La Bce continua a mantenere una politica monetaria restrittiva. Ma ancheun eventuale calo dei tassi non risolverà i gravi problemi dell’economia europea senza passi avanti nella realizzazione dell’Unione monetaria e dell’Unione del mercato dei capitali.

La politica della Bce dal 2020 al 2024

Nella riunione dell’11 aprile, il Consiglio direttivo della Banca centrale europea ha deciso di mantenere invariati i tre tassi di interesse di riferimento, perché “le nuove informazioni hanno sostanzialmente confermato la precedente valutazione circa le prospettive di inflazione a medio termine”.

Per comprendere quali effetti possa avere sull’economia europea questa scelta, facciamo un passo indietro.

A fine 2020 il tasso di inflazione nell’Eurozona misurato dalle variazioni percentuali sui dodici mesi dell’Iapc (Indice armonizzato dei prezzi al consumo) è leggermente negativo (-0,30 per cento). Nel luglio 2021 supera il 2 per cento, per portarsi a fine anno al 5 per cento.

L’aumento prosegue nel 2022, anche a seguito delle tensioni provocate dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, fino a raggiungere la punta massima (10,60 per cento) in ottobre.

Nella prima metà del 2022 la Bce non si muove considerando temporanee le tensioni inflazionistiche. Solo a fine luglio 2022 inaugura una politica monetaria restrittiva aumentando il tasso sulle operazioni di rifinanziamento principale da 0 a 0,50 per cento. Gli aumenti del tasso si susseguono fino a settembre 2023, quando raggiunge il livello del 4,50 per cento.

Il tasso è al 4,50 per cento ormai da sette mesi, ma ciò non implica la neutralità della politica monetaria. Per valutarne gli effetti sull’economia, occorre considerare i livelli dei tassi di interesse in termini reali, che si ottengono sottraendo il tasso di inflazione a quelli in termini nominali.

Se i tassi nominali sono stabili, la riduzione del tasso di inflazione fa aumentare i tassi reali con effetti negativi sulle decisioni di consumo e di investimento dell’economia. Va inoltre considerato l’impatto restrittivo esercitato dalla Bce attraverso la rilevante riduzione del suo bilancio, che è passato dal livello massimo di 8.810 miliardi di euro, raggiunto a fine settembre 2022, a 6.620 miliardi di euro a fine marzo 2024.

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Una decisione attesa

Arriviamo così alla riunione dell’11 aprile. Confermando le attese della vigilia, la Bce non ha variato il livello dei tassi di riferimento, che sono rimasti al 4,75 per cento (tasso sulle operazioni di finanziamento marginale), al 4,50 per cento (tasso sulle operazioni di finanziamento principale) e al 4 per cento (tasso sulle operazioni di deposito marginale). D’altra parte, che non ci sarebbe stata alcuna riduzione dei tassi ad aprile la presidente della Bce lo aveva già lasciato intendere nel corso della conferenza stampa del 7 marzo. Nel comunicato stampa che è stato diffuso dopo l’ultima riunione compare la consueta precisazione che “le decisioni future saranno mirate a mantenere i tassi su livelli sufficientemente restrittivi finché sarà necessario”, così come l’intenzione di “seguire un approccio guidato dai dati”, senza particolari indicazioni sul percorso che sarà seguito in futuro. Ovviamente, durante la conferenza stampa dell’11 aprile le domande dei giornalisti si sono concentrate sul momento in cui la Bce ridurrà i tassi. Nelle risposte, la presidente non si è sbilanciata, ma si è limitata ad affermare che quando le valutazioni in merito alle prospettive di inflazione, alla dinamica dell’inflazione di fondo e all’intensità della trasmissione della politica monetaria accresceranno ulteriormente la certezza di un ritorno del tasso di inflazione all’obiettivo del 2 per cento, potrà essere opportuno rivedere l’attuale livello di restrizione monetaria.

L’appuntamento è ora al 6 giugno, quando si terrà la prossima riunione del Consiglio direttivo della Bce.

I limiti della politica monetaria

L’orientamento della politica monetaria rimane quindi restrittivo, proprio in un periodo in cui l’Europa affronta una serie di problemi di dimensioni mai viste da quando è stata introdotta la moneta unica nel 1999. È certamente opportuno che quanto prima la Bce, che peraltro ha uno Statuto che le assegna l’obiettivo primario di mantenere la stabilità dei prezzi, cominci ad avviare il processo di riduzione dei tassi.

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Ma non ci sono solo i tassi: altri, e forse più importanti, interventi sono necessari affinché l’Europa sia messa in grado di reagire alle grandi sfide poste dalla massiccia immigrazione, dai mutamenti geopolitici e dalla necessità di contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici.

Per esempio, per rimanere nell’ambito monetario-finanziario, sarebbe opportuno completare l’Unione monetaria avviata nel 2012: perché, da un lato, in Europa gli enti creditizi sono l’asse portante del finanziamento delle imprese e, dall’altro, i passi da compiere non sono poi molti: devono diventare operativi il Mes (Meccanismo europeo di stabilità) e lo schema europeo di assicurazione dei depositi così da consentire ai gruppi bancari di usare il capitale e la liquidità con minori vincoli territoriali. Sarebbe inoltre opportuno imprimere un’accelerazione al processo di Unione dei mercati dei capitali avviato nel 2015.

La stessa Bce in un documento del 7 marzo, ripreso nella conferenza stampa dell’11 aprile, ha sottolineato che occorre procedere nella realizzazione di questo programma, in modo da assicurare, anche attraverso l’emissione di debito comune, costi del capitale più bassi per affrontare gli ingenti investimenti su cui l’Europa dovrà impegnarsi nei prossimi anni.

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