I dati mostrano che gli immigrati di seconda generazione tendono a essere più giovani e meno istruiti rispetto alle prime generazioni e ai figli di genitori nativi. È un elemento che spiega perché svolgano lavori peggiori, ma non perché siano meno occupati.
La situazione di chi è già arrivato
Il dibattito sulle politiche migratorie si riduce spesso al tema del controllo delle frontiere e della gestione delle domande di asilo. Si tratta di questioni importanti e meritevoli di attenzione. L’enfasi sui flussi migratori in ingresso tende però a distogliere l’attenzione dalla situazione del 16 per cento della popolazione europea (nella fascia di età 0—74) che è nata all’estero e del 6 per cento di persone che vivono nel paese in cui sono nate, ma i cui genitori provengono dall’estero. Le condizioni socio-economiche di quest’ultimo gruppo, a cui ci si riferisce spesso con il termine (parzialmente fuorviante) di “seconde generazioni”, sono state l’oggetto dell’analisi che abbiamo condotto nell’ambito del Nono Rapporto sull’integrazione degli immigrati in Europa per l’Osservatorio sulle migrazioni del Centro studi Luca d’Agliano e del Collegio Carlo Alberto.
Le seconde generazioni nella Ue-14
Nel 2023, le persone nate da genitori stranieri rappresentavano poco meno del 6 per cento della popolazione tra gli 0 e i 74 anni nei paesi dell’Ue-14, contro circa il 16 per cento costituito da immigrati di prima generazione e un altro 6 per cento di persone con un genitore autoctono e uno straniero.
Vi sono tuttavia notevoli differenze tra paesi, con percentuali di seconde generazioni nella popolazione totale che raggiungono il 10 per cento in Lussemburgo, l’8 per cento in Belgio, Germania e Svizzera e il 7 per cento in Austria e Francia. In Italia i numeri sono molto più bassi solo il 3 per cento della popolazione 0-74 è figlia di genitori immigrati. Ci sono poi molti paesi, soprattutto nell’Europa centrale e orientale, in cui le seconde generazioni sono pressoché assenti (figura 1). In generale, come è naturale aspettarsi, le seconde generazioni tendono a essere più numerose nei paesi con una maggiore presenza di popolazione immigrata di prima generazione.
Le seconde generazioni in Europa sono molto più giovani delle persone con genitori nativi. Ad esempio, nel complesso il 42 per cento dei figli di immigrati è nella fascia di età tra gli 0 e i 14 anni, con punte di oltre il 70 per cento in Italia e Spagna, paesi con una storia di immigrazione relativamente recente, mentre i valori sono intorno al 35 per cento in Germania e Francia, che hanno una più lunga storia migratoria.
Differenze nel livello di istruzione
Data l’età, molti immigrati di seconda generazione sono ancora impegnati negli studi, ma è possibile confrontare il livello di istruzione di coloro che hanno un’età sufficiente per averli ragionevolmente completati con quello dei figli degli autoctoni. Ci concentriamo quindi ora sulla fascia di età 25-64.
Nei paesi Ue-14, gli immigrati di seconda generazione hanno una probabilità inferiore rispetto agli autoctoni di aver conseguito un titolo di istruzione terziaria (31 per cento contro 37 per cento), e una probabilità più elevata (26 per cento contro 21 per cento) di avere al più un’istruzione secondaria inferiore. I divari sono rappresentati nella figura 3, che mostra anche come i gapsi allarghino (rispettivamente a 9 e 7 punti percentuali) quando si tengono in considerazione le differenze nella composizione per età e genere. Questo è dovuto in larga parte al profilo anagrafico più giovane delle persone figlie di immigrati, rispetto a quelle figlie di autoctoni, dato il maggiore livello di istruzione media per le coorti anagrafiche più giovani.
Cosa succede nel mercato del lavoro
In media, nell’Ue-14, gli immigrati di seconda generazione hanno un tasso di occupazione di cinque punti percentuali inferiore rispetto alle figlie e ai figli degli autoctoni (73’per cento e 78 per cento). Il gap italiano è perfettamente in linea con quello medio dell’Ue-14, ma in generale ci sono forti differenze tra paesi: in Lussemburgo e Portogallo, ad esempio, il tasso di occupazione delle seconde generazioni è di 9 e 7 punti percentuali più alto rispetto a quello degli autoctoni. In altri paesi – come Belgio (-17 pp), Francia (-8 pp) e Paesi Bassi (-7 pp) – lo svantaggio occupazionale degli immigrati di seconda generazione rispetto agli autoctoni è significativamente più ampio rispetto alla media Ue-14 (figura 4).
Il divario occupazionale tra immigrati di seconda generazione e autoctoni non è spiegato da differenze di età, genere o livello di istruzione. Anche tenendo conto di questi fattori – e in particolare dell’istruzione più bassa delle seconde generazioni – il divario occupazionale complessivo nei paesi dell’Ue-14 resta invariato. Si tratta di un dato preoccupante, perché indica che lo svantaggio occupazionale non è determinato da differenze di età o di risultati scolastici, ma da fattori direttamente legati al background migratorio.
Gli immigrati di seconda generazione non solo hanno una probabilità inferiore di essere occupati, ma, anche quando trovano lavoro, è più probabile che siano impiegati in occupazioni poco qualificate e mal retribuite rispetto agli autoctoni (7 per cento contro 6 per cento). All’estremità opposta della scala occupazionale, le seconde generazioni hanno una probabilità inferiore di 4 punti percentuali rispetto agli autoctoni di ricoprire una posizione qualificata (45 per cento contro 49 per cento). Le differenze però scompaiono del tutto una volta tenuti in considerazione età, genere e soprattutto livello di istruzione. In altre parole, il più basso livello di istruzione degli immigrati di seconda generazione – pur non spiegando i differenziali nelle probabilità di occupazione – è responsabile del loro status occupazionale inferiore.
Gap da ridurre
Nonostante le seconde generazioni abbiano esiti educativi e occupazionali in generale migliori di quelli dei migranti di prima generazione nei paesi europei, il loro livello di istruzione e il loro tasso di occupazione sono generalmente più bassi di quelli dei figli dei nativi. È importante che le politiche pubbliche intervengano per tempo per ridurre, o annullare, i differenziali, al fine di evitare il crearsi di situazioni di marginalità etnica. Per rispondere al deficit di istruzione è opportuno agire sulle politiche scolastiche e di orientamento. Tuttavia, è necessario anche tenere presente che i divari sul mercato del lavoro non sono dovuti solo al minore livello di istruzione delle seconde generazioni, ma anche a barriere strutturali che esse fronteggiano indipendentemente dal loro titolo di studio e la cui rimozione richiede probabilmente interventi più articolati e in diversi ambiti.
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Fabrizio Merli
La barriera strutturale da fronteggiare è la maggior propensione degli immigrati a svolgere attività afferenti all’economia informale (diciamo così) rispetto agli autoctoni, pure aggiustando il confronto rispetto ai soli autoctoni giovani e poco istruiti.