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Perché il turismo non è una materia comunitaria

A parte la breve parentesi del programma Philoxenia, finora l’Unione europea si è occupata poco di turismo, per ragioni storiche e per i diversi interessi fra stati. Ma il cambiamento climatico promuove nuove mete e la situazione potrebbe mutare presto.

Tutto comincia con la Ceca

L’Unione europea nasce su basi molto lontane dal turismo. Per capire da dove nascono le posizioni e le azioni dell’Ue nei confronti del settore è utile ripercorrere, seppur in breve, le sue fondamenta.

Il primo pilastro della storia economica dell’attuale Unione europea è stato la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca), creata  nel 1951 per mettere in comune le produzioni delle due materie prime tra sei paesi: Belgio, Francia, Germania Occidentale, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi.

La Ceca era stata concepita come passo iniziale di un processo federale europeo, e fu infatti l’istituzione che precorse la strada del Trattato di Roma.

Il settore carbo-siderurgico era all’epoca fondamentale per la produzione di armamenti e materiale bellico, e di lì nacquero poi, nel 1957, Euratom e Cee. In quell’occasione, tra gli stati membri, vennero firmati anche una serie di protocolli collaterali sui privilegi e le immunità della Comunità che si stava creando, sullo statuto della Corte di giustizia e del Consiglio d’Europa.

La Comunità economica europea arrivò con il trattato firmato a Roma, il 25 marzo 1957, dai rappresentanti degli stessi sei paesi della Ceca. Dopo un lungo processo di integrazione, con l’adesione di nuovi stati membri e la firma di nuovi trattati, nel 1992 è divenuta l’attuale Unione europea.

Il tentativo di Philoxenia

L’Europa unita nasce soprattutto per evitare nuove guerre tra paesi europei: anche per questo è molto lontana dal turismo, un fenomeno (e un settore economico) all’epoca decisamente marginale. Basti pensare che la prima indagine Istat sulle vacanze, effettuata nel 1959, fissava al 13 per cento la quota di italiani che allora potevano permettersele.

La Comunità europea si fonda su basi ben diverse da quelle dell’economia attuale e volutamente “trascura” il turismo per almeno 40 anni, fino a Philoxenia, primo (e ultimo) programma comunitario a favore del turismo, proposto dalla Commissione nel 1996 e poi estintosi nel 2002. Aveva per obiettivi il miglioramento della conoscenza nel settore, il contesto legislativo e finanziario, la qualità del turismo europeo e l’aumento del numero di turisti provenienti dai paesi terzi.

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I motivi della brevità di questa meteora stanno realisticamente nella scarsa efficienza del programma, che era arrivato persino a finanziare la realizzazione di impianti sciistici sul Monte Ida, a Creta. Anche la realizzazione di campagne promozionali pluriennali dell’Europa sui mercati extra continentali apparve allora una iniziativa velleitaria, in quanto si applicava a una “destinazione-continente” troppo complessa, ampia e variegata, e percorsa al suo interno sia da tensioni longitudinali (tra Nord e Sud), che da competizioni “orizzontali” tra paesi del Sud, che sviluppavano un marketing turistico nazionale anche incrociato. A conti fatti, l’idea di una “marca Europa” e quella di un “grand tour” continentale si rivelarono chimere.

Tutti i fondi nel calderone

Pur non esistendo quindi una linea di azione settoriale, attualmente sono almeno 15 i programmi di finanziamento Ue pertinenti al turismo, che, stando alla fonte ufficiale “Transition Pathway for Tourism” della Commissione (2022), forniscono un sostegno più ampio di quanto sarebbe possibile con un unico strumento specifico.

Ma non si tratta certo di uno strumento finalizzato, uno stanziamento riservato e protetto, quanto di programmi aperti a una competizione allargata a più settori, a milioni di imprese anche molto strutturate e organizzate.

In ogni caso, secondo l’Organizzazione mondiale del turismo (ora UN Tourism) nel 2023 l’Europa è la prima destinazione turistica del mondo, che ha catalizzato il 54,5 per cento dei flussi internazionali, accogliendo 700,4 milioni di visitatori stranieri. La fetta più consistente dei flussi si è concentrata nell’area del Sud e del Mediterraneo con 307,4 milioni di arrivi, superando di 11 punti percentuali i risultati dell’anno pre-Covid.

Ritorna quindi la distinzione tra paesi del Nord, tradizionali emettitori netti di flussi turistici anche verso il Sud Europa, nonché principali azionisti politici di riferimento dell’Unione, e paesi del Sud, storici recettori dei flussi, da questi e da altri paesi.

Equilibri in lento movimento

Col tempo molte cose cambiano, però. Anche perché, spesso proprio grazie ai programmi trasversali dell’Unione, diverse regioni del Nord – come i Lander tedeschi, le Fiandre e i paesi scandinavi, forti anche del cambiamento climatico che li rende più vivibili – stanno risalendo la china, proponendosi come nuove destinazioni turistiche.

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Anche per questo nel prossimo futuro la comparazione del peso del turismo nelle diverse economie nazionali europee potrebbe riservare qualche sorpresa.

Oggi, infatti, la barra orizzontale della media europea costituisce una sorta di linea di demarcazione tra “il Sud che incassa” (Croazia, Portogallo, Spagna, Italia, Austria, e così via) e “il Nord che spende” (Lussemburgo, Belgio, Svezia, Danimarca, fino alla Germania e alla Francia), e definisce anche gli schieramenti e il peso dei giocatori nella partita del turismo.

In prospettiva, la crescita turistica dei paesi del Centro-Nord Europa potrebbe portare i rispettivi governi a una considerazione e una attenzione più favorevole al settore anche nell’Unione.   

**La ricerca e l’elaborazione dei dati presenti nel testo sono state supportate da Roberto Mazzà, direttore Tecnico di SL&A, esperto in analisi economica a supporto della pianificazione di marketing, con particolare riguardo al settore turistico, anche mediante indagini sulla domanda e sull’offerta, desk e field, e lo sviluppo di Osservatori.

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Italia bocciata in giustizia razziale

  1. Edwin Abbot

    Certo che “comunitaria” nel titolo e nel testo fa (ormai) ridere solo i polli.

    Ma, si dirà, con la tipica bonaria attenuatio italica, che è un lapsus dovuto all’inerzia del ceto politico, economico e culturale italiano.

    La Comunità europea non esiste più da 15 anni!

    Magari sarebbe ora di usare “dell’Unione”, dal momento che non si può usare “federale”, visto che la UE non è (ancora?) una federazione.

    Ricorda quando alcuni dicono “non ho una lira”, quando la lira non esiste più da 22 anni.

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