Si discute di “salute diseguale” alla dodicesima edizione del Festival dell’economia di Trento (1-4 giugno). Perché la disuguaglianza più inaccettabile è quella nell’accesso alla sanità e ai servizi sociali. Quale sarà il contributo de lavoce.info.
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In Italia i ticket non sono più uno strumento di razionalizzazione della domanda, ma servono per finanziare la spesa sanitaria. In più sono decisi dalle singole regioni, creando una grave disparità di accesso al servizio sanitario nazionale.
Riusciranno le regioni a decidere come spartirsi 480 milioni di tagli, dopo aver trovato l’accordo su 3 miliardi e mezzo? La vicenda spiega bene come il sistema delle relazioni tra stato e regioni abbia urgente bisogno di chiarezza. E un nodo chiave è il significato da attribuire ai Lea.
Con la discussione sulla legge di bilancio si torna a parlare di finanziamenti alla sanità. Al di là della retorica di governo e regioni, prima di parlare di fabbisogno, si dovrebbe chiarire quale sistema sanitario si vuole per il futuro. Nuovi Lea: l’accentramento non risolve i divari territoriali.
Il manifesto del governo Renzi sulla sanità pubblica è contenuto nel patto per la salute per il 2014-2016. E l’agenda è certamente ricca di contenuti. Manca però una visione complessiva del servizio sanitario nazionale che guardi al futuro. Le scelte sulle risorse e i rapporti con le regioni.
Il 31 maggio vota in sette regioni. Ma poco si sa di come i candidati governatori intendano realizzare i risparmi di spesa sanitaria previsti dalla Legge di stabilità. Eppure, la sanità resta l’attività principale delle regioni. Le scelte del governo, i tagli e il poco tempo per attuarli.
Circola la proposta di far pagare il ticket anche a chi ha più di 65 anni. L’esenzione resterebbe solo per gravi patologie, famiglie numerose e redditi bassi. Se fosse accolta si tratterebbe di un’occasione persa per correggere le incongruenze più significative del sistema di compartecipazione.
Dove troveranno le regioni i 4 miliardi da tagliare previsti dalla legge di stabilità? Il grosso della loro spesa è nella sanità, in cui si annidano quasi 24 miliardi di sprechi e di mazzette. L’unica componente di spesa pubblica dove non ci sono stati tagli negli ultimi anni. Anche nei trasporti locali c’è spazio per realizzare risparmi significativi. Perché molti servizi sono sovradimensionati, i nostri costi sono tra i più alti d’Europa e le tariffe tra le più basse. Qui ci vuole una riorganizzazione complessiva del sistema. Passando sopra a clientele elettorali e interessi particolari.
Mezzo miliardo di euro per il bonus bebè alle famiglie con nuovi nati. Se sarà -come annunciato in tv- una misura universale, andrà in buona parte ai ceti medi sprecando un’occasione per dare un aiuto alle fasce di popolazione povera.
A che percentuale di possesso delle azioni deve scattare l’obbligo di Opa totalitaria? Per le piccole-medie imprese quotate, il decreto “Competitività” lascia agli statuti sociali stabilire la soglia tra il 25 e il 40 per cento. Un modello che forse potrebbe essere esteso alle grandi società.
La corruzione diminuisce il tasso di crescita del Pil. Ma davvero alimenta anche il debito pubblico, come sostengono vari studiosi? In realtà è difficile stabilire un rapporto causa-effetto. Non può perciò diventare un alibi per la spesa di denaro pubblico fuori controllo.
Un commento di Pietro Reichlin all’intervento di Tito Boeri “Dieci ragioni contro il Tfr in busta paga” e la replica dell’autore
La Legge di stabilità chiede alle regioni tagli per almeno 2 miliardi netti. Per dimensioni, il primo candidato è la sanità. Dove risparmi sono possibili, ma solo come somma di tanti piccoli interventi nel mare della spesa. E richiedono programmazione, impegno e collaborazione da parte di tutti.
È davvero possibile tagliare la spesa sanitaria senza compromettere i servizi erogati ai cittadini? Negli ultimi anni si è fatto ricorso a diversi strumenti, ma sono mancate le azioni strutturali e la capacità di investire sui processi di cambiamento e le competenze dei funzionari pubblici.