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Sul gas l’Europa ha un problema

L’opposizione della Ue alle politiche espansionistiche di Putin ha un punto di debolezza: la dipendenza dalla Russia per le forniture di gas. Liberarsene non sarà semplice, almeno in tempi brevi. A renderlo chiaro è il funzionamento dei mercati.

Le importazioni di gas russo

L’invasione russa dell’Ucraina e la guerra che da 10 giorni infiamma questa regione hanno posto in evidenza un elemento di forte debolezza dell’Unione Europea nel contrastare la politica aggressiva del Cremlino, vale a dire la forte dipendenza dei paesi dell’Unione dalle importazioni di gas dalla Russia: nel 2021 queste importazioni sono state di 155 miliardi di metri cubi, il 45 per cento delle importazioni totali di gas dell’Unione. Paesi come la Germania, l’Austria e l’Italia sono particolarmente esposti su questo fronte.

Da questa osservazione è nata la consapevolezza che una dipendenza così accentuata con un paese come la Russia esponga l’Unione a una intrinseca debolezza, già evidente in questi giorni nell’escludere le transazioni energetiche dal pacchetto di sanzioni. Un passo ulteriore è stato quello di considerare un progressivo sganciamento dei sistemi energetici europei dalle importazioni di gas naturale dalla Russia. È importante sottolineare che questo obiettivo non deriva da una logica strettamente economica di diversificazione delle fonti, e quindi di minimizzazione del rischio di interruzione delle forniture, ma da una valutazione geopolitica sull’impatto per l’Europa di una eccessiva dipendenza dal gas russo. Prendendo per dato questo obiettivo di riduzione delle forniture, la discussione è quindi in che misura e con quali tempi questa politica possa essere attuata. Questo intervento vuole offrire qualche punto di riferimento al lettore per valutare realisticamente la fattibilità di questa politica.

I punti di ingresso del gas

Partiamo dagli approvvigionamenti. Attualmente il gas naturale, al netto della produzione nazionale di alcuni paesi membri, raggiunge il sistema dei gasdotti dell’Unione attraverso gasdotti internazionali e terminali di rigassificazione. I primi alimentano il sistema europeo dal Regno Unito attraverso il gasdotto di interconnessione che raggiunge il Belgio e dalla Russia attraverso i gasdotti che passano per l’Ucraina, i Balcani e il mar Baltico. Per l’Italia, il punto di ingresso è il Tarvisio. Vi sono poi i gasdotti che immettono gas dalla Libia, con punto di ingresso a Gela, e dall’Algeria, raggiungendo l’Italia da Mazara del Vallo. Il gas estratto in Azerbaigian, passando per la Turchia, la Grecia e l’Albania, raggiunge le coste pugliesi a Melendugno. Infine, l’Italia importa gas dalla rete di gasdotti europei (con Norvegia e Olanda quali principali produttori) dal punto di ingresso del Passo Gries. Come si vede, a fronte dei quantitativi ingenti di gas importato (mediamente oltre 70 miliardi di metri cubi negli ultimi anni), i punti di ingresso dei gasdotti sono molto limitati. A questi vanno sommati i terminali di rigassificazione attualmente funzionanti (Panigaglia nel Mar Ligure e Porto Levante nell’alto Adriatico) e quello di Livorno, non ancora pienamente operativo, che per loro natura non sono legati ad uno specifico paese produttore. Infine, il sistema di trasporto e distribuzione del gas si avvale dei depositi di stoccaggio (17 miliardi di metri cubi in Italia), solitamente giacimenti esausti di gas naturale, che possono essere alimentati o possono immettere gas nella rete. Queste ultime infrastrutture, è bene ricordarlo, possono contribuire all’offerta complessiva di gas agli utenti finali solamente nel breve e brevissimo periodo, compensando momentanei squilibri tra le importazioni e domanda, ma non rappresentano un contributo netto alla capacità di importazione di un paese (o dell’Unione Europea) nel medio periodo.

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Il gas naturale viene scambiato secondo due modalità. Tradizionalmente, e ancora oggi in modo prevalente, le transazioni avvengono con contratti di lungo periodo (anche estesi a due o tre decenni) con garanzia di fornitura per il produttore e garanzia di pagamento (indipendentemente dal ritiro o meno del gas) per l’acquirente, secondo gli schemi take-or-pay. Il prezzo del gas in questo caso viene indicizzato ad altri prodotti energetici (petrolio e derivati) e più recentemente al prezzo che si forma sui mercati all’ingrosso. Questi mercati, tra cui il principale nell’Europa continentale è il Ttf olandese, si sono sviluppati nell’ultimo decennio e permettono transazioni spot che riflettono maggiormente le condizioni di domanda e offerta nel breve periodo. Le tensioni nel prezzo del gas di questo inverno, per esempio, sono derivate da un forte aumento dei prezzi spot guidati dalla crescita nella domanda di gas naturale liquefatto a livello mondiale. 

