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LA MESTA PARABOLA DELLA ROBIN TAX

La maggiorazione dell’aliquota Ires, meglio nota con la suggestiva formula di Robin tax, è stata concepita quando i prezzi di petrolio e carburanti sembravano inarrestabili e i petrolieri, Eni in testa, avevano una reputazione peggiore dello sceriffo di Nottingham. L’obiettivo era duplice: fermare la speculazione e sostenere i redditi bassi. La prima si è sgonfiata da sola, causa crisi e il sostegno ai secondi è rimasto in buona parte nelle casse statali. Restano gli ulteriori oneri per il sistema amministrativo. E spunta anche un finanziamento ai giornali di partito.

 

Al culmine di un’offensiva mediatica contro la speculazione, più di un anno fa, il 3 giugno 2008, il ministro dell’Economia Tremonti annunciava la Robin tax, la misura “etica” che tassava i pingui profitti dei petrolieri – primi sospettati delle spinte speculative al rialzo dei prezzi del petrolio e dei carburanti – per rigirarli ai meno abbienti finanziando la social card.
Negli annunci doveva trattarsi di un esempio di earmarking: la destinazione esplicita dei proventi di una tassa a un obiettivo ben definito, con il proposito di ottenere un doppio vantaggio: un colpo alla speculazione e un sostegno ai redditi bassi.

I DUBBI PRIMA DELLA CRISI

Al momento della sua introduzione avevamo fatto qualche preliminare valutazione che vale la pena di riassumere. (1)

1.      Era dubbio che servisse a combattere la speculazione: il suo annuncio non aveva impedito che il prezzo del petrolio raggiungesse il suo massimo l’11 luglio 2008 trascinando all’insù i prezzi domestici dei carburanti.
2.      Era dubbio che desse sufficiente “burro, pane e pasta alla gente povera”: il contributo al fondo che alimenta la social card era infatti limitato al solo 2008 ed era comunque inferiore al gettito previsto della tassa, pari a 2,2 miliardi per salire a 4,6 nel 2009 e scendere poi a 3,5 nel 2011.
3.      Nella misura in cui il maggiore onere fiscale avesse depresso il valore delle società interessate – l’Eni soprattutto – si sarebbe operata una redistribuzione a favore dello Stato e a danno della platea dei risparmiatori-azionisti. (2)
4.      Trattandosi di un intervento in campo energetico sarebbe stato preferibile destinare i ricavi a interventi per l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili di energia, così da restituire al settore almeno parte delle risorse prelevate, e comunque con benefici nel medio-lungo periodo per gli usi e consumi di energia.

IL RUOLO DELL’AEEG

Quella discussione e quelle valutazioni appaiono oggi lontane anni luce: la crisi economica, tra crollo del prezzo del greggio e rallentamento drammatico dell’attività economica, le ha spazzate via. Se si guardano i bilanci delle principali società operanti nel settore petrolifero, le imposte pagate sono state certamente superiori al passato: 290 milioni in più dall’Eni, circa 50 da Erg, per esempio. Ma difficile è dire quali sarebbero state se non fosse nel frattempo subentrata la recessione. (3) Ciò nondimeno, certi aumenti dei prezzi dei carburanti che tuttora ricorrono – secondo molti non giustificati da sottostanti incrementi più contenuti del prezzo del petrolio -, alimentano in taluni il sospetto di una mossa delle compagnie petrolifere per traslare sui consumatori finali gli oneri della Robin tax. (4)
I sospetti sono sopravvissuti alle disposizioni dell’esecutivo al momento del varo della Robin tax. Onde evitare la traslazione dell’onere della tassa sui consumatori di prodotti petroliferi, infatti, è stato attribuito per decreto e con urgenza all’Aeeg, l’Autorità per l’energia elettrica e il gas, un nuovo compito che ne ampliava le competenze: varare procedure per il controllo sulle società interessate affinché la Robin tax non si traducesse in corrispondenti aumenti dei prezzi dei prodotti. (5) La delibera n. 91/08 e la successiva n. 109/08 su criteri e modalità applicative dei nuovi compiti avevano provocato una raffica di ricorsi al giudice amministrativo da parte di vari operatori. Le aziende si dichiaravano più preoccupate dagli oneri aggiuntivi per adempiere agli obblighi di verifica del rispetto del divieto di traslazione dell’addizionale Ires che dai costi della Robin tax tal quale. Con sentenza n. 4043/09 il Tar della Lombardia risolveva la questione sostanzialmente a favore dell’Aeeg che “può legittimamente accertare i fenomeni traslativi dell’imposta al fine di riferirne all’organo di rappresentanza della collettività nazionale, ma non può in alcun modo reprimerli”.
Una prima eredità della Robin tax dunque è stata quella di aver aggiunto oneri al sistema amministrativo, in capo in particolare all’Aeeg. E proprio durante l’iter di conversione del cosiddetto decreto legge “fiscale” la Lega Nord ha proposto un emendamento che prevedeva l’azzeramento dell’attuale, per la verità più che dimidiato, collegio. (6) Forse questo fatto spiega perché le aziende ricorrenti, secondo l’avvocato Bruti Liberati che ne aveva assistito alcune, nutrivano il timore che l’Aeeg introducesse surrettiziamente forme indirette di controllo sui margini e dunque sui prezzi dei prodotti. Tutto questo non ha peraltro impedito che il ministro Scajola e Mister Prezzi si siano interessati ad alcune di esse a ogni successivo incremento del prezzo dei carburanti. Tra l’altro, come è emerso dalle riunioni del 7 agosto e del 4 settembre 2009, il monitoraggio della rapidità dell’adeguamento delle variazioni dei prezzi dei carburanti a quelle delle quotazioni internazionali dei prodotti finiti ventilato da Mister Prezzi lascia intravvedere un ritorno al regime dei prezzi amministrati e del vecchio Cip, provocando un diffuso malumore tra gli operatori.

