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Come cambia la popolazione straniera in Italia

Da tre anni il numero degli stranieri in Italia si è attestato a quota 5 milioni e il lieve calo del 2020 nasconde molte sfaccettature. Innanzitutto, sono cambiate composizione e struttura di questa popolazione. E poi ci sono i ragazzi nati nel nostro paese.

Il bilancio demografico 2020

Per analizzare l’andamento di una popolazione in un determinato periodo, lo strumento principale è il “bilancio demografico”. Si tratta di uno strumento “contabile”, che tiene conto delle “entrate” (nati e immigrati) e delle “uscite” (morti ed emigrati), fotografando la popolazione a fine anno.

Nel caso della popolazione straniera residente in Italia, il bilancio demografico fornito dall’Istat (con dati ancora provvisori) evidenzia per il 2020 un calo degli stranieri di 26 mila unità (-0,5 per cento), con un valore che si attesta a 5.013.215 unità (8,5 per cento della popolazione totale).

Analizzando poi le diverse componenti del bilancio, emergono alcuni spunti interessanti, utili anche a comprendere le dinamiche della popolazione italiana.

Saldo naturale

La pandemia ha avuto un impatto immediato sulla mortalità. Tra gli italiani, nel 2020 si sono registrati 110 mila morti in più rispetto al 2019 (+17,5 per cento). Anche tra gli stranieri si è avuto un significativo aumento del numero di morti (+25,5 per cento), anche se la mortalità ogni mille abitanti è decisamente inferiore.

Nel 2020 è diminuita anche la natalità, sia tra gli italiani che tra gli stranieri. In realtà, come evidenzia in una nota il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo, il calo di nascite registrato nel 2020 sarebbe in linea con il trend 2009-2019, mentre gli effetti della pandemia comincerebbero a manifestarsi nel 2021.

Il saldo naturale peggiora, dunque, sia per gli stranieri che per gli italiani. Per i primi rimane positivo (più nati che morti), mentre per gli italiani passa da -270 mila a -392 mila.

Saldo migratorio

Oltre al saldo naturale, vanno considerate l’immigrazione (iscrizioni anagrafiche dall’estero) e l’emigrazione (cancellazioni per l’estero). Tra gli italiani, la pandemia ha determinato un calo nelle partenze verso l’estero, ma ancor più dei rientri in patria. Di conseguenza, il saldo migratorio degli italiani, già negativo, peggiora ulteriormente (-69 mila).

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Tra gli stranieri il saldo rimane positivo, ma in netto calo, passando da +207 mila a +148 mila.

Acquisizioni di cittadinanza e aggiustamenti statistici

Sommando saldo naturale e saldo migratorio, dunque, la popolazione straniera aumenterebbe di circa 200 mila unità.

In realtà, vanno considerati altri movimenti amministrativi (saldo -91 mila) e soprattutto le acquisizioni di cittadinanza italiana (133 mila nel 2020, in aumento del 4,5 per cento rispetto al 2019).

Si tratta di cittadini che dal punto di vista statistico “escono” dalla popolazione straniera ed entrano in quella italiana, pur senza muoversi dal territorio. È un fenomeno significativo, che dal 2010 ha coinvolto 1,3 milioni di persone.

Ora, non è detto che tutte queste persone siano ancora sul territorio italiano. Anzi, dal report Istat sulle migrazioni 2019 sappiamo che il 30 per cento degli emigranti italiani è costituito da italiani nati all’estero (“nuovi italiani”). Pertanto, possiamo ipotizzare che, al netto degli espatriati, sul territorio nazionale vi sia ancora 1 milione di stranieri naturalizzati, che ormai figura nelle statistiche degli italiani.

Tendenze e considerazioni

I movimenti fin qui descritti determinano l’andamento della popolazione straniera.

Negli ultimi vent’anni, gli stranieri in Italia hanno registrato un aumento molto intenso fino al 2014, per poi stabilizzarsi. Da tre anni, in particolare, il loro numero risulta stabile attorno a quota 5 milioni.

Tuttavia, è importante evidenziare che, nonostante sia costante nei numeri, la popolazione straniera in Italia è cambiata nella composizione e nella struttura.

Per questo, non è più possibile affrontare il tema “immigrazione” pensando che “gli immigrati” siano gli stessi di vent’anni fa.

La prima differenza riguarda i motivi dei nuovi ingressi. Come sottolineato in un precedente articolo, negli ultimi dieci anni si sono ridotti drasticamente gli arrivi di cittadini non comunitari per motivi di lavoro. I nuovi ingressi, dunque, riguardano principalmente cittadini comunitari o ricongiungimenti familiari. In altri termini, non entrano più lavoratori, ma i familiari di chi un lavoro lo ha trovato dieci o quindici anni fa.

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L’altro grande tema riguarda i minori. Su 5 milioni di stranieri, il 20 per cento ha meno di 18 anni. Si tratta di un milione di ragazzi che con una legge sulla cittadinanza diversa da quella attuale (con un peso maggiore allo ius soli) potrebbero essere considerati italiani. Questo cambierebbe evidentemente anche la percezione complessiva del fenomeno. Per fare un esempio, nella scuola italiana vi sono 877 mila alunni stranieri, pari al 10,3 per cento del totale (fonte ministero Istruzione, as 2019-2020). Di questi, però, oltre 570 mila sono nati in Italia. Se quindi fosse approvato uno ius soli puro, gli alunni stranieri scenderebbero a 300 mila, meno del 4 per cento del totale.

La percezione dipende dunque molto dal quadro normativo e da come leggiamo i numeri: da tre anni la popolazione straniera si è attestata a quota 5 milioni e il lieve calo del 2020 (-26 mila) nasconde molte sfaccettature. Il saldo naturale e quello migratorio sono ancora positivi, ma in calo, mentre vi sono 1 milione di italiani di origine straniera (naturalizzati, conteggiati come “italiani”) e 1 milione di minori stranieri (in gran parte nati in Italia, conteggiati come “stranieri”).

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  1. Piero Borla

    Il tema centrale rimane quello: a quali condizioni i nati in Italia da genitori stranieri possono acquisire la cittadinanza italiana. La legge vigente dice: all’età di diciotto anni, ininterrottamente trascorsi in Italia. Questo garantisce che i nuovi italiani abbiano raggiunto un soddisfacente livello di integrazione e di acculturazione, e taglia fuori i soggetti che non acquisiscano un serio radicamento. Si fanno molti discorsi sulla possibilità di ridurre questo periodo, centrati su un ipotetico ius culturae. La garanzia di un soddisfacente livello di integrazione e radicamento può essere raggiunta anche in altri modi; per esempio computando a favore del candidato alla cittadinanza anche il periodo trascorso in Italia, prima della sua nascita, dai suoi genitori stranieri. La nuova regola può essere formulata così: il termine di 18 anni è ridotto in misura pari al tempo che, alla sua nascita, i suoi genitori hanno già trascorso in Italia in condizioni di regolare residenza. Ciò significa che il figlio di due stranieri che sono in Italia (mediamente) da cinque anni acquisisce la cittadinanza all’età di tredici anni; che il figlio di due stranieri che sono giunti in Italia all’età di sette anni e procreano all’età di venticinque anni (quindi dopo diciotto anni di residenza) è cittadino fin dalla sua nascita. Sarebbe interessante fare una valutazione del numero di persone che bneficierebbero di questo nuovo criterio.

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