L’offerta di gas

In questo contesto, possiamo quindi chiederci in che misura e con quali tempi il sistema europeo e l’Italia (uno dei principali paesi, con la Germania) possano ridurre le importazioni dalla Russia. Partiamo quindi dal lato dell’offerta. Le clausole take-or-pay che gravano i contratti con Gazprom vincolano gli importatori al pagamento dei corrispettivi che il gas venga ritirato o meno. L’interruzione di una parte di questi contratti risulta quindi problematica. L’International Energy Agency immagina infatti una riduzione del portafoglio di contratti non rinnovando quelli in scadenza. È inoltre evidente che una progressiva riduzione delle importazioni dalla Russia debba essere compensata da un aumento delle altre fonti di approvvigionamento, guardando ai paesi produttori con cui siamo collegati via gasdotto e al mercato internazionale del gas naturale liquefatto. Libia e Algeria sono in grado di aumentare la produzione e le importazioni verso l’Italia, ma, tuttavia, se quella che discutiamo è una politica dell’Unione Europea, dovranno venire incontro ad un aumento della domanda del gas anche da altri paesi dell’Unione. I gasdotti di Gela e Mazara del Vallo hanno capacità e flessibilità per aumentare i flussi. Più complesso è il caso del gasdotto Tap che collega l’Italia ai giacimenti dell’Azerbaigian: un aumento dei flussi in questo caso richiede un potenziamento dell’infrastruttura. E il percorso che collega i giacimenti al mercato italiano attraversa numerosi paesi che potranno a loro volta programmare uno sganciamento dal mercato russo e un aumento dei prelievi dal gasdotto. I due rigassificatori ad oggi attivi possono aumentare il grado di utilizzo, ma il reale problema per questo segmento riguarda la necessità di nuovi terminali, che richiedono tempi di realizzazione di 2-3 anni. Infine, una gestione regolata degli stoccaggi, che per esempio imponga obblighi minimi di immissione agli operatori, potrà garantire una resilienza nel breve periodo al sistema.

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La domanda

Passando al lato della domanda, il gas naturale viene impiegato principalmente per uso domestico (circa 40 per cento), per la produzione di energia elettrica (circa 35 per cento) e per usi industriali e altri usi. L’uso domestico nel breve periodo è fortemente influenzato dalle condizioni climatiche e richiede nel medio periodo una sostituzione delle infrastrutture (da caldaie a pompe di calore, da cucine a gas a cucine elettriche) che comunque portano ad aumentare i consumi elettrici. Il parco di generazione elettrica nel breve periodo presenta a sua volta notevoli rigidità, soprattutto se la sua evoluzione va gestita nella prospettiva di decarbonizzazione (abbandono delle centrali a carbone e a petrolio, aumento delle rinnovabili). Nel breve periodo, pertanto, è ragionevole immaginare una relativa rigidità della domanda di gas, che solo nel medio periodo potrà avviare i processi che ne aumentano la flessibilità e la riduzione.

In conclusione, dal punto di vista dell’offerta, i margini di manovra per una sostituzione del gas russo con quello proveniente da altre fonti non consentono di attuare politiche rapide di completo sganciamento. Il pacchetto di misure proposte dall’Iea permetterebbe una riduzione di circa un terzo delle importazioni del gas dalla Russia nell’arco di un anno.

Una riduzione nel numero di fonti di offerta e una relativa rigidità della domanda ci portano a concludere che il prezzo dell’energia in questa transizione verso l’affrancamento dalle importazioni russe non potrà che aumentare. Si porrà quindi un problema di spinte inflazionistiche, di cui già questo inverno abbiamo conosciuto un assaggio a fronte della riduzione nelle importazioni dalla Russia attuata da Gazprom negli ultimi mesi dell’anno. Si presenterà anche un problema di sostenibilità delle spese energetiche per le famiglie a basso reddito, con la necessità di politiche di sostegno che graveranno sul debito o sulla tassazione generale. E dovremo affrontare un problema di competitività per le industrie energivore, con la possibilità di delocalizzazioni in aree dove il costo dell’energia è minore. In conclusione, l’esigenza politica di un affrancamento dalla dipendenza dell’Europa dal gas russo non appare semplice da implementare e offre, in particolare nel breve periodo, margini non ampi di realizzazione. Purtroppo questo sembra il dato che emerge guardando al funzionamento di questi mercati. L’Europa si presenta quindi al confronto con le politiche espansionistiche di Putin con un elemento di debolezza.

