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Uniti o divisi? Le alterne vicende di Istruzione e Università

Dopo un ping pong durato trent’anni, nel 2020 i due ministeri sono tornati a essere separati. Ma come funzionano meglio? E a quale dei due conviene maggiormente l’accorpamento? Senza dimenticare i costi di transizone e ritardi amministrativi.

La scuola è un focolaio?

La riapertura delle scuole ha contribuito all’aumento dei contagi da Covid-19? Manca un monitoraggio preciso dell’andamento dei nuovi positivi, che invece sarebbe necessario. Anche per evitare chiusure che hanno pesanti riflessi sul futuro degli studenti.

Ripartire dagli insegnanti: la ricetta per la scuola del Sud

I dati Invalsi hanno certificato che gli studenti del Mezzogiorno ottengono risultati molto al di sotto della media nazionale in tutte le prove e per ogni grado di scuola. Centrale è la qualità dell’insegnamento. Ed è lì che bisognerebbe intervenire.

Università private: finanziamenti o aiuti di stato?

Il ministero dell’Università assegna le risorse del Fondo per il finanziamento ordinario senza distinguere tra atenei pubblici e privati. Ma così facendo, riconosce a enti di natura giuridica privata un aiuto di stato vietato dai trattati europei.

Buoni docenti per una Buona scuola

Nuovo modello per le assunzioni

Nel loro intervento pubblicato l’11 aprile sul nuovo sistema di assunzione e formazione iniziale degli insegnanti della scuola secondaria, Daniele Checchi e Maria De Paola hanno espresso un giudizio sostanzialmente positivo, accanto al quale non manca comunque la critica ad alcuni specifici aspetti che possono rappresentarne punti di debolezza e quindi infirmare la positività dei risultati.
Prima di dimostrare l’infondatezza delle critiche, ricordo che la riforma rappresenta un vero cambio di paradigma. Ormai da decenni si diventava insegnanti – con modalità cambiate più volte – tramite esperienze dirette sul campo (insegnamenti per supplenza) ed esperienze formative presso le università (Ssis, Tfa, corsi abilitanti, Pas); conseguita l’abilitazione, c’era poi da superare uno dei rari ed erratici concorsi per l’assunzione in ruolo, oppure attendere l’assunzione diretta dalle graduatorie in lento scorrimento. Un sistema che ha causato lunghi e defatiganti precariati, la caccia ai punteggi più che alle competenze, la disaffezione delle persone più brillanti, senza dimenticare gli effetti della presenza nelle scuole di insegnanti ancora non ben formati e i costi economici a carico degli aspiranti docenti.
Il nuovo modello inverte l’ordine: prima un concorso per merito, a cadenza biennale, che selezionerà coloro che hanno la migliore preparazione disciplinare e un buon orientamento metodologico e psico-pedagogico; poi un percorso triennale, retribuito, di formazione alle competenze professionali e tirocinio (Fit) riservato ai vincitori del concorso e cogestito da università e scuole. Chi supererà positivamente il percorso Fit sarà assunto a tempo indeterminato come docente.

Nessun nuovo precariato

Una preoccupazione di Checchi e De Paola è che il concorso possa generare un numero di vincitori eccedente il fabbisogno reale di docenti. È forse sfuggito loro che non sarà messo a concorso alcun posto di insegnante che non corrisponda a un posto che si renderà vacante e disponibile al termine del periodo di formazione dei vincitori del concorso e che non ci saranno altri vincitori oltre quelli in numero pari ai posti messi a concorso. Non si alimenterà, quindi, nuovo precariato e, soprattutto, non ci saranno gli abilitati senza cattedra, che hanno rappresentato, incolpevoli, una sorta di incubatore di frustrazione e di precariato.
Molta dell’efficacia del sistema dipenderà dal rigore del lavoro valutativo delle commissioni, chiamate a giudicare soprattutto competenze professionali maturate nel triennio dai vincitori di concorso. Le commissioni saranno costituite da personale della scuola e del mondo accademico, per superare l’ingiustificata separazione di funzioni che ha contraddistinto fino ad ora la formazione iniziale e il reclutamento dei docenti: all’università la formazione e alla scuola la selezione, senza una solida condivisione degli obiettivi formativi e professionali da raggiungere. A questa nuova collaborazione strutturata e paritetica tra scuola e università spetterà anche la responsabilità di intercettare, per tempo, coloro i quali non dimostrassero attitudini e competenze adeguate alla funzione docente.
Come ogni riforma profonda, anche questa dovrà affrontare una fase transitoria che terrà conto della varietà dei docenti precari, generati dalla stratificazione di scelte pregresse e disorganiche. Il decreto legislativo tiene dunque conto di coloro che sono inseriti nelle graduatorie poste a esaurimento nel 2007, dei vincitori e idonei del concorso 2016, nonché dei già abilitati all’insegnamento e di coloro che, pur non essendo abilitati, insegnano da anni. In alcune regioni e discipline queste categorie sono già esaurite o in esaurimento (tanto che sono chiamati a insegnare anche neolaureati), in altre contengono ancora migliaia di persone. Per loro non sono previste sanatorie, bensì uno specifico percorso valutativo e formativo, differenziato in base alle esperienze già maturate e ai diversi titoli conseguiti, che consentirà nel tempo, a chi lo supererà, di essere assunto in ruolo su quote riservate di posti. Tutte le assunzioni saranno effettuate esclusivamente sulle disponibilità dell’organico attuale, frutto del turn-over o della trasformazione di posti dell’organico di fatto (insegnamenti ora coperti da precari) in organico di diritto. Non avverrà dunque alcuna “infornata”. Allo stesso tempo, per non privarsi dell’apporto dei laureati più giovani e motivati, ogni concorso, sin dal primo del 2018, riserverà loro una quota di posti, che crescerà progressivamente nel tempo, via via che la fase transitoria si andrà esaurendo nelle varie regioni e classi di concorso.
Merito, formazione, ricerca educativa integrata alla quotidianità della scuola, valutazione e programmazione sono i principi direttivi della riforma che è, innegabilmente, organica: ad essi sono parimenti ispirati il nuovo regime ordinario e quello transitorio, con l’obiettivo di assicurare buoni docenti per una buona scuola.

Manuela Ghizzoni, Parlamentare Pd e ricercatrice universitaria

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Dal 2015 tutte le scuole statali saranno coinvolte in un processo di autovalutazione. Il problema è che potrebbero non avere tutte le informazioni necessarie per compilare il rapporto. Dati disomogenei potrebbero portare a valutazioni errate. Linee guida del ministero e priorità di miglioramento.

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