiglie meno abbienti.

Una bad bank prolifica

La struttura del Plan del 2013 è stata mutuata successivamente nei Planes de dinamización de ventas. La differenza principale tra i due strumenti è che gli accordi dei Planes attribuiscono alla bad bank il compito di vendere gli immobili; per il resto funzionano sostanzialmente come il piano del 2013. Il 24 per cento degli acquirenti degli alloggi venduti da Sareb nel 2017 sono state persone giuridiche; la società può negoziare anche con fondi di investimento la cessione di stock di immobili e di crediti.

In sostanza, Sareb ha la possibilità di comportarsi come un operatore di mercato, che può svolgere un ventaglio ampio di interventi e di iniziative per ricavare il massimo dalla gestione dei suoi attivi. La flessibilità operativa concessa alla bad bank spagnola va ben oltre la ristrutturazione dei crediti e la vendita degli immobili, dal momento che le consente anche di realizzare nuovi edifici, svolgere attività di promozione urbanistica, funzionare da agenzia immobiliare per la locazione e l’intermediazione delle compravendite. E non solo nel comparto residenziale, ma anche in altri settori del mercato immobiliare.

Per massimizzare il ricavo del disinvestimento degli attivi tossici, al momento del loro salvataggio con fondi pubblici, fu imposto alle banche che li cedevano di trasferire a Sareb anche altri crediti in bonis e le società immobiliari direttamente o indirettamente controllate che la bad bank considerava utili per raggiungere l’obiettivo. Inoltre, a Sareb è consentito creare uno o più Fab (Fondo de Activos Bancarios): si tratta sostanzialmente di piccole bad bank, alle quali trasferire parti dei suoi attivi, che operando in deroga al diritto commerciale e alla normativa fiscale ordinaria godono di particolari vantaggi che possono aiutare nella vendita degli immobili e degli altri attivi.

I risultati

Malgrado le iniziali difficoltà di bilancio registrate da Sareb, la strategia adottata sembra dare risultati adeguati a raggiungere l’obiettivo del totale disinvestimento dell’attivo entro il 2027. Un suo rapporto pubblicato a marzo del 2019 stima che l’ampio ventaglio di attività realizzate ha contribuito per lo 0,41 per cento al prodotto interno lordo spagnolo tra il 2013 e il 2018. In quel periodo la società ha rimborsato il 29,6 per cento, cioè circa 15 miliardi di euro, dell’importo delle obbligazioni senior emesse per l’iniziale acquisizione del suo attivo. Ai sottoscrittori dei titoli emessi da Sareb sono state pagate cedole per circa 4,8 miliardi di euro, mentre il settore pubblico ha incassato 1.068 milioni di euro di imposte e tasse. I 17.345 debitori iniziali della bad bank erano diventati 13.239 alla fine del 2018; a quella stessa data erano stati venduti circa 90 mila immobili ed erano 4.600 quelli affittati. Sul versante sociale sono stati creati 40.760 posti di lavoro e 4 mila abitazioni sono state destinate a edilizia sociale.

Il Punto

L’abitudine dei governi italiani di non rispettare le regole europee sul debito è cronica. Ma stavolta mancano le attenuanti del passato e in più il governo annuncia piani che porterebbero il deficit oltre il 3 per cento. Per questo la Ue ha avviato la procedura d’infrazione, evitabile solo trattando e mettendo da parte gli slogan. Come soluzione al macigno del debito, esponenti della Lega tornano a proporre i minibot. Comunque li si rigiri, sono altro debito dello stato, contabilizzato o no. Chi li vuole li immagina come una moneta aggiuntiva all’euro. Ma – forse, chissà – meno affidabile della valuta europea e, in più, illegale. Come ha ricordato Mario Draghi nella sua conferenza stampa, a fianco di commenti ad ampio spettro sui temi caldi del momento.
Certo non è la scuola la voce di costo in cui si sprecano soldi pubblici. Come in passato anche il governo “del cambiamento” non vede l’istruzione come una priorità. Una delle poche cose fatte è la – mal pensata – abolizione del tirocinio per gli insegnanti. Mentre il federalismo differenziato aumenterebbe le disuguaglianze tra gli studenti.
C’è un aspetto del reddito di cittadinanza di cui si discute poco: aumenta in modo strutturale il tasso di disoccupazione. Perché chi ne beneficia e non ha un posto di lavoro (anche la casalinga, anche il Neet) viene classificato come disoccupato, partecipante virtuale al mercato del lavoro.
De André cantava “dal letame nascono i fior” e se non sono proprio fiori ciò che esce dal riciclaggio dei rifiuti (dai pannolini alle deiezioni animali) poco ci manca perché si producono beni utili, senza sprecare nulla. In questo settore fortemente regolato, però, serve coordinare tra loro norme Ue, italiane e regionali.

