Il decreto promosso dal governo garantisce risorse più che sufficienti per le esigenze del sistema delle imprese. Ma è necessario che il bazooka inizi subito a “sparare” liquidità. L’istruttoria approfondita andrebbe riservata solo alle imprese più rischiose.
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Durante l’emergenza coronavirus l’Italia ha scoperto lo smart working. Che non si può fare ovunque. Specialmente da noi dove ci sono 3,5 milioni di lavoratori manifatturieri, spesso attivi in piccole imprese tradizionali. Eppure lavorare a distanza (di sicurezza) si potrebbe, investendo in tecnologie appropriate. Intanto incombe sulle imprese italiane il pericolo di fallimento per mancanza di liquidità. Usando dati dettagliati di bilancio, si vede che, a seconda dello scenario più o meno negativo, sarebbero a rischio di chiusura da 124 a 176 mila aziende entro fine anno.
Dai social media qualche volta sembra che il nostro sistema ospedaliero sia allo sfascio. Non è così. È invece un sistema ristrutturato negli ultimi anni per ospitare pazienti con malattie non trasmissibili come cancro o diabete. Meno preparato per la pandemia, che ha affrontato con efficacia mista ad affanno. Peraltro le circolari di fine gennaio del ministero della Salute per mettere in guardia le amministrazioni pubbliche competenti sull’arrivo dell’epidemia contenevano prescrizioni dissimili a pochi giorni di distanza. Con il rischio di disattendere il “principio di precauzione” da applicare di fronte all’eventualità di eventi catastrofici. Rimane che in Italia abbiamo più morti per il Covid-19 anzitutto perché la popolazione è più anziana che altrove e, dunque, vulnerabile. Ma anche per l’alto rischio presente tra i contagiati non individuati. Occorrono tamponi a tappeto mirati sugli individui più a rischio. Come ha fatto la Corea.
Dietro la super-volatilità dei rendimenti sui Btp italiani e Bund tedeschi c’è anche la possibilità di sfruttare alcune incongruenze nelle regole di negoziazione. Una più efficace collaborazione tra Consob e Bafin, le autorità di mercato nei due paesi, potrebbe evitare dannose distorsioni di mercato. Mentre la Fed ha fatto il suo “whatever it takes” annunciando che acquisterà titoli sui mercati stampando moneta in quantità illimitata. Un modo per garantire elevata liquidità sui mercati ed evitare un eccessivo apprezzamento del dollaro di cui Donald Trump e l’economia americana non hanno certo bisogno.
I dati indicano che il nanismo dimensionale delle imprese italiane è il principale ostacolo a un aumento della produttività. Sarebbe necessario un progetto di sviluppo che spinga le imprese ad aggregarsi e a crescere contando su prospettive meno incerte.
La crisi di Air Italy ha radici strutturali oltre che nella strategia dell’impresa. Difficile dunque pensare a una soluzione stile Alitalia. Ma è la mancanza di una seria politica di sviluppo del paese che fa sì che ogni crisi aziendale rappresenti un dramma.
Un rapporto Istat conferma ancora una volta il rallentamento della crescita della produttività in Italia. Nessuno però sembra preoccuparsene. Forse perché affrontare la questione significherebbe rimettere in discussione abitudini e rendite di posizione.
La divergenza geografica è un tratto distintivo dell’economia basata sulla conoscenza. In un paese già disomogeneo come l’Italia, ciò apre questioni che vanno affrontate subito, per creare le condizioni per garantire a tutti un’esistenza dignitosa.
Dalla metà degli anni Novanta, la crescita della produttività nel Sud Europa è stata molto inferiore rispetto a quella di altri paesi sviluppati. Perché non hanno saputo approfittare della rivoluzione informatica. E la causa è un management inadeguato.
Molti giovani hanno lasciato l’Italia negli ultimi anni, soprattutto durante la crisi. Quali sono stati gli effetti sull’imprenditorialità? Una ricerca stima quante imprese in meno sono state costituite, in particolare tra quelle ad alta innovazione.
Le imprese manifatturiere meridionali registrano un ampio divario di produttività rispetto a quelle settentrionali. A partire dal 2008 il differenziale si è ridotto di circa un terzo. Ma ciò è dovuto all’uscita dal mercato delle aziende meno efficienti.
Livelli elevati dello spread, se prolungati nel tempo, hanno effetti sui tassi di interesse. E di conseguenza su investimenti, redditività e rischio delle imprese. Rispetto al passato, però, le Pmi potrebbero resistere meglio a un eventuale shock.