L’attuazione del Pnrr dovrebbe comportare un innalzamento dei tassi di occupazione di donne e giovani. Ma l’esplicita indicazione di quote riservate rischia di essere vanificata da linee guida che ammettono deroghe con motivazioni molto generiche.
Perché le quote per donne e giovani
Il decreto per la governance del Pnrr, convertito in legge a luglio 2021, prevede la cosiddetta “clausola di condizionalità”: si tratta del vincolo per gli operatori economici aggiudicatari di bandi per i fondi Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) e Pnc (Piano nazionale degli investimenti complementari) di destinare ai giovani under-36 e alle donne almeno il 30 per cento dell’occupazione aggiuntiva creata in esecuzione del contratto.
Tecnicamente, il dispositivo si configura come “azione positiva”, ossia una misura di rottura rispetto alle dinamiche ordinarie, finalizzata a ottenere obiettivi che non sono stati raggiunti nel tempo, in questo caso l’aumento dei tassi di occupazione giovanile e femminile. Elaborata dal Gruppo di lavoro “Occupazione femminile” istituito dal Ministro del Lavoro, la quota prevista nel Pnrr rappresenta la garanzia dell’impegno del paese a far sì che, in risposta alle richieste europee (raccomandazioni del 2019 e 2020), l’ingente flusso finanziario abbia un impatto diretto (e non auspicato) sull’innalzamento dei tassi di occupazione femminile e giovanile.
La previsione di un certo numero di donne e under-36 tra l’occupazione aggiuntiva, vincolante sin dalla fase di presentazione dell’offerta, deve essere inserita dalle stazioni appaltanti all’interno dei bandi di gara. Per garantire una corretta applicazione della clausola nel sistema di public procurement, sono state emanate le “Linee guida per favorire la pari opportunità di genere e generazionale, nonché l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità nei contratti pubblici finanziati con le risorse del Pnrr e del Pnc”. Le linee guida contengono, tra i vari aspetti, anche la definizione delle deroghe (totali o parziali) all’applicazione della clausola da parte delle stazioni appaltanti.
Le deroghe nelle linee guida
Premesso che le stazioni appaltanti hanno facoltà o meno di applicare le deroghe, le linee guida prevedono un doppio regime: deroga totale o abbassamento della quota del 30 per cento.
La deroga totale avviene nei casi in cui “l’oggetto del contratto, la tipologia o la natura del progetto o altri elementi puntualmente indicati dalla stazione appaltante rendono la clausola impossibile o contrastante con obiettivi di universalità e socialità, efficienza, economicità e qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche”. Sono due gli aspetti da evidenziare.
1) Le motivazioni della deroga sono molto generiche e non corrispondono alla natura di azione positiva della quota. Non si vede come un’azione positiva di questo tipo possa trovarsi in contrasto con l’obiettivo per cui è stata introdotta, creando problemi in chiave di “universalità” (nasce già rivolta a target specifici), “socialità” (non comprensibile), “economicità” (il costo del lavoro è standard), “qualità del servizio” ed “efficienza” (affermazioni rischiose perché inducono a immaginare ex ante una resa diversa del servizio collegata al genere o all’età).
2) Le stazioni appaltanti sono tenute a dare “adeguata e specifica motivazione della deroga prima o contestualmente all’avvio di procedura ad evidenza pubblica”. Tuttavia, non viene indicato un soggetto responsabile della verifica della fondatezza della deroga. Sembra quindi essere sufficiente solo l’esplicitazione formale.
La deroga parziale, quindi l’abbassamento della quota del 30 per cento, ha criteri difformi tra giovani e donne. Mentre per i giovani si prevede che la stazione appaltante individui la riduzione della quota più congrua, per quanto riguarda le donne si introduce come motivazione della deroga la presenza di un tasso di occupazione femminile nel settore Ateco 2 Digit di riferimento inferiore al 25 per cento della media nazionale.
Questa scelta, che definisce a priori le condizioni di deroga, solleva alcune perplessità.
a) La riduzione della quota a priori, “a mercato vigente”, è in contrasto con la finalità di rottura dell’azione positiva, poiché tende a perpetuare le condizioni esistenti. La quota non dovrebbe servire solo per favorire più occupazione femminile laddove le donne sono già presenti, ma anche per aiutare la presenza delle donne nei settori in cui sono sottorappresentate. La scarsa presenza femminile, infatti, non è un dato naturale e immutabile, ma è il risultato di un complesso di fattori – tra cui proprio la scarsa presenza di opportunità accessibili e la persistenza di dinamiche di reclutamento stereotipate – che l’azione positiva dovrebbe contrastare.
b) L’indicazione del tasso di occupazione totale nasconde le profonde differenze di genere tra profili professionali, i livelli di inquadramento e le mansioni, che potrebbero essere svolte da donne e che, invece, con questo computo sarebbero precluse. Si ha quindi una media che non aiuta l’azione positiva a esercitare la sua funzione.
c) In caso di stazioni appaltanti regionali, il riferimento al dato occupazionale nazionale – e non regionale – come criterio per determinare quote ed esenzioni non appare utile allo scopo, dal momento che esistono nel paese fortissimi divari territoriali e di genere.
Ultimo aspetto fondamentale: sul monitoraggio della quota, al punto 10, le linee guida prevedono che “con provvedimento Anac saranno individuati dati e informazioni che le stazioni appaltanti e enti aggiudicatori devono fornire, secondo termini e forme di comunicazione standardizzate alla Banca dati nazionale dei contratti pubblici, ai fini di monitorare l’adozione dei requisiti e dei criteri premiali di cui all’art 47”. Tuttavia, trattandosi di verificare l’impatto occupazionale della quota, sarebbe stato opportuno prevedere, per le assunzioni previste dal Pnrr e Pnc, un flag specifico all’interno del sistema delle comunicazioni obbligatorie.
Il rischio è quindi che, ancora una volta, genere ed età restino etichette di politica e non di policy.
*Le opinioni espresse sono personali e non riflettono necessariamente quelle dell’istituto di appartenenza.
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lorenzo
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Laura
Grande articolo! Già la quota “mista” donne e giovani è ambigua: quante donne? Quante giovani? Quanti giovani? Mah! Ora con le deroghe l’intento diventa palese: volontà di annullare la clausola.