FINANZIAMENTI AI GIORNALI DI PARTITO

Ma la seconda, stupefacente, eredità della Robin tax, che più ancora ne spiega il mesto declino nelle sue originarie e suppostamente nobili motivazioni, è rappresentata dall’articolo 56 (Editoria) della legge 23 luglio 2009, n. 99 (ex Ddl “Sviluppo”). Dispone l’incremento dell’addizionale Ires dal 5,5 al 6,5 per cento– pari a 140 milioni di euro per il biennio 2009-2010 – destinandolo al finanziamento dei giornali di partito. Un finale, dunque, quasi da tarallucci e vino. Come ha mostrato Marco Gambaro, i quotidiani di partito sopravvivono solo grazie ai contributi pubblici, riuscendo a vendere una copia per sette-nove resi. E questa necessità è ben compresa sicuramente da tutti i parlamentari, visto che l’emendamento in questione è passato all’unanimità: bipartisan in salsa italiana. Povero Robin…

(1) Sull’efficienza ed equità della Robin tax si vedano anche le considerazioni di Silvia Giannini e Maria Cecilia Guerra.
(2) Peraltro lo Stato, in quanto esso stesso azionista, sostituiva introiti fiscali più “certi” a perdite di valore e dividendi di Eni più “incerti”.
(3) Non esiste a oggi una valutazione o dati ufficiali da parte del ministero relativi alla Robin tax, cosicché il gettito complessivo annuo è al momento sconosciuto. Allo stesso tempo, poiché la tassa è rappresentata da un’addizionale dell’Ires del 5,5 per cento i bilanci societari di per sé non riportano l’entità della contribuzione dovuto alla sola tassa Robin.
(4) Così, per esempio, il Corriere della sera in “Benzina, i prezzi che salgono e il recupero della Robin tax” 4 luglio 2009  e “Benzina più cara, quella sensazione di sentirsi truffati dai troppo furbi”, 5 agosto 2009.
(5) Decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, c.d. decreto “fiscale”, convertito con modificazioni in legge 6 agosto 2008, n. 133.
(6) Si veda, per maggiori ragguagli, “Manovra, azzerati vertici Aeeg”, Staffetta Quotidiana 14 luglio 2008. Da luglio 2004, dopo le dimissioni del professor Pistella, il collegio dell’Aeeg è composto da due solo membri, contro i cinque5 previsti dalla legge 239/04, art. 1 comma 15. 

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UN’ECONOMISTA RIGOROSA E CORAGGIOSA

  1. Piero

    Ben più consistente a carico dei prezzi come di fatto la Robin, a che cosa è servita? Ringrazio se qualcuno mi aiuterà a capire.