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  1. Luciano Leonetti

    Il contenuto dell’articolo e’ largamente condivisibile, ma la conclusioni rispetto all’ineluttabile incremento del costo dell’energia sono invece largamente da rigettare. Ci sono numerosi punti essenziali non considerati. Dietro l’apparente ineluttabilita’ della situazione ci sono scelte che i singoli governi potrebbero cambiare ed altre che decisioni concordate a livello UE potrebbero modificare anche in modo sostanziale.
    Sei punti sopra tutti gli altri:
    1) Non c’e’ scarsita’ di offerta ne’ di petrolio ne’ di gas nel mondo, ma tanta speculazione e ipocrisia. Perche’ le nostre aziende (tutte quelle che gia’ posseggono materialmente il gas che viene venduto) o quelle dei paesi “alleati” vendono a prezzo spot il gas di cui gia’ dispongono? Per esempio, il problema con la Norvegia non e’ quello di ottenere piu’ gas, ma di pagare quello che gia’ inviano ad un prezzo che non sia il doppio del solito.
    Se pagassimo al prezzo spot solo il gas aggiuntivo di cui possiamo necessitare, il problema sarebbe molto, molto minore
    2) Le principali aziende della filiera energetica, soprattutto in Italia e Francia sono di proprieta’ pubblica. Queste aziende otterranno straordinari extraprofitti, perche’ non tutta l’energia e’ prodotta con combustibili fossili e solo una parte dei combustibili fossili sono pagati a prezzi spot. Per cominciare, basterebbe che i consigli di amministrazione di nomina pubblica dessero un segnale forte rispetto alla volonta’ di ridurre i consumi o accelerare gli investimenti per aumentare la produzione, per esempio sospendendo per due anni la distribuzione di dividendi e dichiarando di volerli usare per ridurre la domanda o aumentare l’offerta di energia. Nel caso di un’azione coordinata delle aziende europee, vedreste come i prezzi spot scenderebbero subito.
    In alternativa (o in aggiunta), come ha fatto il governo francese con EDF, sarebbe sufficiente imporre un limite al prezzo di vendita dell’energia il cui costo di produzione non e’ aumentato.
    3) La revisione, anche temporanea, del meccanismo europeo di definizione del costo dell’energia al produttore basato sul costo del produttore marginale non e’ neanche sul tavolo delle discussioni in Europa, eppure basterebbe a calmierare sostanzialmente il costo dell’energia.
    4) Una tassazione temporanea e sostanziale dei derivati sulle commodities (e la sospensione temporanea di molti ETF), che a loro volta influenzano i prezzi spot di qualunque cosa ridurrebbe molto la volatilita’ dei prezzi. Il ruolo dei derivati sulla volatilita’ dei prezzi e nelle crisi finanziarie era gia’ stato chiaramente identificato nel 2008. Invece di regolarli meglio, il loro uso sta crescendo sempre di piu’ e anzi sono favoriti.
    5) Ci sono molte opere mezze completate per l’approvvigionamento del GNL o del gas, come il gasodotto Gela-Malta (che permetterebbe di usare meglio il rigassificatore che gia’ c’e’ a Malta) o il rigassificatore di Gioia Tauro (con tutte le autorizzazioni e mezzo costruito), la briglia per migliorare il collegamento della TAP alla rete. Queste opere sono ferme a causa dalle piu’ improbabili motivazioni ostruzionistiche di qualsiasi organizzazione territoriale, pubblica o ONG, con ricorsi, proteste e manifestazioni infinite, ricorsi amministrativi, mozioni a qualsiasi organizzazione comunitaria. Basterebbe un voto compatto italiano nelle sedi competenti EU e una dichiarazione di due-tre opere come opere d’interesse strategico per migliorare la situazione. Invece si preferisce improvvisare proposte e soluzioni che gia’ si sa che non andranno da nessuna parte o che, se attuate, costeranno di piu’ (dai rigassificatori galleggianti di Cingolani, fino a quello SNAM di Porto Empedocle, gia’ approvato dall’ex Ministero dell’Ambiente, ma piu’ indietro nella costruzione rispetto a quelli di Augusta, Gioia Tauro, Brindisi)
    6) I termovalorizzatori. Ogni citta’ metropolitana dovrebbe averne (almeno) uno. Sopratttutto nel centro-sud e nelle isle ne servirebbero almeno altri sei. Ci vogliono anni per costruire un termovalorizzatore, ma questa sarebbe l’occasione per spingere la loro realizzaizone oltre il punto di non ritorno.

  2. Zipperle

    Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensa l’Autore (e chiunque altro voglia esprimersi, naturalmente) della proposta di R. Hausmann: piuttosto che mettere sotto embargo le importazioni occidentali di gas (e petrolio) dalla Russia (che penalizza anche gli importatori perché devono razionare i consumi, se non trovano altrove, e mantiene alti i prezzi), tassare pesantemente tali beni (se lo fanno tanti importatori è probabile che la Russia sia espropriata della rendita e nel contempo l’offerta rimanga abbondante, calmierando i prezzi).
    https://www.project-syndicate.org/commentary/case-for-punitive-tax-on-russian-oil-by-ricardo-hausmann-2022-02

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