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Il Punto

I politici imprenditori della paura hanno costruito una barriera tra realtà e percezione dell’immigrazione e convinto gli italiani che gli stranieri rubano loro il lavoro, sfruttano il loro welfare, portano malattie e criminalità. Non è così: una migrazione governata crea lavoro, più servizi, meno debiti pro capite. E può finanziare il nostro stato sociale. Di globalizzazione e nazionalismi si è parlato al Festival dell’Economia di Trento, che ha visto una bella partecipazione anche ai Forum organizzati da lavoce.info. Ne proponiamo i video.
La bassa crescita dell’Italia è cominciata oltre 20 anni fa e, a questo punto, fare più debiti peggiora soltanto i conti pubblici. Lo ha detto nelle sue “considerazioni finali” il governatore di Bankitalia. Aggiungendo che, non potendo fare a meno dell’Europa, dovremmo contribuire a farla funzionare meglio.
Dopo il boom dell’anno scorso, i fondi Pir – piani individuali di risparmio – creati per far arrivare i soldi delle famiglie alle Pmi in cambio di vantaggi fiscali, hanno subito una battuta d’arresto. A causa di nuovi paletti inseriti nell’ultima legge di bilancio che li rende più rischiosi e meno attraenti. Ma forse ora potranno ripartire.
Se il governo vuole essere “del cambiamento”, un terreno per dimostrarlo è quello della amministrazione fiscale. Ma il nuovo non arriva con la “pace fiscale”, cioè facendo passare il debitore di imposte come un perseguitato e chi deve riscuotere le tasse per la collettività come un vampiro succhiasangue.
Nella guerra commerciale Usa-Cina con la contesa Google-Huawei entrano la geopolitica e la tecnologia. Dall’America si vuole frenare il quasi-monopolio cinese nelle “terre rare” indispensabili per produrre parti di hardware ma anche il vantaggio sviluppato dalla società cinese sul nuovo standard di comunicazione 5G.
Scucendo 330 milioni di euro per meno del 10 per cento di Prosiebensat1, Mediaset diventa primo azionista di una delle maggiori tv tedesche. Un’operazione difficile e rischiosa ma con un obiettivo ambizioso: sedere a pieno titolo al tavolo con i nuovi grandi e consolidati operatori globali.

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Il Punto

A un anno dall’insediamento del governo gialloverde e mentre è ripreso il traffico di “letterine” tra Roma e Bruxelles abbiamo raccolto gli articoli che tracciano il bilancio di un “anno di cambiamento” in un Dossier, tema per tema. Di questi 12 mesi spiccano gli impegni non mantenuti del contratto Lega-M5s. Dalla mancata riforma della flat tax per imprese e persone al rinvio di una decisione sulla Tav, dal dimezzamento degli stipendi dei parlamentari (primo atto promesso da Di Maio) all’abolizione delle più “antiche accise che gravano sulla nostra economia” (copyright Salvini), la lista del “non fatto” è lunga. Il capitolo della lotta all’evasione fiscale, annunciata – come fa ogni governo – per motivi di giustizia e di bilancio, registra provvedimenti assenti o contraddittori. Sostanzialmente in continuità con il passato. Ma con un ritorno a grande richiesta (di chi non ha pagato le tasse): il solito condono. Per migranti e rifugiati, sui quali il leader della Lega si è espresso con parole e gesti sopra le righe, è arrivato il primo decreto sicurezza per ridurre il numero degli stranieri accolti e che invece potrebbe creare tanti nuovi irregolari. Mentre i rimpatri e gli altri obiettivi indicati non sono stati nemmeno sfiorati.
Da ieri e per tre giorni a Trento si festeggia l’economia, i suoi metodi di analisi e i tanti temi che una scienza sociale consente di affrontare. Ci saremo anche noi de lavoce.info: veniteci a cercare, cari lettori, nei forum da noi organizzati e negli incontri che vedono coinvolti i nostri redattori. Tra i tanti temi trattati ce n’è uno speciale evergreen per chi si è stufato delle contrapposizioni ideologiche. Tra stato e mercato serve un terzo pilastro identitario, la comunità dei cittadini – uniti da reti umane reali. Ne discute nell’evento conclusivo del Festival dell’economia e in un libro appena uscito l’economista Raghuram Rajan. A Trento si parlerà anche dei tanti giovani che lasciano l’Italia, molto spesso con alti livelli di istruzione: vanno a lavorare in altri paesi e non tornano. Ma ci sono proposte per rendere il “brain drain” proficuo per il paese.

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Un anno di governo Lega-5stelle

Stato e mercato da soli non bastano

Oltre ai due pilastri tradizionali dell’economia, serve anche il supporto di una comunità coesa e forte per garantire il benessere dei cittadini. Ne parla l’autore de “Il terzo pilastro”, che chiuderà domenica 2 giugno il Festival dell’economia di Trento con un dialogo insieme a Tito Boeri.

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