In Italia sindacati e associazioni datoriali sono ancora relativamente forti, almeno rispetto al declino generalizzato nella maggior parte degli altri paesi. Secondo i dati Ocse, la quota di lavoratori coperti da contratti collettivi è tra le più elevate.
I dati sul sindacato
Confindustria e sindacati hanno ripreso (e già interrotto) le discussioni sulla riforma del modello contrattuale e della rappresentanza. Qual è lo stato delle relazioni industriali in Italia rispetto agli altri paesi Ocse? L’ultima edizione dell’Employment Outlook fornisce una panoramica completa del funzionamento della contrattazione collettiva nei paesi Ocse. L’Italia, almeno secondo i dati esistenti, emerge come uno dei paesi in cui sindacati e rappresentanze datoriali sono ancora relativamente forti e il numero di lavoratori formalmente coperti molto elevato.
Se negli ultimi trenta anni la quota di lavoratori iscritti a un sindacato è diminuita di un terzo in media tra i paesi Ocse (dal 30 per cento nel 1985 al 17 per cento nel 2013, figura 1, pannello A), in Italia è scesa solo di pochi punti percentuali, dal 42 al 37 per cento. Tito Boeri nella relazione annuale Inps ha affermato che secondo i dati in possesso dell’Inps per le grandi imprese, i tassi di sindacalizzazione in Italia potrebbero essere più bassi, attorno al 25 per cento.
In attesa di dati amministrativi più precisi, quelli attualmente disponibili, in parte basati sulle segnalazioni dei sindacati e in parte su indagini sociali, mostrano che il 57 per cento degli iscritti al sindacato sono uomini, per la maggior parte di età compresa tra i 25 e i 54 anni, con livelli di studio più elevati della media Ocse (un quarto degli iscritti non ha il diploma di scuola superiore, il resto si divide tra scuola superiore e università). Non è sorprendente che l’80 per cento degli iscritti a un sindacato abbia un contratto a tempo indeterminato. Il 20 per cento lavora nel settore manifatturiero o nelle costruzioni, il 14 per cento nel commercio, hotel, trasporti e comunicazioni e il 43 per cento nei servizi sociali e alla persona. Inoltre, il 52 per cento è occupato in imprese con più di 100 lavoratori, il 39 per cento in aziende che hanno tra 10 e 99 lavoratori e il 9 per cento in imprese con meno di dieci lavoratori.
Figura 1 – Lavoratori iscritti ai sindacati
Fonte: Vedere le note dettagliate della figura 4.2 e figura 4.3 nell’Employment Outlook 2017.
Le associazioni datoriali
Le associazioni datoriali (Confindustria, Confartigianato, Confesercenti per citarne solo alcune) costituiscono l’altro lato del tavolo di negoziazione, ma informazioni comparabili al loro riguardo sono decisamente scarse. Statistiche ufficiali e aggiornate sul numero di lavoratori coperti, a differenza del numero d’imprese affiliate, sono limitate e parziali e un’ulteriore difficoltà nel fornire una valutazione precisa deriva dalla possibilità che le imprese appartengano a diverse associazioni di datori di lavoro, con conseguente duplice conteggio. Tuttavia, sulla base dei dati disponibili, l’Employment Outlook (figura 2, pannello A) mostra una generale stabilità degli iscritti alle associazioni datoriali: in Italia il 56 per cento dei lavoratori dipendenti lavora in un’impresa iscritta a un’associazione datoriale, rispetto a una media del 51 per cento nei 26 paesi Ocse per i quali sono disponibili dati. Come nella maggior parte degli altri paesi Ocse, in Italia le organizzazioni dei datori di lavoro tendono a rappresentare, in termini di dipendenti, soprattutto le imprese della manifattura e delle costruzioni e, non sorprendentemente, soprattutto le imprese grandi e medie (figura 2, pannello B).
Figura 2 – Iscritti alle associazioni datoriali
Fonte: Vedere le note dettagliate della Figura 4.4 nell’Employment Outlook 2017.
Il rapporto Ocse mostra anche la quota di lavoratori formalmente coperti dai contratti collettivi, l’indicatore principale per valutare la portata della contrattazione collettiva in un paese. In media, la quota è diminuita di un quarto negli ultimi trenta anni, passando dal 45 per cento nel 1985 al 33 per cento nel 2013 (figura 3). In Italia, la quota di lavoratori coperti dagli oltre 800 contratti collettivi è stabile tra l’80 per cento secondo i dati Ictwss (Institutional Characteristics of Trade Unions, Wage Setting, State Intervention and Social Pacts) e quasi il 100 per cento secondo i dati della Rilevazione sulla struttura dei redditi da lavoro. In assenza di un’indagine apposita è difficile produrre una stima univoca per l’Italia, ma, almeno sul piano formale, una copertura praticamente universale, quindi anche dei lavoratori non iscritti al sindacato o impiegati in imprese non firmatarie del contratto, è assicurata da un’interpretazione diffusa (anche se non univoca) dell’articolo 36 della Costituzione, che utilizza i minimi tabellari fissati dai contratti collettivi quale riferimento per definire a quanto ammonta una “retribuzione proporzionata e sufficiente”.
Figura 3 – Lavoratori coperti dai contratti collettivi (percentuale dei lavoratori dipendenti)
Fonte: Vedere le note dettagliate della Figura 4.5 nell’Employment Outlook 2017.
In conclusione e in attesa di fonti amministrative più precise e affidabili, l’Italia ha sindacati e associazioni datoriali ancora relativamente forti, almeno rispetto al declino generalizzato nella maggior parte degli altri paesi e una quota di lavoratori coperti tra le più elevate. Tutto bene? Non proprio, perché la qualità percepita delle relazioni industriali è tra le più basse dell’area Ocse, mentre la copertura effettiva dei contratti collettivi è ben al di sotto delle cifre formali.
* Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire esclusivamente all’autore e non riflettono necessariamente quelle dell’Ocse o degli stati membri.
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Savino
Il sindacato e la corporazione oggi sono solo un elemento ulteriorie di disturbo per la creazione e la difesa di posti di lavoro.
Il concetto di lavoratore da tutelare è molto più ampio di chi ha il posto fisso e comprende inoccupati, disoccupati, precari e pseudo-dipennenti con partite IVA.
Ormai, dietro il sindacato possono esserci solo le sacche di pelandroni e tangentisti nella pubblica amministrazione.
Ci vuole meno sindacato, anche per ciò che gestisce con patronati e CAF.
Gianfranco
Quasi la metà degli iscritti CGIL, CISL e UIL è fatta di pensionati. Da molti anni l’attività è un’appendice dell’INPS (Patronati) e dell’Agenzia delle Entrate (CAF), mentre hanno ridotto al minimo la progettazione contrattuale, salvo rari casi come la FIM-CISL. Difficile vederne un futuro realmente rappresentativo e con la riduzione costante degli organici delle grandi aziende la rappresentatività è destinata a ridursi radicalmente
Andrea Garnero
Questi numeri riguardano solo i lavoratori dipendenti, non i pensionati. Ma è vero che la quota di pensionati sul totale degli iscritti (lavoratori e non) è molto alta.