  2. Ezio Pacchiardo

    Tutto vero quanto descritto nell’articolo, ma manca una considerazione di fondo. Si parla, ad esempio, di prezzo dei carburanti e si tratta del prezzo alla pompa. l problema vero sono il numero di intermediari che intervengono dal prezzo al pozzo, via via, fino al prezzo alla pompa. Ciascuno di questi intermediari deve fare il suo guadagno e quindi più ce ne sono più il prezzo aumenta (questo problema è tipico della distribuzione di qualsiasi prodotto). Inoltre, altro punto fondamentale, è la contrattazione nelle “piazze” dei “future” del petrolio che trattano il prezzo futuro con una minima copertura e quindi possono operare con forte speculazione. Se i future fossero condizionati da coperture al 70% la speculazione sarebbe nulla o quasi. Perché “lavoce”, che ha una mira “professionale”, tratta solo dei sintomi del problema e non della sua sostanza.

  3. Roberto Riccomagno

    Contrariamente a quanto riportato dal Vostro. articolo, mi risulta che non solo avevano dichiaratovoto contrario PD e IdV, ma ( fonte non certo benevola "IlGiornale":

  4. angelo carbone

    E’ solo una presa per il (snip) il governo mette una tassa ed essendo il maggiore azionista dell ENI in pratica tassa i piccoli azionisti. Comunque adesso complice la congiuntura la gente non userà più la macchina e tantomeno andrà in autostrada quindi avrà più tempo per stare con i figli e riflettere (si spera) e capire (più difficile) che ci prendono in giro e bevono e mangiano alla faccia nostra…

  5. Salvatore

    E’ una questione molto vecchia che si ripropone ogni volta che i prezzi dei carburanti al dettaglio riprendono a correre verso l’alto e si sgonfia miracolosamente quando i prezzi si stabilizzano a livelli normali….significa che una vera soluzione non si è mai voluta trovare perchè gli introiti delle accise fanno molto comodo allo stato.

  6. Nicola

    Dalla nascita della robin tax sono subito emersi "sospetti" e critiche circa la giustezza di tale provvedimento, ma soprattutto sulla possibilità che tale imposta fosse ribaltata al consumatore finale. Ad oggi per chi come me non è un profondo conoscitore della materia energetica, non è chiaro come si sia "distribuito" il peso di tale imposizione fiscale poichè il mercato è stato stravolto dalla crisi economica che non ha risparmiato nessun settore. Resta però forte il dubbio che questa tassa possa veramente colpire un settore molto forte a livello economico e soprattutto a livello di potere contrattuale. Se poi si guarda a tutte le "sfumature" che si affiancano a queste decisioni i dubbi aumentano.

  7. Antonio

    Condivido le riflessioni riportate nell’articolo. Anche in uno scenario economico diverso dall’attuale, difficilmente la Robin Tax avrebbe sortito gli effetti sperati dall’Esecutivo. Il relativo gettito – in quanto destinato alla fiscalità generale – finisce per scaricarsi, volenti o nolenti, sul prezzo dei prodotti energetici. Sarebbe stata preferibile una logica che valorizzasse invece gli investimenti nel campo del risparmio energetico, ad esempio riconoscendo sgravi sugli investimenti (seri) delle imprese in tale direzione. E, infine, sfatiamo il mito del Paese (meglio, di un Parlamento) rissoso: l’esempio dell’emendamento bipartisan dimostra quanto tutto ciò sia lontano dal vero! Bisogna aver fiducia…

  8. Alessandro Fiorini

    Anche io condivido l’analisi dei due autori. Mi verrebbe da aggiungere, leggendo i giornali di questi giorni, che probabilmente tra poco tempo appariranno commenti simili a proposito dei Tremonti Bond. Noto un perfetto parallelismo: buone intenzioni alla base e insuccesso nel confronto con le dinamiche di mercato. Magari però aspettiamo il 31 dicembre prima di scriverci un articolo…

  9. Manuela Mischitelli

    Trovo che l’articolo analizzi a fondo tutte le questioni legate al problema. E’ estremamente interessante, inoltre, l’approfondimento dedicato alle disposizioni successive e al coinvolgimento dell’Aeeg. Spesso si valutano i provvedimenti nell’immediato, non considerando gli effetti che essi potrebbero avere nel presente e nel futuro, ma valutando l’opportunità della disposizione solo a partire dalla capacità evocativa del nome.

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